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Per l’Austria ora il difficile compito della riconciliazione

Eletto solo con poco più di tremila voti di vantaggio, il neo presidente austriaco Alexander Van der Bellen avrà il compito difficile di riconciliare un'Austria profondamente divisa. Reuters

Dopo una palpitante attesa di quasi 24 ore che ha tenuto con il fiato sospeso l'Europa, l'ecologista Alexander Van der Bellen alla fine si è imposto per una manciata di voti alle elezioni presidenziali in Austria contro il rivale populista Norbert Hofer. All'indomani i giornali svizzeri sottolineano che se l'arrivo della destra nazionalista ai vertici del Paese è stato impedito in extremis, il pericolo resta in agguato. E non solo in Austria, ma anche nel resto dell'Europa.

“L’Austria evita il ribaltone grazie a una maggioranza casuale”, “L’Austria pende di misura dal lato del presidente ecologista”, “Anche con i Verdi l’Austria non si ricompatta”, “Un occhio nero per l’Austria”, “Van der Bellen vince dopo una corsa di alti e bassi”, “Nuovo presidente, vecchio Paese”, “La vittoria del meno diabolico”, “La polarizzazione in Europa non è bandita”, “In Austria la spuntano i Verdi”, “Solo arginato il fiume della rabbia”,”A Vienna è passata la paura. In Europa il pericolo resta”: la stampa svizzera è prodiga di titoli, all’indomani del risultato dell’elezione in cui l’ecologista Alexander Van der Bellen ha conquistato la presidenza austriaca solo per poco più di 30mila voti.

Il nuovo presidente austriaco

Alexander Van der Bellen, Sascha come lo chiamano gli amici, è un professore prestato alla politica. È nato nel 1944 da una famiglia nobile fuggita dalla Russia dopo la Rivoluzione d’ottobre prima verso l’Estonia, poi in Tirolo, che all’epoca era parte del Reich tedesco. Lui stesso ama definirsi “figlio di profughi”.

A Innsbruck Van der Bellen ha iniziato la sua carriera universitaria alla facoltà di Economia, diventando professore ordinario. Negli anni ’80 si è trasferito a Vienna, dove è entrato in contatto con la politica, prima nelle file della Spö e dopo nei Verdi.

Nel 1997, Van der Bellen ha preso in mano le redini del partito, restandone per quasi undici anni il leader. Con la sua dialettica raffinata il professore-politico, che raramente alza la voce, ha conquistato consensi anche in ambito borghese, soprattutto tra i giovani nei grandi centri urbani.

Nel 2012, dopo 18 anni di presenza ininterrotta nel parlamento austriaco, ha lasciato il Consiglio nazionale per passare al Consiglio comunale di Vienna, dove è rimasto fino al 2015.

La partecipazione alle elezioni presidenziali di Van der Bellen è stata considerata all’inizio una candidatura di bandiera, anche se da simpatizzanti dei due partiti di governo è stato definito il “candidato giusto nel partito sbagliato”. Dopo la débacle di Spö e Övp al primo turno, è diventato per loro il “candidato presentabile”, l’unico a poter salvare l’Austria da un possibile isolamento in caso di vittoria dello xenofobo Hofer.

Van der Bellen non ha ricevuto il sostegno ufficiale dei due partiti, ma numerosi rappresentanti di spicco socialdemocratici e popolari si sono espressi a suo favore. Il professore, sempre meno verde e sempre più multicolore e soprattutto europeista convinto, è riuscito così non solo a rimontare ma anche a vincere.

(Fonte: ats-ansa)

Alla fine la posta in gioco di questa elezione era di impedire la presidenza al candidato della destra nazionalista Norbert Hofer, scrive la Neue Zürcher Zeitung (NZZ). Una scommessa riuscita per un soffio, prosegue il quotidiano zurighese, per il quale “un esperimento Hofer all’Hofburg avrebbe significato incorrere in rischi inutili. Le sue affermazioni secondo cui, se necessario, avrebbe anche sfiduciato il governo, ha scatenato un malcontento che si è aggiunto all’antipatia esistente contro il populisti di destra”.

Il fatto che la FPÖ, abbia ottenuto quasi la metà dei voti, fa uscire la coalizione di governo dall’elezione con “un occhio nero che deve essere un segnale di allarme e di sveglia”, prosegue la NZZ.

