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Un modello che mostra di nuovo i suoi limiti

Il corpo senza vita della socioterapista è stato ritrovato venerdì in un bosco di Versoix, nel canton Ginevra Keystone

L’omicidio della socioterapista ginevrina ad opera presumibilmente di uno stupratore plurirecidivo, arrestato domenica, rilancia il dibattito sulla politica di reinserimento dei criminali pericolosi e sulle sue manchevolezze. Da più parti si chiedono norme più severe e l’armonizzazione delle pratiche a livello federale.

Questo contenuto è stato pubblicato il 16 settembre 2013 - 10:36
Daniele Mariani e agenzie, swissinfo.ch

La fuga di Fabrice A., lo stupratore di 39 anni sospettato di aver ucciso giovedì a Versoix, nel canton Ginevra, la socioterapista 34enne Adeline M., che lo accompagnava durante un’«uscita educativa autorizzata», si è interrotta domenica pomeriggio. Il fuggiasco è stato arrestato a Kolbaskowo, villaggio polacco alla frontiera con la Germania.

Gli agenti hanno trovato anche la presunta arma, pare un coltello svizzero acquistato il giorno dell’uscita terapeutica, con cui il cittadino franco-svizzero avrebbe ucciso la donna, si legge nel comunicato diramato dalle forze dell’ordine tedesche, che hanno proceduto all’arresto.

Fabrice A. era detenuto dal 2012 nel centro di socioterapia di La Pâquerette, nel carcere ginevrino di Champ-Dollon, dove scontava una condanna cumulativa di 20 anni per due casi di violenza carnale, uno a Ginevra (5 anni di carcere) e uno in Francia (15 anni). Si erano perse le sue tracce giovedì, sulla strada che porta a un centro equestre, dove doveva svolgere attività coi cavalli a scopo terapeutico in vista del suo reinserimento nella società. Il cadavere della sua accompagnatrice, madre da pochi mesi, era stato trovato l’indomani.

La storia si ripete

La vicenda ha rilanciato le polemiche sulle politiche di reinserimento dei criminali pericolosi. Il caso, infatti, non è unico. Nel 2009, Lucie, una 25enne friburghese, era stata uccisa nel canton Argovia da un criminale condannato cinque anni prima per aver strangolato una donna, libero dal 2008 al beneficio della condizionale. Nel maggio scorso, Marie, una ragazza di 19 anni, era invece stata sequestrata e rapita a Payerne, nel canton Vaud, da un pregiudicato di 36 anni che si trovava agli arresti domiciliari. L’uomo era stato condannato nel giugno del 2000 a 20 anni di carcere per il sequestro, lo stupro e l’assassinio della sua ex compagna. Era stato messo agli arresti domiciliari nell’agosto 2012.

In un’intervista pubblicata domenica dal SonntagsBlick, Beat Villiger, responsabile del dipartimento della sicurezza del canton Zugo e vicepresidente della sicurezza della Conferenza dei direttori cantonali di giustizia e polizia (CDGP), si dice favorevole all’introduzione di direttive su scala nazionale per l’accompagnamento e la valutazione dei delinquenti che rappresentano un pericolo pubblico. Secondo Villiger, i cantoni della Svizzera tedesca hanno regole molto più severe rispetto a quelli romandi (nell’ambito dell’esecuzione delle pene, i cantoni svizzeri godono di ampie prerogative; per armonizzare le direttive e coordinare le pratiche si è però proceduto alla stesura di tre concordati intercantonali). E per quanto concerne le «uscite educative», Villiger preconizza che l’accompagnamento venga effettuato da uomini.

Critiche al sistema di esecuzione delle pene nella Svizzera romanda sono state emesse anche da Benjamin Brägger, esperto del settore carcerario, intervistato da La Liberté e dalla radio SRF. «Il sistema penitenziario e la psichiatria dovrebbero collaborare maggiormente, come avviene nella Svizzera tedesca, dove si lavora per la società e non per il detenuto», ha osservato, sottolineando che «il segreto professionale medico è importante, ma in questo caso ci sono in gioco delle vite».

Il presidente della CDGP Hans-Jürg Käser è invece dell’avviso che «sarebbe sbagliato pensare che una standardizzazione delle regole possa evitare il ripetersi di simili casi». «Anche se le direttive fossero identiche, la responsabilità di applicarle spetterebbe sempre agli istituti di pena», aggiunge.

Una lunga lista

1980-1989: cinque bambini vengono uccisi da Werner Ferrari; l’uomo aveva già ucciso un bimbo di 10 anni a Reinach, nel cantone di Basiela Campagna, ma era stato rimesso in libertà poco dopo, nel 1979. Nel 1995 è stato condannato al carcere a vita.

