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Rapporto torture CIA: passo necessario per la credibilità degli USA

Anche i quotidiani svizzeri dedicano ampio spazio alla pubblicazione negli Stati Uniti di un rapporto che rivela i metodi equivalenti alla tortura utilizzati dalla CIA in interrogatori dopo l'11 settembre 2001. Keystone

Un atto necessario, anche se fa male, per ripristinare la credibilità degli Stati Uniti: è il parere dei commentatori della stampa elvetica in merito alla pubblicazione del rapporto della Commissione d'intelligence del Senato USA sulle tecniche di interrogatorio praticate dalla CIA dopo gli attentati dell’11 settembre 2001. Un rapporto stilato dopo le che lo svizzero Dick Marty per primo aveva indagato sulle carceri segrete della CIA.


Le 528 pagine pubblicate ieri sono solo un riassunto del rapporto vero e proprio sulle indagini condotte dalla Commissione d’intelligence, la quale ha esaminato migliaia di documenti e memo interni della CIA. La maggior parte delle circa 6’000 pagine del rapporto, infatti, resterà classificata segreta.

Ma quanto pubblicato basta per capire la portata degli orrori perpetrati. Come la descrizione di una serie di affogamenti mancati per poco – i cosiddetti “waterboarding” l’alimentazione o reidratazione rettale a cui erano sottoposti i detenuti, nonché le privazioni del sonno anche per una settimana di seguito che hanno subito, e anche il confinamento in spazi ridottissimi, come scatoloni, o le umiliazioni sessuali, quando venivano incatenati nudi al pavimento.

Si tratta di “tecniche di interrogatori coercitive, in alcuni casi equivalenti alla tortura”, ha affermato Dianne Feinstein, capo della Commissione d’intelligence del Senato.

In una nota, il presidente degli Stati Uniti Barack Obama è stato molto esplicito: “i duri metodi utilizzati dalla CIA sono incompatibili con i valori del nostro paese”, ha affermato, sottolineando che si tratta di metodi che “hanno danneggiato significativamente l’America e la sua posizione nel mondo”.

Un processo lento

Per arrivare a queste ammissioni pubbliche ci è però voluto molto tempo, rammenta la stampa svizzera. “Ci sono voluti due anni supplementari dal 2012 – epoca della sua approvazione al Congresso – affinché il rapporto d’inchiesta sulle pratiche della CIA fosse reso pubblico, almeno in parte. Un differimento che traduce l’estrema reticenza ad esporre sul patibolo la grande agenzia d’informazione, garante della sicurezza del paese”, scrive La Liberté.

Il quotidiano friburghese sottolinea come “i supplizi riconosciuti erano non solo inutili, ma soprattutto in contraddizione radicale con l’esemplarità di cui si reclamano gli Stati Uniti”.

La pubblicazione di questo documento era dunque una “catarsi necessaria affinché l’America sia di nuovo all’altezza dei propri ideali, il prezzo da pagare per riconquistare un’autorità morale in parte persa”, commenta il ginevrino Le Temps.

Sulla stessa lunghezza d’onda il bernese Der Bund, secondo il quale la pubblicazione del resoconto è stato un passo “doloroso, ma necessario”, perché con queste pratiche “l’America ha massicciamente danneggiato la sua credibilità quale democrazia”.

Positivo il giudizio del St. Galler Tagblatt: “Vedete, gli Stati Uniti commettono errori – anche terribili. Ma hanno la forza di imparare da essi”. Così hanno scelto la strada della trasparenza per riconquistare la credibilità perduta nella difesa della libertà, afferma il giornale di San Gallo.

Nei fatti pochi cambiamenti

Sia Der Bund, sia La Liberté ricordano però che Guantánamo è ancora in funzione, nonostante le promesse di Obama di chiudere la famigerata prigione. Il quotidiano di Berna aggiunge che “perlomeno Barack Obama non parla più eufemisticamente di ‘tecniche avanzate di interrogatorio’, come l’amministrazione Bush, ma dice chiaramente: ‘Sì, abbiamo torturato’”.

Secondo il giornale di Friburgo, invece, di fatto “il presidente democratico non è mai stato in rottura totale con le pratiche dell’era Bush” e “la sua amministrazione ha sempre difeso un’idea pragmatica: impegnare la responsabilità di ufficiali della CIA o di impiegati del Ministero della giustizia renderebbe probabile, a termine, la messa in causa per crimini di guerra dell’ex presidente Bush. Un presidente americano che comparirebbe un giorno davanti a una Corte internazionale di giustizia? Inimmaginabile: gli Stati Uniti non sono la Serbia di Milosevic né la Liberia di Charles Taylor…”

D’altronde il rapporto della CIA non è nulla di più di “un altro pezzo del puzzle nella lotta per la verità. La storia non può essere riscritta, ma con ogni nuova informazione diventa più compresibile”, commenta la Neue Luzerner Zeitung.

I meriti di Dick Marty

Der Bund rammenta d’altra parte il ruolo di un noto ex magistrato svizzero nel portare alla luce le pratiche della CIA: l’ex senatore ticinese Dick Marty, che “su mandato del Consiglio d’Europa, ha indagato da solo contro la CIA. Già nel 2006 e nel 2007, ha presentato dei rapporti sui sospetti di terroristi rapiti e prigioni segrete americane in Europa. Ciò che gli ha procurato aspre critiche da Washington. Ma è stato l’inizio di un ritorno alla trasparenza, di cui ha bisogno una democrazia. Anche quella americana”.

L'”ipocrisia” di certi europei

Lo stesso Marty, intervistato da Le Temps in merito al rapporto pubblicato ieri, saluta il passo compiuto dal presidente Barack Obama, ma si rammarica che siano occorsi più di due anni dal dibattito sui fatti prima che lo Stato americano riconoscesse finalmente i propri errori.

Il ticinese è molto severo nei confronti di alcuni responsabili di paesi europei che hanno concluso accordi con i loro omologhi degli Stati Uniti in violazione delle legislazioni nazionali e sotto il sigillo del segreto. “Gli Stati Uniti hanno fatto una scelta scellerata: hanno deciso di violare i diritti umani, ma l’hanno assunto. Invece, gli europei che si sciacquano volentieri la bocca con i diritti umani hanno calpestato i principi che pretendono di difendere. Questa ipocrisia mi scandalizza”.

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