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«I francesi hanno un’immagine caricaturale della Svizzera»

Nel novembre 2011, Nicolas Sarkozy dichiarava di voler mettere la Svizzera «al bando della comunità internazionale». AFP

I candidati alla presidenziale francese non hanno risparmiato la Svizzera durante la campagna, in particolare sulla fiscalità. A Parigi dal settembre 2011, l’ambasciatore Jean-Jacques de Dardel ammette che l’economia elvetica è ancora troppo spesso associata solo alla piazza finanziaria.

Lo scorso novembre, il presidente Nicolas Sarkozy ha criticato le «carenze» della Svizzera in materia di cooperazione fiscale, situandola sullo stesso piano dei paradisi fiscali d’America centrale. Un attacco frontale che lasciava presagire una campagna elettorale dalla quale la Svizzera non ne sarebbe sicuramente uscita bene.

Sia Nicolas Sarkozy che François Hollande hanno ribadito a più riprese la loro determinazione nel voler tassare gli esiliati fiscali in Svizzera in caso di vittoria. Un provvedimento che necessiterebbe la rinegoziazione della convenzione di doppia imposizione tra i due paesi. Il candidato del Fronte di sinistra Jean-Luc Mélenchon ha dal canto suo definito la Svizzera la «cassaforte di tutti i delinquenti del pianeta». Solo la candidata del Fronte nazionale Marine Le Pen ha speso parole di elogio nei confronti della democrazia partecipativa e del sistema politico svizzero.

Jean-Jacques de Dardel preferisce astenersi dal commentare le affermazioni dei candidati alla presidenza. Sottolinea però la necessità di migliorare l’immagine della Svizzera in Francia.

swissinfo.ch: È di stanza a Parigi da quasi otto mesi. Come giudica lo stato delle relazioni bilaterali tra la Svizzera e la Francia?

Jean-Jacques de Dardel: È difficile definirle con un unico aggettivo, talmente sono profonde, dense ed emozionali. Direi comunque che l’essenza, sul piano economico ma soprattutto umano, è costituita dagli scambi transfrontalieri. In Francia vivono 184’000 cittadini svizzeri. In realtà la cifra è più vicina ai 200’000 se si contano le persone che non sono iscritte. Si tratta della più grande comunità svizzera all’estero. In Svizzera, invece, vivono o lavorano 350’000 francesi.

C’è una certa continuità nei problemi che si pongono tra i due paesi. La Francia e la Svizzera non hanno la stessa visione del rapporto tra Stato e individuo, ciò che influisce sulle questioni della fiscalità e sui negoziati condotti con altri paesi in materia d’imposta liberatoria alla fonte.

Per l’appunto, la Svizzera, la sua piazza finanziaria e gli esiliati fiscali sono stati duramente attaccati durante la campagna presidenziale. Perché un simile accanimento?

In periodo elettorale, le questioni finanziarie e fiscali occupano un grande spazio nell’immaginario collettivo. Non rappresentano però il punto forte delle nostre relazioni. Non vi sono contenziosi particolari in questo dossier, unicamente delle incomprensioni di ordine tecnico sul modo di inoltrare le domande di assistenza amministrativa.

Dall’inizio del mio mandato mi sono occupato principalmente di scambi transfrontalieri, della recente firma di un accordo di massimo sulla questione dell’applicazione del diritto del lavoro all’aeroporto di Basilea-Mulhouse e dell’acquisto dei nuovi aerei militari da parte del nostro paese.

Non ritiene però che l’immagine della Svizzera sia uscita scalfita da questa campagna elettorale?

Non c’è nulla di nuovo in questi attacchi. Anzi, l’immagine della Svizzera in Francia migliora generazione dopo generazione, grazie agli scambi e alla mondializzazione. Non sono comunque un ingenuo. Le conoscenze francesi sul nostro paese sono incomplete e disseminate di presupposizioni.

In generale la Svizzera è oggetto di caricature positive e all’estero è considerata come un piccolo paradiso. Bisogna quindi sempre spiegare che anche in Svizzera vi sono numerosi problemi e che la nostra società è attraversata da diverse tensioni. Se meritiamo di essere ammirati, è solo per il modo in cui riusciamo a risolvere questi problemi.

