La televisione svizzera per l’Italia

L’Italia rimane una priorità nella politica estera della Svizzera

Cassis e Alfano con un corazziere sull attenti
Ignazio Cassis in novembre aveva incontrato a Roma l'allora ministro degli esteri Angelino Alfano. Keystone

In novembre per il suo primo viaggio in qualità di ministro degli esteri, il ticinese Ignazio Cassis ha scelto l'Italia. Un modo per ricordare quanto questo partner sia importante per la Svizzera. La rivista della Camera di Commercio SvizzeraCollegamento esterno in Italia fa il punto con il consigliere federale sulle relazioni tra i due paesi.

La Svizzera: Le relazioni tra Confederazione e Italia sono finite spesso sotto i riflettori in questi ultimi anni. Da un lato i rapporti economici sembrano rimanere robusti, dall’altro i rapporti politici sono oggetto di valutazioni contrastanti. Qual è il suo giudizio complessivo sulla situazione e sulle prospettive di queste relazioni?

Ignazio Cassis: Le relazioni tra Italia e Svizzera si fondano su una moltitudine di legami economici, culturali e scientifici. Basti dire che l’Italia è il nostro terzo partner commerciale, dopo la Germania e gli Stati Uniti. E con l’Italia condividiamo un obiettivo importante: la promozione della lingua italiana, una priorità per entrambi i Paesi. Ma anche in ambito migratorio la collaborazione è dinamica e si è ulteriormente rafforzata negli ultimi anni, grazie a una migliore applicazione del trattato di Dublino in ambito di riammissione. Inoltre l’accordo sulla cooperazione doganale e di polizia ci ha permesso di migliorare la collaborazione tra le forze di sicurezza sui due lati della frontiera e dunque la lotta contro la criminalità.

Non posso comunque negare che ci siano anche tensioni. La pressione sul mercato del lavoro ticinese, causata dalla pesante crisi economica italiana degli ultimi anni, è stata a lungo trascurata dalle autorità federali. Ciò ha consentito in Ticino la nascita di un sentimento popolare negativo verso i frontalieri, vissuti come una minaccia.

“La pressione sul mercato del lavoro ticinese, causata dalla pesante crisi economica italiana degli ultimi anni, è stata a lungo trascurata dalle autorità federali”.

Quando finalmente il problema è stato affrontato, le trattative tra i due Paesi hanno permesso di parafare nel 2015 un accordo soddisfacente sull’imposizione fiscale dei lavoratori frontalieri, comprendente anche un abbozzo di soluzione per l’accesso ai servizi finanziari.

Il Governo Gentiloni non ha tuttavia mai voluto firmare tale accordo, che resta tuttora in sospeso, in attesa del nuovo Governo italiano. Ciò genera incertezza e malumori. L’Italia rimane, con gli altri Stati limitrofi, una priorità per la nostra politica estera. Per quanto riguarda l’accesso al mercato italiano per i fornitori di servizi finanziari, la Svizzera continuerà – con l’Italia così come con altri Stati membri dell’UE – a ricercare soluzioni bilaterali ottimali, in conformità anche con il diritto europeo.

Restiamo sul Ticino. Lei è ticinese e quindi c’è una ragione in più per porre la domanda sullo stato dell’arte nelle relazioni specifiche tra Ticino e Italia, che a volte appaiono vantaggiose per entrambe le parti e a volte sono segnate invece da polemiche. Quale direzione di marcia vede da questo punto di vista?

Come ticinese sono ovviamente molto sensibile alle nostre relazioni con l’Italia. Perciò ho scelto Roma nel novembre 2017 quale prima visita all’estero nella mia nuova funzione di Consigliere federale. Era un segnale forte che volevo dare, per dire agli amici italiani che i buoni rapporti sono nell’interesse di entrambi i Paesi.

Non appena l’Italia avrà il suo nuovo Governo, prenderò contatto con il mio omologo per far ripartire il processo di sottoscrizione dell’accordo sulla fiscalità dei frontalieri. Il Governo cantonale ticinese ha confermato nelle scorse settimane il suo sostegno. Dovremo tuttavia vedere che cosa ne penserà il nuovo Governo italiano.

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Più in generale, dobbiamo essere consapevoli che la Svizzera, situata nel cuore dell’Europa e con un piccolo mercato interno di 8,5 milioni di abitanti, può restare prospera solo con un mercato aperto. Gli scambi commerciali con i Paesi limitrofi, Germania e Italia in testa, sono sempre stati un’opportunità, sia per la Svizzera che per i Paesi confinanti. Non dimentichiamo che quotidianamente la Svizzera offre lavoro a oltre 320’000 lavoratori frontalieri UE e che ospita sul suo territorio 1 milione e quattrocentomila cittadini UE (il 17% della popolazione).

I legami con i Paesi che ci circondano sono dunque storicamente molto stretti. La frontiera ci separa, ma lingua, cultura e storia trascendono i confini nazionali. Inoltre, essendo membri dello spazio Schengen, il passaggio della frontiera è molto agevolato. La relazione con ciò che si trova al di là del confine rafforza la consapevolezza di ciò che siamo.