Ora spetta ai partiti moderati trovare il giusto equilibrio “tra soluzioni rapide e azioni flemmatiche”, se non vogliono consegnare “il loro paese ai populisti di destra”, conclude il giornale zurighese.

Un paese “dissanguato”

Un’impresa che si preannuncia difficile. “L’Austria è un paese diviso. Più spaccato che mai. Non vi sono più possibilità di intesa tra i due campi ostili. In Polonia e in Ungheria, c’è già questa spaccatura della società. Adesso è arrivata in Austria”, scrive il Tages Anzeiger. Il primo ministro Christian Kern e il suo governo dovranno lottare contro l’odio e ricreare un clima disteso.

“Alla fine il paese esce dissanguato da questo confronto che ha diviso l’Austria come mai prima d’ora. Alexander Van der Bellen e il nuovo cancelliere socialdemocratico, Christian Kern, hanno due anni di tempo per riconciliare i cittadini con le loro politiche. In caso contrario, nel 2018 [data delle prossime elezioni legislative] non sarà un presidente, bensì un cancelliere di estrema destra che guiderà il Paese”, fa eco il corrispondente del giornale ginevrino Le Temps a Vienna.

Secondo il professore di studi europei presso l’università di Friburgo, Gilbert Casasus, intervistato dal quotidiano La Liberté, è soprattutto un sussulto civico che ha consentito di evitare la vittoria del candidato della destra nazionalista. “Ciò che ha maggiormente motivato gli elettori di Van der Bellen, è stato salvare l’immagine europea dell’Austria. Gli attacchi della stampa estera e gli avvertimenti di politici e intellettuali all’interno e all’esterno dei confini hanno risvegliato le coscienze”, sostiene il professore.

Un male comune europeo

I commentatori ticinesi leggono invece il risultato delle presidenziali austriache proprio come la raffigurazione di quanto sta succedendo in diversi Paesi europei. Un’Europa in preda a gravi problemi economici e sociali, in cui i timori dei cittadini crescono di giorno in giorno.

“Su queste paure partiti come la FPÖ del candidato presidenziale populista Norbert Hofer hanno costruito la loro fortuna elettorale, mentre in diversi Paesi europei partiti tradizionali, da anni al potere ma incapaci di rispondere alle preoccupazioni di una parte non indifferente della popolazione, ora fanno i conti con una consistente perdita di consensi”, commenta il Corriere del Ticino (CdT).

Secondo il foglio di Lugano, “il fiume populista in piena in Austria alla fine è stato arginato solo grazie a un’ampia alleanza di partiti moderati”. Ma le acque non si sono ancora placate. Di certo la FPÖ “continuerà una dura battaglia in vista delle elezioni politiche del 2018”.

Una battaglia austriaca che riflette quanto avviene in un’Europa dove “il panorama politico complessivo è tutt’altro che rassicurante”, con “l’incapacità, sia da parte di diversi Governi europei che da parte dei vertici UE, ad ascoltare i problemi dei cittadini e di proporre soluzioni credibili, che sta favorendo il preoccupante dilagare di partiti populisti pronti ad incanalare, con poco sforzo, le frustrazioni della gente”.

Analoga è la lettura della Regione, che punta il dito contro il “lungo lavoro di svuotamento di senso in cui si sono adoperate le sinistre di governo in Europa, quella austriaca inclusa, provato com’è lo spostamento di voti dalle formazioni socialdemocratiche classiche a leghe e nazionalismi d’ogni sorta”.

Il quotidiano di Bellinzona mette quindi in guardia dal tirare troppo in fretta un sospiro di sollievo, poiché se la FPÖ ha perso una battaglia, non ha ancora perso la guerra per le elezioni politiche del 2018. Ma non solo: gli orientamenti degli elettori in vari altri Paesi europei fanno presagire scelte politiche sulla stessa linea degli austriaci.

“I battimani per lo scampato pericolo; le lodi alle virtù degli elettori austriaci, appaiono né più né meno che esorcismi di un fenomeno che non si riesce più a governare e nemmeno ad arginare, e men che meno a riconoscere nei motivi che ne alimentano una crescita, apparentemente, irresistibile”, rileva la Regione.

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