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Frontalieri, “Far pagare di più Berna non cancella il dumping”

Auto di frontalieri incolonnate alla dogana di Chiasso Brogeda.
Si cerca una soluzione alla vertenza italo-svizzera sulla fiscalità dei frontalieri. Keystone / Elia Bianchi

Come uscire dal vicolo cieco della fiscalità dei frontalieri che rischia di compromettere le relazioni italo-svizzere?

I termini della questione, che continua a tornare periodicamente d’attualità, sono noti. Berna, su pressioni del Ticino, cantone in cui la concorrenza dei lavoratori provenienti dall’estero alimenta l’indesiderato fenomeno del dumping salariale, vuole una rapida ratifica dell’intesa del dicembre 2015 che riduce l’attrattività fiscale della Confederazione per questa categoria di lavoratori.

Dall’altro lato del confine, per motivi opposti, sono forti le resistenze politiche contro una riforma che rischia di alienare ai partiti di maggioranza e opposizione i sostegni elettorali delle regioni di frontiera. Si esita infatti a cancellare l’accordo del 1974 che riconosce la potestà impositiva esclusiva sui frontalieri della Confederazione (che è però tenuta a riversare, in base al meccanismo dei ristorni, una quota dell’imponibile lordo, attualmente fissata al 38,8%, ai comuni di residenza dei pendolari italiani).

Marco Bernasconi (Supsi): “Sarebbe giusto che Berna aiutasse il Ticino, accollandosi una parte dell’onere dei ristorni”. 

Ma per il Ticino, dove si concentra il maggiore afflusso di manodopera pendolare straniera (67’000, il 28,5% della forza lavoro totale), la fattura è diventata troppo salata, visto che in quasi 50 anni ha dovuto sborsare un miliardo e mezzo di franchi alle amministrazioni locali di frontiera, che non vogliono rinunciare a un gettito che verrebbe cancellato dall’accordo parafato nel dicembre 2015.

Berna alla cassa?

A breve non si intravvedono progressi e la situazione dal profilo sociale e politico a sud delle Alpi, soprattutto in questa fase in cui l’emergenza pandemica ha acuito le tensioni, rischia di diventare ingestibile. Da parte sua Berna non intende aprire un contenzioso con Roma su una problematica che verosimilmente ritiene di rilevanza secondaria sull’insieme degli intensi e proficui rapporti bilaterali tra i due paesi.

A proporre una soluzione nelle scorse settimane alla complessa questione è stato Marco Bernasconi, esperto di diritto fiscale, che sulla pubblicazione della Scuola universitaria della Svizzera italiana (Supsi) “Novità fiscaliCollegamento esterno” ha avanzato alcune idee che non toccano però il controverso accordo del 1974.

“Se si volesse equiparare lo sforzo finanziario del Cantone Ticino nei confronti della fascia di frontiera in Italia con ciò che avviene con i frontalieri austriaci la Confederazione”, ha detto il professore della Supsi al settimanale “Cooperazione”, “in nome del principio della solidarietà federale” dovrebbe assumersi la differenza tra l’importo dovuto dai cantoni all’Austria, vale a dire il 12,5% delle imposte percepite dai frontalieri e quello riversato da Ticino, Vallese e Grigioni a Roma (38,8%). Sarebbe infatti “giusto che Berna aiutasse il Ticino, accollandosi una parte dell’onere dei ristorni”. 

Inoltre, insiste Marco Bernasconi, andrebbero ricalcolati i “falsi frontalieri”, ossia coloro che non rientrano al proprio domicilio ogni sera, il cui numero è notevolmente aumentato con l’accordo di libera circolazione e per questa ragione gravano meno sulle amministrazioni locali di confine cui spettano i ristorni.