Lei è molto impegnato appunto nel filone dei rapporti tra la Svizzera e l’Unione europea. Da una parte ci sono le richieste dell’UE su un aggiornamento delle intese Berna-Bruxelles, dall’altra ci sono posizioni diverse all’interno della Svizzera sugli Accordi bilaterali e in particolare sulla libera circolazione delle persone. Quali sono a suo avviso i punti principali a cui guardare per cercare di superare questa situazione complessa?

Il dossier europeo è oggi il più importante della nostra politica estera, sia per la sua dimensione economica, sia per quella scientifica, culturale e umana. Quotidianamente scambiamo con l’UE merci per oltre un miliardo di franchi.

La rapida apertura ad altri mercati, in particolare quelli asiatici, è certamente un obiettivo importante, ma siamo ancora lontani dall’importanza che rivestono i Paesi limitrofi. Con i due Länder tedeschi del Baden Württemberg e della Baviera scambiamo tante merci quante con l’intera Cina, mentre il volume degli scambi commerciali con la Lombardia è pari a quello col Giappone.

La permeabilità delle frontiere per gli studi universitari e per la ricerca è preziosa; il mondo culturale europeo è anche il nostro. La Svizzera ha però una sua particolarità: è nata oltre sette secoli or sono in contrapposizione alla concentrazione del potere. Nella genetica del nostro Paese c’è dunque un’allergia a tutto ciò che è centralistico.

L’UE invece si è sviluppata in modo centralistico, cumulando il potere a Bruxelles. Ciò spiega perché gli svizzeri vogliono restare autonomi. Questa autonomia politica, che in Svizzera si fonda soprattutto su federalismo e democrazia diretta, è solo parzialmente compatibile con il disegno dell’UE, che mira a una crescente armonizzazione.

Dobbiamo perciò trovare una via che ci permetta la miglior integrazione economica possibile nel rispetto della più grande autonomia politica possibile: la via bilaterale appunto. È un po’ la quadratura del cerchio, certamente un compito non facile.

“Dobbiamo trovare una via che ci permetta la miglior integrazione economica possibile nel rispetto della più grande autonomia politica possibile: la via bilaterale appunto. È un po’ la quadratura del cerchio, certamente un compito non facile”.

Ma questa è la Svizzera che finora ci ha consentito di essere quello che siamo e di vivere come vogliamo. I nostri rapporti con l’UE si basano su trattati bilaterali, alcuni di accesso al mercato, altri di cooperazione. L’accesso al mercato unico dell’UE è garantito quasi esclusivamente per le merci, non invece per i servizi, per i quali prevale la via bilaterale con i singoli membri dell’UE.

Da una decina d’anni l’UE domanda di armonizzare i meccanismi istituzionali (adeguamento del diritto, interpretazione, vigilanza e regolamento dei litigi) per i cinque trattati d’accesso al mercato già in vigore (standard industriali, trasporto aereo, trasporto terreno, agricoltura e libera circolazione delle persone), con l’idea di applicare poi le stesse procedure a eventuali nuovi trattati. Un sesto accordo d’accesso al mercato, quello concernente l’elettricità, è pronto ma non è ancora stato approvato.

Circa quattro anni fa è stato avviato il negoziato su un “accordo quadro istituzionale”, ma negli ultimi due anni si è un po’ arenato, vittima del clima politico teso e di un dibattito pernicioso. Il mio compito è stato quello di riordinare la questione, demistificare il dibattito e riportarlo sul piano razionale, procedendo a puntuali aggiustamenti organizzativi. Ora i negoziati procedono di nuovo.

Non appena saranno conclusi inizierà il dibattito pubblico e vedremo se una maggioranza degli svizzeri considererà vantaggioso il risultato. Perché in Svizzera un tale accordo dev’essere approvato dal popolo in votazione popolare; è questa la nostra democrazia diretta.

In questo quadro, c’è anche la variabile Brexit. Ci sono opinioni diverse sul fatto che quest’ultima possa aiutare oppure ostacolare i negoziati tra Svizzera ed Unione europea. Lei come vede questa questione?

Sono due questioni al contempo diverse e unite. La Svizzera mantiene un’equidistanza dall’UE e dal Regno Unito. Per ora le nostre relazioni con il Regno Unito continuano a passare dall’UE, ma il Governo svizzero ha definito una strategia “mind the gap” finalizzata a garantire la continuità dei nostri importanti rapporti con il Regno Unito, che è il quinto mercato d’esportazione per le imprese svizzere.

Tornando all’Italia e alla presenza svizzera nella Penisola, in passato si è parlato anche di una possibile vendita da parte della Confederazione del Centro Svizzero di Milano, uno dei punti tradizionali di riferimento per i rapporti italo-elvetici. Cosa ci può dire su questo punto, che come comprenderà ha attirato l’attenzione dei molti che partecipano ai rapporti tra Svizzera e Italia?

Il Centro Svizzero di Milano è una presenza simbolicamente importante nella capitale della Lombardia, con la quale abbiamo intense relazioni di ogni sorta, a cominciare da quelle commerciali. Ne è ben cosciente anche il Governo svizzero e sono certo che ne terrà conto al momento dell’esame regolare del suo portafoglio immobiliare.

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