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Maggiore trasparenza in favore dei diritti popolari

Un referendum ha successo quando alla Cancelleria federale vengono consegnate in tempo utile 50'000 firme valide. Keystone

La democrazia diretta sta andando in rovina? I cittadini sono spogliati dei loro diritti popolari? Il fallimento dei referendum contro gli accordi fiscali ha sollevato un acceso dibattito in Svizzera. Il professore ordinario di diritto René Rhinow smorza i toni e chiede maggiore trasparenza.

Il popolo svizzero non sarà chiamato alle urne il prossimo 25 novembre per esprimersi sugli accordi fiscali con Germania, Gran Bretagna e Austria. I referendum contro queste convenzioni sono falliti, perché non sono state raccolte in tempo utile le 50’000 firme necessarie.

I comitati referendari addossano la colpa ad alcuni comuni, rei, a loro dire, di aver trasmesso le firme in ritardo.

L’Azione per una Svizzera neutrale e indipendente (ASNI) ha presentato ricorso al Tribunale federale contro la decisione della Cancelleria di non prendere in considerazione le circa 3’000 firme giunte fuori tempo massimo (vedi dettagli a fianco).

swissinfo.ch ha chiesto a René Rhinow, ex parlamentare del Partito liberale radicale (PLR) e professore ordinario di diritto all’università di Basilea, quali conseguenze potrebbe avere il fallimento dei referendum sulla democrazia diretta in Svizzera.

Ha comprensione per l’indignazione dei promotori dei tre referendum?

Capisco che per i comitati è difficile sopportare il fallimento sul filo di lana di un’iniziativa o di un referendum.

La discussione si concentra sul termine «senza indugio». Stando all’articolo 62 della Legge dei diritti politici, i servizi competenti hanno l’obbligo di rinviare senza indugio le firme attestate ai mittenti. Che cosa significa?

Senza indugio, significa che un comune non può inserire in fondo alla lista delle pendenze l’autenticazione delle firme, ma che se ne deve occupare subito.

Ciò non vuol dire, tuttavia, che un comune debba interrompere tutte le attività prima della scadenza del termine di un referendum. C’è un margine di manovra. I comitati referendari devono sapere che non possono inviare all’ultimo minuto un gran numero di firme ancora da verificare.

Perché non sono stati fissati dei termini precisi nella legge al fine di evitare queste discussioni?

Le situazioni nei comuni sono molto diverse a dipendenza della loro dimensione e di riflesso anche il numero di firme da verificare è variabile. La Confederazione si guarda bene, e a giusta ragione, dal fissare delle disposizioni troppo restrittive. I comuni fanno parte dei cantoni e questi vedono con sospetto ogni tipo di ingerenza da parte di Berna.

Inoltre, se ben ricordo, non ci sono mai stati problemi di questo genere in passato.

Negli ultimi referendum non è andato tutto per il verso giusto. Diversi comuni hanno rinviato le firme in ritardo. Qualcuno propende per una revisione della legge.

Non credo sia necessario avviare la macchina legislativa ed emanare nuove leggi a causa di un solo contrattempo.

Ma se ci fosse la volontà politica, la Confederazione, nel quadro della legge vigente, potrebbe promulgare direttive più precise per il trattamento delle firme.

Una volta, era soprattutto la sinistra a lanciare iniziative e referendum. Oggi, invece, è in special modo la destra conservatrice a far uso di questo strumento democratico. Come mai?

Un tempo, i diritti popolari erano usati soprattutto da quegli attori che non erano rappresentati in governo, erano minoritari oppure assenti dal parlamento. Tentavano di raggiungere così i propri obiettivi. I partiti di centro potevano contare su una maggioranza e quindi non dovevano far capo a questo espediente. Nel frattempo, la situazione è cambiata notevolmente, anche perché le iniziative popolari sono un ottimo strumento pubblicitario per un partito.

In un anno elettorale, ci si impegna per compattare le fila, indipendentemente dal successo della raccolta delle firme. Spesso, i testi sono formulati male, in maniera populistica con l’obiettivo di segnalare agli elettori la grande volontà e il forte desiderio di cambiamento. La loro applicazione può però creare non pochi problemi.

È un’evoluzione preoccupante perché le iniziative popolari sono state create per modificare la Costituzione e non per dei postulati politici.

Recentemente, il Partito liberale radicale ha lanciato, senza successo, l’iniziativa «Stop alla burocrazia». Come mai?