In Francia la caricatura è diversa. Si prendono delle scorciatoie per tratteggiare la piazza finanziaria e il modo in cui trattiamo i ricchi. Si trasmette l’immagine di un paese fuori dal mondo.

Perché questa immagine negativa della Svizzera è così sviluppata in Francia?

È dovuto allo spirito francese, per essenza molto critico. I francesi non hanno indulgenza nei confronti di nessuno. Se a ciò si aggiunge la scarsa conoscenza della diversità, della poliedricità e di tutto quello che fa un altro paese, la situazione è propizia all’affermazione di luoghi comuni e di facili pregiudizi.

Recentemente un grande capitano d’industria francese ha detto: ‘Siamo molto dotati per lo spirito critico, ma meno quando si tratta di trasformarlo in soluzione per risolvere dei problemi della nostra società’.

Ha l’impressione che la Svizzera funga a volte da capro espiatorio?

Effettivamente non penso che tutti gli attacchi siano per forza diretti contro il nostro paese. La Svizzera non è un paradiso fiscale, ciò che è riconosciuto dalle istanze internazionali. Ma nelle caricature di Plantu [un vignettista molto famoso in Francia, ndr.], nelle battute alla radio e nell’immaginario collettivo è più semplice utilizzare l’immagine quasi subliminale delle banche svizzere, delle casseforti e dei lingotti d’oro. Mentre invece le isole anglo-normanne o il Delaware non evocano nulla nell’immaginario del pubblico.

Cosa pensa di fare per migliorare l’immagine della Svizzera in Francia?

Prima di tutto vorrei sottolineare che siamo in parte responsabili di questa scarsa conoscenza. La Svizzera ha un po’ tendenza a crogiolarsi nel suo piccolo piuttosto che farsi meglio conoscere e capire all’esterno. Si mostra fiera di sé e afferma spesso che «non c’è nessuno come noi», ma ripugna a darsi i mezzi per spiegarsi di fronte alle opinioni straniere.

Il nostro obiettivo è di presentare dei punti di vista differenziati della Svizzera, in cerchie diverse e variate. Vogliamo agire in modo mirato sui leader d’opinione, sviluppando ad esempio il ‘networking’ di ex studenti di scuole universitarie svizzere o organizzando dei cicli di conferenze per personalità scelte con cura.

Quali risultati pensa di raggiungere?

L’economia svizzera è spesso associata solo al settore bancario, che rappresenta meno dell’11% del prodotto interno lordo svizzero. Si tratta di mettere in evidenza i punti forti della nostra economia, ovvero il 90% restante, che non include solo gli orologi, il cioccolato o le macchine.

Abbiamo molti assi nella manica: una rete di piccole e medie imprese molto innovatrici e creative, una stabilità sociale e negoziati salariali che si svolgono senza troppi contrasti, università che, se considerate nel loro insieme, figurano in testa alle classifiche internazionali.

Anche la nostra politica d’integrazione può servire da esempio, poiché accogliamo proporzionalmente due volte e mezzo più stranieri che la Francia. Senza dimenticare poi altri settori dove siamo eccellenti, come l’architettura, l’arte contemporanea o la gastronomia. In Svizzera si può trovare tutto ciò che il genio umano è capace di creare. I francesi non ne sono ancora abbastanza coscienti.

Nato nel 1954, figlio di diplomatici, Jean-Jacques de Dardel ha un titolo di dottore in scienze politiche, conseguito all’Istituto di alti studi internazionali di Ginevra. È sposato e padre di tre figli.

Ha iniziato la carriera professionale al Comitato internazionale della Croce Rossa. Nel 1981 ha superato il concorso diplomatico del Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE).

Dopo diversi incarichi, nel 1998 è nominato ambasciatore presso l’Organizzazione internazionale della Francofonia. Nel 2001 ha creato il Centro di politica di sicurezza internazionale del DFAE.

Nel 2004 è nominato capo della Divisione politica 1 (Europa, Consiglio d’Europa, OSCE, Patto di stabilità per l’Europa sud-orientale). Dal 2007 al 2011 è ambasciatore di Svizzera in Belgio e capo della missione svizzera presso la NATO.

Nel settembre 2011 è scelto per succedere a Ulrich Lehner quale ambasciatore in Francia e nel Principato di Monaco.

Jean-Jacques de Dardel è autore di numerose opere e articoli su temi di politica estera, sicurezza internazionale nonché su diversi temi culturali.

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