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Tunisia: un attentato «insopportabile» contro la democrazia

Il massacro al Museo del Bardo ha colpito al cuore non solo la Tunisia, ma l’esperienza democratica di cui si è fatta portavoce e simbolo, scrive la stampa svizzera. Gli editorialisti sottolineano il rischio di un ritorno all'autoritarismo e di una fine definitiva della “Primavera araba”.

 

Città blindata mercoledì dopo l’attentato al Museo del Bardo. AFP

A poco più di quattro anni dalla rivoluzione dei gelsomini e dopo una lunga e travagliata stagione culminata pochi mesi fa con la prima elezione democratica della storia di un presidente, la Tunisia è sprofondata mercoledì nell’incubo del terrorismo. Il bilancio è pesante: 23 morti, di cui 20 turisti stranieri, e oltre quaranta feriti.

Si tratta di un attentato «contro la democrazia», scrive la “Neue Zürcher Zeitung”. «Insopportabile» per la molteplicità dei simboli presi di mira, gli fa eco il romando “Le Temps”.

Il Forum sociale mondiale, in programma a Tunisi dal 24 al 28 marzo, si terrà come previsto, malgrado l’attentato contro il Museo del Bardo. «L’ampia partecipazione al forum sarà la risposta appropriata di tutte le forze pacifiste e democratiche che militano in seno al movimento altermondialista per un mondo migliore, di giustizia, libertà e coesistenza pacifica», hanno dichiarato gli organizzatori in un comunicato.

Alla manifestazione parteciperà anche una delegazione svizzera di 60 persone, tra cui figura il presidente del Consiglio degli Stati (Camera alta del Parlamento), Claude Hêche. 

«Quale bersaglio più emblematico avrebbero potuto scegliere questi uomini armati di kalashnikov che il Museo nazionale del Bardo, sontuoso conservatorio di tutte le eredità storiche che fanno la ricchezza del patrimonio della Tunisia e luogo più visitato del paese? (…) Quale simbolo più forte che la Tunisia, prima in cordata in un mondo arabo assetato di dignità e sola sopravvissuta a una Primavera che altrove ha ceduto al caos o a un ritorno dell’ordine autoritario?».

Un’analisi condivisa anche dai quotidiani romandi “24Heures” e “Tribune de Genève”. Il massacro a Tunisi «si iscrive di fatto nella strategia dell’orrore a forte impatto simbolico, applicata di recente a Parigi o a Copenaghen. Se la Tunisia è presa di mira, unico paese dove la Primavera araba si radica nella democrazia, ponte tra il mondo arabo e l’Europa e oggi laboratorio certo fragile ma tangibile della politica del compromesso, è precisamente perché rappresenta un anti modello. Quello di tutti coloro che cercano di creare uno «shock delle civilizzazioni» per meglio consolidare il loro potere».

Un attentato prevedibile?

Giovedì il Primo ministro tunisino Habib Essid ha indicato che due dei presunti autori dell’attentato sono stati identificati e che si tratterebbe «probabilmente» di cittadini tunisini. La polizia ricerca tuttora eventuali complici. L’attentato non è stato rivendicato e al momento le autorità non sanno ancora quale organizzazione si nasconde, eventualmente, dietro l’attentato.

Dalla rivoluzione del gennaio 2011 che ha fatto cadere il regime di Ben Ali, la Tunisia ha visto emergere un movimento jihadista responsabile del decesso di decine di poliziotti e militari. Legato alla rete al Qaeda, Okba Ibn Nafaa è considerato come il principale gruppo jihadista in Tunisia, attivo soprattutto alla frontiera con l’Algeria.

Per la stampa svizzera questo attentato era prevedibile per diverse ragioni: il simbolo democratico rappresentato dalla Tunisia, le disparità all’interno del paese, l’emergere di movimenti jihadisti e non da ultimo la vicinanza con una Libia ormai fuori controllo.

