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No alla Riforma III: il segnale di una crisi di fiducia

Secondo molti commentatori, il voto di questa domenica rappresenta una dura sberla per il ministro delle finanze Ueli Maurer. Keystone

La secca bocciatura alle urne del progetto di Riforma III dell’imposizione delle imprese esprime una crescente diffidenza dei cittadini nei confronti delle istituzioni e del mondo economico, rileva la stampa svizzera. Per alcuni commentatori, il risultato del voto è paragonabile a quello del Brexit in Gran Bretagna e all’elezione di Trump negli Stati uniti. 

Una “disfatta politica” per i partiti borghesi e una “Waterloo” per il ministro delle finanze Ueli Maurer. Così il Tages-Anzeiger e il Bund riassumono l’esito della votazione sulla Riforma III dell’imposizione delle imprese, largamente bocciata dal popolo questa domenica. Per i due giornali, il “peccato originale” commesso dalle forze di centro e di destra è stato innanzitutto quello di non compensare le perdite fiscali provocate dalla riforma, facendo pagare qualcosa anche alle imprese e ai loro azionisti. 

I sostenitori del progetto non sono riusciti a raccogliere la fiducia dei cittadini durante la loro campagna, rilevano ancora il Tages-Anzeiger e il Bund, per i quali le ragioni vanno ricercate anche nel fatto che i continui attacchi dell’Unione democratica di centro (UDC) contro le istituzioni hanno suscitato un grande scetticismo presso la popolazione nei confronti delle istituzioni. “Non si possono sempre denigrare le élite e poi dire, di colpo, ai votanti: per questa riforma complicata dovete semplicemente dare fiducia alle élite”.

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Pesante sberla 

“Il mucchio di macerie è imponente”, constata la Neue Zürcher Zeitung. “Le autorità hanno lavorato per cinque anni alla Riforma III. Ne è uscita un’enorme ‘scatola’, probabilmente la legislazione più complessa e ramificata, mai sottoposta finora ad una votazione in Svizzera. Ed ora è fallita in modo clamoroso proprio nell’ultimo round”. 

Anche per il quotidiano zurighese, il risultato di questa domenica esprime una “grave perdita di fiducia” verso le autorità. “Fino a pochi anni fa, venivano regolarmente approvate senza fatica dal popolo le proposte considerate di primaria importanza dal mondo economico, come la Riforma III. Un tempo, i votanti seguivano per istinto. Oggi, invece, in caso di dubbio preferiscono esprimere la loro diffidenza”. 

Riforma III

Il progetto di riforma dell’imposizione delle imprese aveva come scopo iniziale di adeguare la Svizzera i nuovi standard internazionali elaborati dall’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) per lottare contro le pratiche fiscali che permettono alle imprese transnazionali di ridurre o azzerare le loro tasse. Diverse regimi fiscali svizzeri si trovano già da una decina d’anni nel mirino dell’OCSE, dell’UE e del G20, che minacciano sanzioni e liste nere. 

La riforma doveva quindi servire a sopprimere queste pratiche fiscali, in particolare i regimi speciali applicati dai Cantoni per attirare holding, società miste e società di domicilio: aziende che operano all’estero e hanno solo attività amministrative o una sede fiscale sul territorio elvetico. Per evitare la partenza di queste società, che danno lavoro a 150’000 persone in Svizzera, quasi tutti i Cantoni hanno previsto di abbassare in futuro le aliquote fiscali per tutte le aziende attive sul loro territorio. 

Secondo il Partito socialista, che ha lanciato il referendum contro la Riforma III, la maggioranza di centro e di destra del parlamento ha però approfittato dell’occasione per elargire troppi regali fiscali alle aziende. Le misure decise avrebbero provocato perdite fiscali di 1,3 miliardi di franchi all’anno per la Confederazione e almeno altrettanti per i Cantoni e i Comuni. Al centro delle critiche figuravano inoltre le nuove agevolazioni fiscali concesse alle imprese, tra cui i “patent box”, gli sgravi per l’innovazione e la ricerca o la deduzione degli interessi sull’imposta sull’utile.