Non si risolve il problema del dumping

Ma la proposta viene bocciata in casa Lega dei Ticinesi, che della lotta contro l'”invasione” dei frontalieri ha fatto uno dei suoi cavalli di battaglia. “In realtà si tratta di una proposta che è stata avanzata più volte, anche tramite atti parlamentari, ma la Confederazione si è sempre rifiutata di entrare nel merito di una compensazione della differenza tra le aliquote diverse per i frontalieri dei diversi cantoni”, esordisce Lorenzo Quadri, parlamentare del movimento a Berna, ” e dubito che sia disposta a farlo adesso”.

Ma indipendente dall’atteggiamento della autorità federali le riserve principali della Lega sono a livello di contenuto. “È chiaro che per il Ticino la proposta del professor Bernasconi, se venisse approvata, sarebbe meglio della situazione attuale.

Però a me pare che finirebbe per essere sostanzialmente una capitolazione elvetica, perché così facendo rinunceremmo a farci valere nei confronti dell’Italia, dove la situazione resterebbe immutata” e ci si limiterebbe a operare una “ridistribuzione interna”.

Questo significa, evidenzia Lorenzo Quadri, che “il tasso di imposizione dei frontalieri rimane lo stesso mentre l’obiettivo della modifica dei ristorni è anche quello di far sì che i frontalieri paghino più imposte proprio per contrastare il fenomeno del dumping salariale”.

L’aggravio fiscale previsto invece per questa categoria di salariati dall’intesa del 2015, rimasta per ora solo sulla carta, “calmiererebbe un po’ le distorsioni sul mercato del lavoro ticinese ma sotto questo aspetto la proposta Bernasconi non cambierebbe nulla”.

Possibile blocco dei ristorni

Se vogliamo fare un discorso nell’ottica politica ticinese, aggiunge il parlamentare leghista, Bellinzona dovrebbe bloccare completamente i ristorni all’Italia così “la Confederazione sarebbe costretta a versare il dovuto, se non vuole disdire la famosa convenzione del 1974”, e questa ipotesi sarebbe certamente migliore per le casse cantonali di quella delineata dalla Supsi.

Lorenzo Quadri (Lega): “Abbiamo le carte in regola per disdire l’accordo del 1974”

Anche perché da Roma non ci si attendono novità, sottolinea sempre Lorenzo Quadri, dal momento che “nessun governo italiano, sia di destra che di sinistra”, ha voluto finora approvare l’intesa del 2015 perché – “cosa per me incomprensibile” – alla fine prevale sempre l’idea secondo cui favorire fiscalmente i frontalieri sia elettoralmente vantaggioso: “Io ho sempre pensato che gli italiani non-frontalieri fossero la maggioranza rispetto ai frontalieri ma forse sbaglio io i conti…”, chiosa ironicamente l’esponente ticinese.

La questione della disdetta dell’accordo

In alternativa Berna ha sempre a disposizione l’opzione cui la Lega dei ticinesi sta guardando con favore, quella di disdire unilateralmente l’accordo fiscale attualmente in vigore, facendo così cadere immediatamente il meccanismo dei ristorni. “Adesso avremmo le carte in regola, secondo quanto dice anche la recente perizia giuridica commissionata dal governo ticinese, per disdire questa convenzione che comunque è vetusta”.

E da parte svizzera ci sarebbero tutti gli estremi, a ” giudizio di Lorenzo Quadri, per legittimare un passo del genere. “Sono cinque anni che stiamo in ballo, l’Italia si limita a fare qualche vaga promessa e non rispetta nemmeno gli accordi presi nell’ambito della “roadmap” che vanno ben oltre la fiscalità dei frontalieri”, come la questione dell’accesso al mercato italiano agli operatori finanziari elvetici che Roma tarda a riconoscere.

“E noi cosa facciamo? Invece di insistere con l’Italia, capitoliamo e cerchiamo soluzioni interne”, che poi devono comunque sempre pagare “i contribuenti svizzeri, anche se in questo caso non ticinesi?”, si domanda il consigliere nazionale di Lugano: “Così facendo non faremo passi avanti ma cambiamo la tasca da cui tirare fuori i soldi”.

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