«Malgrado la rivoluzione, il paese è ancora diviso tra un nord che concentra il potere amministrativo e ricchezze, e un sud senza posti di lavoro, senza autonomia, ancora gestito da governatorati ereditati dal colonialismo (…) che non ha ancora intravisto il minimo cambiamento legato alla transizione democratica», precisano “24Heures” e “Tribune de Genève”.

«Se ne parla poco, ma è su questo terreno che si sono sviluppate le cellule salafiste già attive alle frontiere libiche e algerine. La Tunisia fornisce anche il più importante contingente di combattenti stranieri partiti per fare la jihad in Siria e in Iraq», tra i 2000 e 3000 uomini.

La fine della Primavera

Resta da capire quali saranno le conseguenze di questo attentato per una Tunisia ancora in transizione. Gli editorialisti svizzeri non sembrano particolarmente ottimisti. Nel titolo del loro editoriale comune, “Tages Anzeiger” e “Der Bund” non esitano tra l’altro a parlare di una «fine della Primavera araba.

Per combattere il terrorismo, «i nuovi governi trovano una giustificazione per un ritorno a un potere autoritario. L’Egitto con l’allievo di Mubarak, Al-Sisi, è il miglior esempio. La Tunisia – a metà strada verso la democrazia – potrebbe cambiare presto direzione», scrivono i due quotidiani.

Le ricadute sono però anche economiche: «Il governo tunisino non potrà gestire il problema del terrorismo dall’oggi al domani, mentre il settore turistico internazionale reagirà in modo istantaneo. (…) Per uno Stato con i problemi economici della Tunisia, che ha un bisogno urgente di tutte le entrate legate al turismo, è una catastrofe».

Anche l‘”Argauer Zeitung” e la “Luzerner Zeitung” dipingono un quadro piuttosto cupo. «Questo terribile attentato nel cuore di Tunisi minaccia di far precipitare quest’ultimo baluardo di speranza nel vortice distruttivo del mondo arabo. I jihadisti dello Stato islamico in Libia sono alle porte della Tunisia. Migliaia di giovani si fanno persuadere dalla sua ideologia sanguinaria, mentre nel loro paese la disoccupazione, la povertà e la miseria aumentano. Per il governo tunisino, è ora fondamentale non perdere il sangue freddo malgrado questi omicidi e reagire con moderazione. Altrimenti la Primavera araba potrebbe finire anche in Tunisia».

Una luce di ottimismo giunge invece dalle colonne di “Le Temps”: La minaccia si è materializzata. La Tunisia barcolla, ma non cadrà. (…). Il mondo deve testimoniare la sua fiducia e il paese rimettersi in marcia. Con la stessa determinazione e intelligenza che ha dimostrato dal giorno della rivoluzione». 



Il Parlamento svizzero testimonia la sua solidarietà

«La barbarie ha di colpito ancora. Ieri sono morti degli innocenti sotto i colpi dei terroristi. Non è unicamente la Tunisia ad essere colpita al cuore, ma noi tutti. In qualsiasi parte del mondo bisogna sostenere i popoli e le democrazie di fronte al terrorismo. A nome mio e a nome del Consiglio degli Stati, la nostra emozione e il nostro sostegno al popolo e alle autorità tunisine».

– Claude Hêche, presidente del Consiglio degli Stati (Camera alta)  –


«Permettetemi di avere un pensiero di commozione per le vittime degli eventi che hanno colpito ieri la Tunisia. In seno a questo paese, che sta riuscendo la sua transizione democratica, e  tra l’altro nel momento stesso in cui i parlamentari discutevano di una legge sul terrorismo, la violenza ha colpito e ucciso una volta di più. A nome mio e a nome del Consiglio nazionale, vorrei testimoniare solidarietà e sostegno alle autorità tunisine. È importante che questa giovane democrazia sia e si senta sostenuta. Lo facciamo condannando senza riserva questi atti terroristici. Nel mondo arabo, la Tunisia rappresenta una vera speranza di pace e di democrazia. Simili atti barbarici non devono rimettere in causa ciò che questo paese e la sua popolazione sono riusciti a raggiungere finora».

– Stéphane Rossini , presidente del Consiglio nazionale (Camera bassa)  – 

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