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Reddito di base: valori, ideali e posta in gioco

Anche i fautori dell'iniziativa definiscono "utopica" l'idea che lo Stato garantisca un reddito a tutti, ma proprio per questo la difendono

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L’iniziativa popolare “Per un reddito di base incondizionato”, lanciata da esponenti della società civile, mira a che lo Stato versi a tutti i cittadini una rendita mensile vitale, indipendentemente dal lavoro che svolgono o dal reddito di cui dispongono.

Il testo, che stando ai sondaggi incasserà una sonora bocciatura in votazione popolare il prossimo 5 giugno, ha dato il via a un dibattito dal tenore filosofico. Sentiamo le ragioni di fautori e contrari.

Un reddito per tutti, senza eccezioni. Giovani e anziani, impiegati e disoccupati. Ogni mese. Dalla nascita, fino alla morte. Lo chiede un gruppo di cittadini, fra cui l’ex portavoce del governo Oswald Sigg:

“È un’idea utopica. Così come fu considerata utopica nel secolo scorso la proposta di introdurre l’AVS [Assicurazione vecchiaia e superstiti, ndr], e ci vollero alcuni decenni prima della sua entrata in vigore. È il bello della democrazia diretta, mette in moto grandi idee e a volte trasforma l’utopia in realtà”.

Secondo il consigliere nazionale Fabio Regazzi, la proposta è inattuabile e dannosa:

“L’iniziativa contiene un’idea utopica e per certi versi un po’ folle che comunque pone un quesito di tipo filosofico, ma è irrealizzabile e sbagliata perché scardina uno dei capisaldi della nostra società, ovvero la meritocrazia”.

I promotori dell’iniziativa “Per un reddito di base incondizionato” dal suo lancio, nel 2012, hanno inscenato una serie di azioni dal forte impatto mediatico.

Il Parlamento, però, l’ha respinta in blocco: nessun partito la sostiene. Neanche i sindacati. Il Consiglio federale invita a votare no.

L’articolo che aspira ad entrare nella Costituzione dice:

“La Confederazione provvede all’istituzione di un reddito di base incondizionato, che deve consentire a tutta la popolazione di condurre un’esistenza dignitosa e di partecipare alla vita pubblica. La legge disciplina importo e finanziamento”.

In questa idea, spiega l’economista Sergio Rossi, i suoi sostenitori intravvedono una soluzione per fronteggiare gli effetti negativi della robotizzazione del lavoro:

“Oggi non c’è un settore verso il quale tendere quando spariranno i posti nel settore dell’industria come in quello dei servizi, che sarà anch’esso soggetto a una forte automatizzazione. L’insegnamento, le cure mediche, i lavori di segretariato. Molti spariranno. Ci saranno razionalizzazioni importanti nel settore pubblico e privato. È per questo che occorre ripensare il sistema sociale e economico nel suo insieme in modo che si liberino delle forze creative, che porti i giovani a creare le loro aziende. E questi giovani saranno liberati da quell’assillo che hanno di avere dei finanziamenti”.

Il testo non indica nessun importo. La questione è aperta, sarà il legislatore, semmai, a decidere. Gli iniziativisti tuttavia, come base di discussione, propongono di versare mensilmente 2’500 franchi agli adulti e 625 ai minorenni. In questo modo una famiglia di 4 persone percepirebbe 6’250 franchi ogni mese.

Per gli scettici, come il professor Giuliano Bonoli, il reddito garantito indurrebbe la popolazione a sedersi sugli allori:

“Questi calcoli si basano su un’ipotesi che è quella che il volume del lavoro non cambi e che le persone non adattino verso il basso la loro partecipazione nel mondo del lavoro. Ma questa ipotesi è ancora tutta da dimostrare. Io penso che tutti quelli che sono professionisti continueranno a lavorare, ma coloro che hanno lavori malpagati e poco interessanti e duri fisicamente probabilmente ridurranno la loro partecipazione al mercato del lavoro. Per cui questo significa che ci sarà meno ricchezza creata in Svizzera, meno ricchezza da spartirsi anche”.

Sulla base del modello suggerito dai fautori, il reddito di base costerebbe 208 miliardi annui; 55 miliardi sarebbero prelevati dalle attuali prestazioni sociali e 128 dal contributo della popolazione attiva, tramite prelievi sui salari; 25 miliardi resterebbero invece scoperti. C’è chi propone un aumento dell’Iva, chi l’introduzione di nuove tasse.

“I 25 miliardi mancanti”, spiega Oswald Sigg, “potrebbero essere recuperati attraverso l’introduzine di una microtassa dello 0,2 per cento sulle transazioni finanziarie. Coinvolgere il mondo della finanza, chi cioè ha più soldi, è semplice, diretto e solidale. La svizzera in questo modo potrebbe permettersi il reddito di base”.

“Sono proposte che vanno a minare la nostra competitività, che è già parecchio messa sotto pressione da fattori esterni contingenti”, commenta Fabio Regazzi. “Andrebbero esattamente nella direzione opposta a quella che dovremmo perseguire, cioè quella di rendere maggiormente competitiva la piazza economica elvetica”.

Cambiamento necessario per restare al passo coi tempi, secondo i promotori. Calamita per gli stranieri e minaccia per la politica sociale del Paese, secondo i contrari. Fatto è che gli svizzeri il 5 giugno si esprimeranno su un oggetto ad alto contenuto filosofico.

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