“L’economia, l’intero campo dei partiti borghesi e l’infelice consigliere federale Ueli Maurer hanno ricevuto una dura sberla con questo risultato così chiaro. Il voto rappresenta invece un successo fulminante per la sinistra che ha condotto da sola la battaglia su questo importante tema”, aggiunge la Neue Zürcher Zeitung. 

Una blackbox 

“Il no è l’espressione di una crisi di fiducia”, ritiene anche l’Aargauer Zeitung, ricordando che si tratta della più grande vittoria per la sinistra dal 2004, quando il Partito socialista era riuscito a far affossare un altro grande pacchetto fiscale. Innanzitutto, nota il giornale argoviese, la Riforma III assomigliava ad una “blackbox”. “Né i sostenitori né gli oppositori sono riusciti a spiegare in modo credibile quale effetto avrebbe avuto la riforma sulle entrate fiscali. Un fatto che ha avuto un grande peso, dato che il governo si era sbagliato di diversi miliardi di franchi in occasione della Riforma II”. 

“Non vale più l’equazione, ‘ciò che è buono per l’economia è anche buono per tutto il paese’. Iniziative e referendum di sinistra e di destra hanno di colpo successo, probabilmente non per caso, sulla scia della crisi finanziaria e dei suoi eccessi che hanno scosso anche da noi la fiducia nei confronti di ‘quelli che stanno sopra’. Più che il no alla Riforma III, è questa crisi di fiducia che dovrebbe dare da pensare alla Svizzera liberale”. 

Voto anti-globalizzazione 

Per la Luzerner Zeitung, il risultato di questa domenica va inteso come “un voto contro la globalizzazione”. Negli ultimi tempi “si è sistematicamente coltivata la diffidenza riguardo agli impegni internazionali e a un’economia sempre più globale. Da parte della destra contro i migranti. Da parte della sinistra contro le imprese transnazionali”. 

A detta del foglio lucernese, “in questo modo si è preparato lo stesso terreno fertile sul quale è cresciuto il Brexit in Gran Bretagna e Trump negli Stati uniti. Gli ambienti borghesi e la classe media, un tempo garanti di una politica economica e fiscale razionale, sono diventati imprevedibili. Qualcosa si è messo in movimento in Svizzera. E ciò non significa nulla di buono per un paese la cui risorsa più importante erano finora la stabilità e la prevedibilità politica”. 

Zona di incertezza 

I votanti volevano sapere “chi sarebbero stati i vincitori e i perdenti di questa riforma”, osserva Le Temps, secondo il quale le forze di destra dovranno ora rivedere le loro argomentazioni, che si sono rivelate maldestre. “Presentare gli interessi delle imprese al di sopra di coloro che lavorano e votano, ha spinto questi ultimi a far valere la loro preminenza in un sistema democratico ben ordinato”. 

“Dopo l’immensa confusione prodotta dal voto del 9 febbraio 2014 sulla libera circolazione delle persone, la Svizzera entra in una nuova zona di totale incertezza nell’ambito di un altro dossier strategico per la sua economia”, prosegue il quotidiano romando. “Le imprese non sanno più chi possono assumere ed ora non sanno nemmeno più quante imposte dovranno pagare in futuro: un paese a lungo fiero di essere un’oasi di stabilità, si ritrova ora di fronte ad un serio problema”. 

Qualcosa si è rotto 

“Per il Corriere del Ticino, il voto di questa domenica è “uno schiaffo per la maggioranza che ha sostenuto il progetto e una vittoria a mani basse e sicuramente inaspettata in queste dimensioni per la sinistra che ha lanciato il referendum. Dalle urne è scaturito forte e chiaro un messaggio di sfiducia per la politica, ma soprattutto per il mondo economico”. 

“Un tempo simili proposte non avrebbero faticato ad ottenere consenso”, ricorda il giornale ticinese. “Adesso qualcosa si è rotto. Il perché di questa progressiva disaffezione andrà attentamente analizzato. La maggioranza dei cittadini pensa forse che i suoi interessi non siano più legati a doppia mandata con quelli dell’economia, il cui sviluppo genera insicurezze, non offre le garanzie di una volta e viene considerato distante dal sistema-Paese”.

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