La colpa è da attribuire al contenuto del testo. L’iniziativa non era motivata dalla volontà politica, ma da fini puramente elettorali. La burocrazia va combattuta nella quotidianità e non con altisonanti norme costituzionali. Inoltre, il partito stenta ad ammettere che i suoi membri non sono particolarmente alacri nella raccolta delle firme.

Per raccogliere le firme necessarie, ci vuole entusiasmo, impegno e determinazione. Sono atteggiamenti che si trovano più facilmente nei partiti di destra e sinistra, perché i loro membri sono convinti che sia necessario cambiare la società o lo Stato. Questo atteggiamento è meno presente nel Partito liberale radicale. Forse i promotori dell’iniziativa hanno sottovalutato questo elemento e hanno atteso troppo a lungo.

Quasi tutti i grandi partiti hanno pagato persone disposte a raccogliere firme per le loro iniziative o i loro referendum. Come giudica questa strategia?

Non tutti possono permetterselo. È un’evoluzione che cela un problema: non si gioca più ad armi pari. Le firme andrebbero raccolte e non fatte raccogliere.

Come fermare questa evoluzione?

Sono una persona di vedute liberali e quindi sono titubante quando si parla di divieti. In questo caso, la trasparenza è importante.

Magari varrebbe la pena consigliare ai cittadini di chiedere alle persone addette alla raccolta delle firme se lo fanno per convinzione politica o per soldi: in questo caso dovrebbero rifiutare di mettere il loro nome nel formulario, indipendentemente dal contenuto dell’iniziativa.

Da tempo, i politici di sinistra vogliono maggiore trasparenza per quanto riguarda il finanziamento dei partiti. I borghesi sono piuttosto per uno status quo. Lei, da che parte sta?

Sono dell’opinione che è necessaria una maggiore trasparenza nel finanziamento dei partiti. E lo dico con la consapevolezza che ogni regola corre il pericolo di essere aggirata.

Dobbiamo stare attenti, tuttavia, a non parlare soltanto del finanziamento dei partiti, poiché il problema maggiore è il finanziamento delle votazioni. I partiti in Svizzera, in confronto, sono delle misere strutture. Quando ci sono votazioni, molto denaro scorre proprio al di fuori dei partiti.

I referendum contro gli accordi fiscali con Germania, Gran Bretagna e Austria sono falliti.

I comitati referendari – capitanati rispettivamente dall’Azione per una Svizzera neutrale e indipendente (ASNI, destra conservatrice) e dalla Gioventù socialista (sinistra) – non sono riusciti a raccogliere le 50’000 firme necessarie entro i termini prescritti dalla legge.

I promotori hanno addebitato la responsabilità del fallimento ai comuni, a loro avviso rei di non aver attestato senza indugio le firme. Per esempio, i comitati hanno ricevuto un pacco con 1500 firme attestate dal canton Ginevra dopo la scadenza del termine di consegna visto che l‘invio è avvenuto tramite posta B e non A (spedizione rapida).

Gli avversari delle convenzioni fiscali hanno consegnato alla Cancelleria federale le firme riavute in ritardo, ma attestate in tempo utile.

Dopo il conteggio della Cancelleria federale, con queste firme, i referendum contro gli accordi fiscali con Germania e Gran Bretagna avrebbero avuto successo.

L’ASNI ha impugnato la decisione della Cancelleria federale di non prendere in considerazione le firme giunte in ritardo e valide, inoltrando ricorso al Tribunale federale (la Corte suprema svizzera).

Il 25 novembre prossimo il popolo sarà chiamato a esprimersi su un solo oggetto in votazione, ossia sulla modifica della legge sulle epizoozie.

A metà ottobre, la Commissione delle istituzioni politiche del Consiglio nazionale (Camera del popolo) ha deciso che i comuni devono attestare la validità delle firme entro un termine stabilito.

La responsabilità per l’attestazione delle firme in tempo utile non sarebbe più dei comitati referendari bensì dei comuni. Dovrebbero dunque essere fissati termini diversi per la raccolta delle firme e per l’attestazione della loro validità.

Al momento, le firme devono essere attestate prima della scadenza dei termini di consegna presso la Cancelleria federale, altrimenti non sono considerate valide. Questa procedura suscita una grande insicurezza tra i promotori perché questi ultimi dipendono dai comuni, indica la Commissione.

Le proposte della Commissione saranno ora sottoposte al parlamento.

(Fonte: ats)

(Traduzione dal tedesco, Luca Beti)

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