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Le banche hanno ancora molto da fare in termini di diversità

Tidjane Thiam und Urs Rohner
A quanto pare, l'ex amministratore delegato del Credit Suisse Tidjane Thiam non si è mai sentito veramente a casa in Svizzera. Dopo aver perso la lotta di potere con il presidente del consiglio di amministrazione Urs Rohner, a febbraio ha lasciato la grande banca. © Keystone / Walter Bieri

Le dimissioni di Tidjane Thiam dalla carica di amministratore delegato del Credit Suisse sarebbero legate anche a problemi di razzismo, presuppone un recente articolo del New York Times. L’ivoriano era l'unico direttore di una grande banca con la pelle scura. Come affronta il mondo bancario – in particolare il Credit Suisse – la questione della diversità?

Nei loro rapporti annuali, le principali banche sottolineano spesso l’importanza che la diversità e la promozione delle minoranze rivestono per loro. È quanto risulta da uno studio della società DHR International, specializzata nella ricerca di personale altamente qualificato. Per diversità s’intendono vari aspetti, come il sesso, l’origine, l’etnia, l’orientamento sessuale, l’età, la religione e così via.

Le dimissioni di Tidjane Thiam da amministratore delegato del Credit Suisse risalgono al febbraio scorso. Ma otto mesi dopo è di nuovo in prima pagina. In un ampio articolo, il New York Times si chiede se la partenza di Thiam fosse stata legata anche a problemi di razzismo.

Il giornale americano non dà una risposta chiara. Ma l’articolo dei primi di ottobre non lascia dubbi, almeno tra le righe: il colore della pelle di Thiam ha giocato un ruolo importante. Il giornale fa riferimento, ad esempio, a fatti avvenuti durante la festa di compleanno del presidente del consiglio di amministrazione del CS Urs Rohner, che a quanto pare Thiam considerava di tendenza razzista. La banca ha porto recentemente le sue scuse, su richiesta del quotidiano Guardian.

Thiam, oggi 58 anni, ha lasciato la il Credit Suisse a febbraio dopo che era emerso che la banca aveva posto diversi top manager sotto sorveglianza.

Ciononostante, non è cambiato molto, ritiene Anina Cristina Hille, che sta facendo ricerche su questo tema presso la Scuola universitaria professionale di Lucerna. I datori di lavoro in Svizzera, soprattutto le grandi banche, si impegnano in questo senso. La diversità è però un problema che deve essere risolto non solo dai datori di lavoro, ma anche dai politici e dalla società in generale.

Focus sulle questioni di genere

Per quanto riguarda la diversità, le banche (ma non solo loro) si sono finora concentrate in particolare sulla parità tra i sessi. “Quando si parla di diversità oggi, la maggior parte delle persone pensa al genere”, sottolinea Hille. “Probabilmente, da un lato, perché il genere è stata una questione politica importante negli ultimi anni e, dall’altro, perché concerne la metà della popolazione”.

Non c’è da stupirsi, quindi, che sono stati compiuti progressi soprattutto in questo settore. Uno studio della società di consulenza Oliver Wyman ha concluso, alla fine dello scorso anno, che le parole benevole delle banche stavano finalmente avendo un impatto reale. Dopo tutto, le donne occupano il 20 per cento dei posti tra i membri della direzione aziendale, ma rimangono chiaramente sottorappresentate tra i quadri, benché costituiscano la metà del personale delle banche.

Poche strutture per la promozione delle minoranze

All’ombra della questione di genere rimane la promozione delle minoranze: in un sondaggio condotto dalla Scuola universitaria professionale di Lucerna, il 92% delle aziende svizzere interrogate ha dichiarato che la gestione delle questioni legate alla diversità comprende il genere. Solo nel 49 per cento dei casi è compresa anche l’aspetto dell’etnia.

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Il divario è ancora più estremo quando si tratta di misure concrete. Il 54% delle aziende ha dichiarato di avere reti e gruppi speciali che si occupano della promozione delle donne. Solo il 9 per cento ha strutture comparabili per la promozione delle minoranze etniche.

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Il Credit Suisse è in una buona posizione

E che dire del Credit Suisse in particolare? In termini di genere, è ben posizionato rispetto al resto del settore: 3 dei 13 membri del consiglio di amministrazione sono donne. Questo è esattamente in linea con la media del settore. La direzione generale è invece composta da un numero di donne superiore alla media: la percentuale è del 27%. Nel complesso, il 22% dei quadri superiori sono donne, mentre in tutto il settore questa cifra è inferiore al 17%, secondo un sondaggio della Skema Business School.

Hille esamina regolarmente il modo in cui le varie aziende svizzere affrontano la diversità in senso lato. Nel loro sondaggio online, le aziende partecipanti rispondono a circa 50 domande sull’organizzazione generale, sulla gestione della diversità e sulla composizione del personale in termini di età, sesso, nazionalità, religione e salute/disabilità. Il Diversity Index, pubblicato per l’ultima volta nel 2018, è il risultato di questa indagine. Allora il Credit Suisse era al primo posto, davanti a IKEA e all’Istituto Paul Scherrer.

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La seconda grande banca svizzera, UBS, ha partecipato al sondaggio per l’ultima volta nel 2014 e non è entrata nella top 10, mentre il CS era al 4° posto all’epoca.

Per Hille la buona prestazione del CS non è una sorpresa. In base alla sua esperienza, le grandi aziende internazionali sono generalmente più consapevoli di come affrontare la diversità. “La parità di diritti da sola non è sufficiente nell’economia. Tuttavia, quando si sottolineano i vantaggi della diversità – ad esempio, che permette di sfruttare meglio il potenziale della forza lavoro – le aziende rispondono bene ad essa”.

C’è ancora molto da fare

Tuttavia, le banche svizzere non sono chiamate a rispondere a nessuno per questo aspetto. La situazione è differente negli Stati Uniti, patria del dibattito sulla diversità e del movimento Black Lives Matter: Lì le grandi aziende sono obbligate a fornire alle autorità dati sulla diversità della loro forza lavoro. In Svizzera non esiste uno strumento analogo.

Il Washington Post lo scorso anno ha analizzato i dati forniti dagli istituti finanziari ed è giunto alla conclusione inequivocabile: “Le banche stentano ad aumentare il numero di neri in posizioni di leadership.

Un rapporto del Comitato per i servizi finanziari della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti giunge a una conclusione analoga: le grandi banche statunitensi sono ancora saldamente nelle mani dei bianchi. C’è ancora molto da fare.

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