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Renzi e l’ “Italicum”: come servirsi delle vecchie e nuove macerie

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di Aldo Sofia

È così fin dall’inizio: la carta migliore di cui dispone Matteo Renzi è pur sempre la paura che in parlamento paralizza gli altri (o quasi tutti gli altri). Paura che una crisi di governo senza una maggioranza alternativa porti ad elezioni anticipate. Quindi, per molti deputati, un ritorno a casa, senza biglietto di ritorno e con la perdita secca di uno stipendio che mensilmente può arrivare ai 15 mila euro. Ma oltre alla paura ci sono le macerie. Le macerie dei partiti che perdono pezzi, e su cui é certamente meno arduo il tentativo di costruire quel potere solitario di cui il premier é accusato. Per la serie, chi é causa del suo mal…

Così l’ex sindaco di Firenze può anche permettersi di dire tutto e il contrario di tutto. L’ “Italicum” ne è l’ennesima riprova. Ancora poche settimane fa, anche per giustificare l’allena del Nazareno con Berlusconi, spiegava pazientemente, quasi da ‘pater familias’, che le regole elettorali non sono appannaggio di un solo partito, ma vanno negoziate e varate col più ampio consenso possibile. Invece ora, tramontato l’idillio con l’ex cav, eco che l’assioma viene rovesciato: addirittura, nemmeno la minoranza del proprio partito – nel caso specifico il PD – è ormai necessaria per varare “la riforma delle riforme”. Un bel salto triplo carpiato. Nella convinzione, anzi nell’assoluta certezza, di poter cadere comunque in piedi. Del resto, non lo può certo intimidire la “minoranza matrioska” del PD: che a parole unanimemente tuona, ma che si divide quando Renzi impone in aula il voto di fiducia.

Il metodo renziano si incardina del resto su un’altra certezza: fa sempre comodo, a fronte di un’opinione pubblica esasperata dalla vecchia politica, avere dei nemici che personificano i misfatti e le paralisi e le ruberie della Seconda Repubblica. Quindi, poco importa che la gente conosca, capisca o apprezzi il pasticcio dell’ “Italicum”, strano ibrido di proporzionale, maggioritario, ballottaggio (un unicum in Europa, e per talune parti in odore di incostituzionalità). L’essenziale, per lui, è che gli italiani ne intuiscano il proposito finale: un premierato forte, da “un uomo solo al comando”, reso ancora più solido dallo smantellamento del Senato elettivo, quindi uno strappo netto rispetto al passato. Una svolta profonda nel ruolo del capo del governo, che Renzi riesce a perseguire non per via costituzionale ma addirittura per via ordinaria. Sempre che il nuovo inquilino del Quirinale non abbia nulla da obiettare.

Paura del voto anticipato, macerie dei partiti terremotati, faticosa e incerta ricomposizione dei quadro politico nazionale, mancanza di alternative percorribili e credibili. È lo shekerato che sembra fortificare Renzi, incurante delle macerie che lui stesso provoca nel suo partito. Per gli altri, invece, è l’amaro calice. Con il Nuovo centro destra alfaniano legato a doppio filo al carro renziano pena la scomparsa; con la Lega che deve chiarire al suo interno quanto vuol diventare lepenista; con i Cinque Stelle ben posizionati nei sondaggi ma che devono evitare altri smottamenti; e infine con Forza Italia lacerata, sull’orlo di una generale crisi di nervi, pronta all’implosione, mentre il suo padrone di un tempo più che a salvare il partito sembra impegnato e interessato ai gioielli di famiglia.

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