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Dove si fermerà Putin?

Le bandiere russe sventolano ormai a Simferopoli, capitale della Crimea. Keystone

Per la stampa svizzera, il voto di domenica in Crimea rappresenta un punto di non ritorno nelle relazioni tra Occidente e Russia. La domanda che ora si pone, è di sapere fino a dove è disposto ad andare il Cremlino.

«Storico. Per una volta l’aggettivo non è usurpato», sottolinea lunedì La Liberté, commentando il referendum organizzato la vigilia in Crimea che ha sancito l’annessione della penisola alla Russia, con una percentuale di ‘sì’ superiore al 95%.

L’analisi del quotidiano friburghese – che parla di una «vera e propria rottura» tra Est e Ovest – è condivisa da buona parte della stampa svizzera. Con il voto di domenica «il divorzio tra la Russia e l’Occidente è ormai consumato», scrivono ad esempio 24 Heures e Tribune de Genève. «Il dopo Guerra fredda è un’epoca passata. È finito il tempo in cui si credeva a un riavvicinamento tra gli ex nemici giurati».

È vero, da ormai alcuni anni le relazioni erano tutto fuorché tranquille. Quanto accaduto domenica riporta alla memoria le secessioni dalla Georgia dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia nel 2008. «Anche allora le proteste e la minaccia di ritorsioni economiche da parte occidentale rianimarono il fantasma di una ‘nuova Guerra fredda’. Durò poco, il blitz rimase impunito. Gli affari sono affari», ricorda La Regione Ticino, chiedendosi quanto durerà questa volta l’indignazione di Stati Uniti ed Europa.

Le cose rischiano però di essere più serie. L’annessione della Crimea ha infatti un’altra portata, poiché l’Ucraina non è la Georgia, osserva il quotidiano ticinese. «Sembra perciò che nelle stanze del potere a Mosca vi sia anche una corrente che timidamente consiglia all’autocrate maggiore prudenza, soprattutto considerati i rischi dei contraccolpi economici di una ritorsione incisiva».

Solo l’inizio?

Per Tages Anzeiger e Bund, «nulla sarà più come prima: né in Ucraina, né in Russia, né in Europa». «L’Ucraina può anche vivere senza la Crimea. Gli ultimi giorni hanno però mostrato che con la secessione della penisola i fantasmi sono lungi dall’essere scomparsi. I più radicali sentono di avere una chance di allontanare l’est dell’Ucraina da Kiev, grazie anche al sostegno della Russia».

La domanda è di sapere dove ora si fermerà Putin. «La Crimea era persa per l’Ucraina ancor prima che le schede fossero infilate nelle urne – scrive l’Aargauer Zeitung. Il referendum doveva solo legittimare ciò che il presidente russo aveva da tempo deciso: l’assunzione del potere. Il capo del Cremlino non si accontenterà però della secessione della Crimea. Nelle regioni russofone dell’Ucraina orientale si sta già abbozzando il prossimo confronto. Prima la Crimea, poi l’Ucraina orientale e infine Kiev?».

«La Crimea potrebbe essere solo l’inizio», concorda la Basler Zeitung. «La versione ufficiale di Mosca è che si voleva proteggere i russi della penisola dalle orde radicali di estrema destra di Kiev e dell’Ucraina occidentale». In realtà, durante gli ultimi scontri scoppiati a Donetsk e a Kharkov, nell’est del paese, all’origine della violenza sono stati i filorussi.

Per La Liberté, Putin «ha aperto il vaso di Pandora». E i paesi occidentali, «costretti a reagire in ritardo, sono ridotti a leggere i fondi di caffè, cercando di sapere quale sarà la prossima mossa di poker ‘riunificatore’ dei russofoni separati dalla madre patria».

«Questa fede nei colpi brutali, questa nostalgia di grande potenza rispettata solo grazie alla sua forza militare, indebolisce l’immagine e l’integrazione della Russia nel gioco delle relazioni basate sulla fiducia e il diritto internazionale. Presto o tardi, Putin dovrà pagarne il prezzo», conclude La Liberté.

Didier Burkhalter, in qualità di presidente di turno dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, all’indomani del referendum in Crimea ha lanciato un appello affinché alla crisi ucraina venga trovata una soluzione diplomatica, «in uno spirito di pace e nel rispetto del diritto internazionale».

Il capo della diplomazia elvetica ha continuato a operare nel fine settimana, con colloqui «ai più alti livelli», e chiede alle parti in causa di astenersi da decisioni e azioni unilaterali che potrebbero avere gravi conseguenze.

Ha quindi richiamato gli Stati alle loro responsabilità. Bisogna, ha detto, pervenire al più presto a un consenso globale utile per l’invio di una missione di sorveglianza nel paese.

La carota e il bastone

Secondo il Corriere del Ticino, «quello che ora più preoccupa non sono tanto le sanzioni che Stati Uniti e Europa intendono mettere in campo contro Mosca». Sanzioni che, «visti i forti legami commerciali», sono a doppio taglio.

«Il vero rischio – scrive il quotidiano ticinese – è che il contenzioso sfugga di mano ai politici e, complice qualche militare estremista, sfoci in un conflitto armato». Per evitare il peggio, «è dunque fondamentale che la diplomazia occidentale mostri con chiarezza a Putin la linea rossa da non oltrepassare, usando la tattica del bastone (le sanzioni) e della carota (negoziati nei quali a Mosca bisognerà pur concedere qualcosa)».

Il problema – rileva Le Temps – è che il campo occidentale «ha poche carte in mano da far valere, malgrado l’unità di circostanza che ha mostrato nell’ultimo quarto d’ora. Pochi bastoni e praticamente nessuna carota. In altre parole non ha gli strumenti fondamentali che gli permettono di attuare una politica». Il Cremlino, i cui obiettivi rimangono un mistero, ha invece a disposizione numerosi bastoni, che può maneggiare ad ogni pretesto.

La chiave della soluzione potrebbe trovarsi proprio in Ucraina. «Toccherà a lui [ndr.: al potere ucraino] colmare al meglio i limiti dell’Occidente dando prova di moderazione – sottolinea Le Temps. Dovrà altresì resistere alle provocazioni russe, evitando di cadere nelle trappole. Per un paese la cui sorte era legata, fino a qualche settimana fa, alla riuscita della sua rivoluzione e che in un certo senso è ancora un bebè, si tratta di una responsabilità molto pesante da portare».

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