1989: approfittando di un congedo di libera uscita, un uomo, che stava scontando nella prigione a St-Jean (Berna) una pena per abusi sessuali e per aver appiccato diversi incendi, uccide un bambino di 10 anni a Cerlier (Berna).

 

1993: Erich Hauert, assassino e violentatore recidivo, uccide durante un congedo dal penitenziario di Regensdorf (Zurigo) una scout di 20 anni a Zollikerberg.

1996: Un uomo, multirecidivo, aggredisce, maltratta e violenta una 13enne a Lienz (San Gallo) e la getta in un canale. La giovane riesce a sopravvivere.

 

2008: un uomo, condannato a più riprese per violenza e lesioni corporali pugnala a casa sua a Märstetten (Turgovia) una prostituta.

 

2009: Lucie, ragazza alla pari, viene uccisa a Reiden bei Baden (Argovia) da un uomo condannato nel 2004 per tentato omicidio. Era in libertà con la condizionale.

2013: un uomo, condannato nel 2000 a 20 anni di prigione per sequestro, stupro e assassinio, rapisce e uccide Marie, una giovane di 19 anni di Payerne (Vaud). Dall’agosto del 2012, l’uomo beneficiava degli arresti domiciliari. Contro questo provvedimento era stata presentata un’opposizione, ma i legali del condannato avevano ottenuto in dicembre del 2013 l’effetto sospensivo.

Fonti: agenzie

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Un registro nazionale?

Al pari di molti altri politici, la consigliera di Stato vodese Jacqueline de Quattro si è detta favorevole a norme più severe. Secondo la responsabile della sicurezza nel canton Vaud, intervistata dalla NZZ am Sonntag, i delinquenti violenti non devono poter beneficiare di simili uscite, allor quando la loro liberazione è prevista solo diversi anni dopo. Secondo la ministra del Partito liberale radicale, solo i detenuti che hanno chiaramente compiuto dei progressi e considerati come non più pericolosi da diversi esperti indipendenti, dovrebbero poter riabituarsi alla libertà verso la fine della loro pena.

La consigliera nazionale Natalie Rickli va ancora più in là. Dalle colonne della SonntagsZeitung ha annunciato l'intenzione di inoltrare una mozione parlamentare per cambiare il Codice penale. Secondo la deputata zurighese dell’Unione democratica di centro, dopo una prima recidiva, un delinquente sessuale o violento non dovrebbe più beneficiare di uscite fino al termine effettivo della sua pena detentiva.

Anche Anita Chaaban, promotrice dell'iniziativa per l'internamento a vita dei criminali sessuomani o violenti, pericolosi e refrattari alla terapia, accolta dal popolo nel 2004, intende agire. Sulle colonne della Schweiz am Sonntag e della SonntagsZeitung ha affermato di volersi impegnare a favore di un registro nazionale per gli autori di reati sessuali o violenti. A tale scopo intende lanciare una petizione. Se non fosse sufficiente prenderà in considerazione un’iniziativa popolare.

Internamento a vita

Nel loro commento di lunedì, Bund e Tages-Anzeiger ricordano appunto che nel 2004 il 56% dei votanti ha detto si all’iniziativa per l’internamento a vita. «L’assassino di Adeline non era considerato come ‘estremamente pericoloso’», rilevano i due giornali. Un modo di procedere che mostra come la giustizia ha delle difficoltà a rispettare la volontà popolare: «Alcuni verdetti equivalgono a una presa in giro di questa decisione democratica». Quando il benessere del criminale prevale sull’interesse della società di proteggersi, «tocca alla politica adeguare le leggi affinché i tribunali siano obbligati a prendere le decisioni adeguate». Ad esempio, un internamento a vita automatico quando qualcuno commette due delitti sessuali gravi.

Un’opinione condivisa anche da La Regione Ticino: «Se il sistema penale si fonda su un principio altissimo, di civiltà giuridica, che vuole che chi ha sbagliato paghi il suo debito con la società e che quest’ultima si impegni a rieducarlo, si deve anche ammettere che questo ideale è sì possibile per la gran parte dei delinquenti, ma non per tutti […]. Si abbia dunque il coraggio di stabilire che in certi casi (il sadico di Romont è lì a dimostrarlo), anche se il tremendo conto con la giustizia è stato saldato, il rischio di recidiva rimane altissimo e senza indugio va data priorità alla salvaguardia dell’interesse pubblico: che è quello di far rimanere il delinquente dietro le sbarre».

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