La televisione svizzera per l’Italia

Cinque minuti non significano cinque minuti ovunque

orologio gigante
In Svizzera il "quarto d'ora accademico" non è particolarmente apprezzato. © Keystone / Christian Beutler

In Svizzera ho dovuto imparato a mie spese che il tempo è una cosa seria.

Recita l’adagio, che nei luoghi comuni c’è un fondo di verità. Nata scettica, quando vent’anni fa mi sono trasferita per amore da Roma a Berna ero ancora convinta che quell’idea di orologi, cioccolata e freddezza dei costumi fosse una leggenda metropolitana.

Immaginate lo choc, quando gli eventi mi hanno mostrato senza ombra di dubbio che cinque minuti non hanno lo stesso significato in Italia centrale e in Svizzera tedesca.

Nella mia amata caput mundi il “quarto d’ora accademico”, quella bonaria tolleranza di un po’ di ritardo, fa parte del DNA cittadino. Per dire tutta la verità, con quarto d’ora una romana può intendere anche trenta o più minuti. Il traffico, si è rotta la macchina, c’era una fila mostruosa alla posta, ho perso le chiavi di casa … il catalogo delle giustificazioni è talmente un classico, che a Roma non è indispensabile spiegare perché sei in ritardo, il tuo interlocutore invariabilmente sarà a sua volta in ritardo più volte al giorno, sicché vige una tacita solidarietà fra pasticcioni.

“A Roma 12 minuti di ritardo sono noccioline, a Berna la signora mi disse che non era interessata ad avere una cliente tanto incivile e senza battere ciglio mi mise alla porta”.

Ho dovuto imparare a mie spese che invece in Svizzera il tempo è una cosa seria. La prima volta è stata con un’estetista, avevo preso appuntamento e sono arrivata trafelata con 12 minuti di ritardo. A Roma sono noccioline, a Berna la signora mi disse che non era interessata ad avere una cliente tanto incivile e senza battere ciglio mi mise alla porta.

Poi vennero i primi tentativi di trovare amiche nella mia nuova città. In fondo mica si vive di solo amore, famiglia e lavoro, una rete sociale serve. Soprattutto ad una romana che è fin da bambina abituata a conoscere centinaia di persone, ché nella enorme capitale si diventa amici in un istante, l’edicolante ti dà del tu, il barista ti chiede come sta tua madre e le ore trascorse a fare eterne file si trasformano in occasioni per conversazioni lunghe, talvolta piene di rabbia, spesso ricche di risate e confessioni personali.

ritratto di serena tinari
Un’italiana a Berna – Rubrica semiseria di mediazione culturale Nata a Pescara e cresciuta a Roma, la giornalista Serena Tinari vive dal 2002 nella capitale svizzera. In questa serie, che fa seguito a quella di Gaëlle Courtens da Roma, ci propone il suo sguardo sulla realtà svizzera e su usi e costumi confederati. tvsvizzera
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Ci rivediamo… tra tre mesi!

Che gioia quando conobbi per caso una regista bernese che chiameremo Annemarie. Brillante, simpatica, inglese e francese perfetti, persino attiva nel mio settore professionale. Appena giunta in Elvezia con tre parole di tedesco in tasca, quell’incontro mi sembrò primavera. Le proposi allora di vederci una sera, magari andiamo al cinema, ci beviamo un drink.

Annemarie tirò fuori l’agenda e mi propose una data. Tre mesi da quel giorno. Convinta fosse un equivoco, magari linguistico, le dissi: “Guarda che mancano tre mesi, intendi piuttosto fra una o due settimane?”. Mi guardò come fossi pazza e confermò che di tre mesi da quel giorno si trattava, aggiungendo che la cosa “qui da noi è normale”.

A Roma, proporre ad una potenziale amica un appuntamento dopo tre mesi vuol dire una cosa sola: non mi interessa frequentarti, ma per buona educazione fingo di proporti una data. Anche i sanpietrini infatti sanno che da lì a tre mesi chissà quante cose succederanno. Perderai le chiavi di casa, rimarrai decine di volte bloccata nel traffico, e quella fila mostruosa alla posta… Ci rimasi quindi male e a lungo meditai sul fatto che ad Annemarie ero evidentemente antipatica.

In quei primi anni in Svizzera, insieme a mio marito e a suo figlio, un bimbo dolce che aveva appena dieci anni, viaggiavamo tanto. Ogni occasione era buona per correre nella mia fascinosa città per un weekend lungo e c’era ancora quel bel treno notturno, che emozione svegliarsi a Roma Termini, il cielo blu smaltato, il cappuccino, la pizza e la mamma.

A rischio divorzio

Abbiamo rischiato però tante volte il divorzio a causa del tempo. Bernese doc, mio marito infatti arriva sul binario massimo 5 minuti prima che parta il treno. Ha sempre argomentato: cosa ci vai a fare prima?

In Italia, ci sono molte buone ragioni per arrivare in anticipo in stazione. Anzitutto, non sai mai cosa succederà nel tragitto. Ci sarà traffico, si romperà l’autobus, il tassista darà in escandescenze e tu dovrai tornare a casa perché hai dimenticato il cellulare sul comodino (uscivi di corsa, in ritardo). Il binario cambia ogni giorno, mistero della fede dove troverai il tuo treno, che peraltro potrebbe essere cancellato all’ultimo momento.

In Svizzera sono eventi rari e d’altronde i treni arrivano in stazione una manciata di minuti prima di ripartire. I binari sono poco accoglienti, umidi e freddi, panchine scomode, luoghi costruiti per passarci minuti, mica ore.

Così lui, lo svizzero, costringeva me e la creatura a prendere il tram all’ultimo istante possibile. Non pago, quando arrivavamo in stazione e per me eravamo già destinati a perdere il treno, lui placido andava a comprare il giornale. Allibita, contavo fino a cento per non mettermi a urlare.

Trovammo infine un compromesso. Io e il bambino andavamo al binario e appena possibile ci sedevamo nel vagone, lui faceva le sue cose e invariabilmente saltava sul treno subito prima della chiusura delle porte. Sono passati due decenni e sono diventata estremamente puntuale. Ho introiettato lo “Swiss Time” e quando sono di passaggio a Roma mi faccio detestare da amici e parenti. Li aspetto allo scoccare del minuto. Tutti lo trovano francamente sconcertante.

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