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Anche in Svizzera “i treni non sono più quelli di una volta”

uomo guarda pannello con orari dei treni
Per il momento non sono annunciati ritardi. © Keystone / Peter Klaunzer

Parlare male delle ferrovie è una caratteristica che accomuna molti paesi e la Svizzera non sfugge a questa regola.  

A nord del Gottardo abbiamo persino una parola per dirlo. Si chiama “FFS bashing”, ovvero parlare male delle Ferrovie federali svizzere. Si usa farlo al telefono, al bar con gli amici, scrivendo lettere ai giornali e naturalmente pubblicando filippiche sui social media.

La puntualità da queste parti è materia di orgoglio nazionale ed i treni svizzeri sono famosi per la perfezione, sicché il motto “i treni non sono più quelli di una volta” è diventato un tormentone.

Sono un’affezionata cliente delle ferrovie nostrane, che uso di continuo per attraversare il paese, quindi come ogni utente se ci penso un attimo, è vero che ho una serie di lamentele pronte all’uso. Una App particolarmente spiona, manca poco ti chieda il gruppo sanguigno e le abitudini sessuali. La scomparsa progressiva degli esseri umani, tanto che sempre di più il tuo rapporto con l’azienda passa per monitor e tastiera. Treni sporchi a fine giornata, pienissimi nelle ore di punta. Prezzi troppo alti, tanto che nella Confederazione tutti hanno un abbonamento cosiddetto “metà-prezzo”, ché altrimenti proprio non ce la fai. E la cancellazione dei meravigliosi treni notturni verso le capitali d’Europa, che ci costringe a viaggiare in aereo.

ritratto di serena tinari
Un’italiana a Berna – Rubrica semiseria di mediazione culturale Nata e cresciuta a Roma, la giornalista Serena Tinari vive dal 2002 nella capitale svizzera. In questa serie, che fa seguito a quella di Gaëlle Courtens da Roma, ci propone il suo sguardo sulla realtà svizzera e su usi e costumi confederati. tvsvizzera

Tuttavia, essendo cresciuta a Roma e vissuta nel caos creativo di quella capitale fino a venti anni fa, l’FFS bashing mi scatena in genere attacchi di risate isteriche. Per esempio quando il treno entra in stazione e l’altoparlante annuncia, la voce del controllore contrita, “abbiamo un ritardo di tre minuti. Ci scusiamo e vi ringraziamo della comprensione”.

Fra alieni ci si riconosce

Non è un refuso, loro si scusano per tre minuti di ritardo. La cosa drammatica è che intorno a te nel vagone vedi labbra tese ed occhi alzati al cielo, i veri svizzeri non sono inclini al perdono per 180 secondi di ritardo.

Fra alieni, invece, ci riconosciamo subito: naturalizzati o di passaggio, ci scambiamo uno sguardo fra l’allucinato e l’ilare, perché conosciamo il mondo normale, quello fuori dalla magica Elvezia.

Nella mia Italia, per esempio, i treni sono molto spesso in ritardo e parliamo di ore, mica minuti. Trenitalia fa ammenda col braccino corto, come si dice a Roma, ovvero tirchi a dir poco: ti rende il 25% del prezzo del biglietto per un ritardo compreso tra 60 e 119 minuti; 50% se sono almeno 120 minuti. Sostengono gli italiani, che i treni accelerino all’improvviso quando sta per scattare il fatidico cinquantanovesimo minuto.

Misteri all’italiana

E poi ci sono i mille disservizi quotidiani. I convogli meno che super veloci sono sporchi e ti può toccare temperatura da colonia penale in Siberia in inverno, mentre in estate l’aria condizionata sarà spenta, i finestrini sigillati.

Negli anni, su molte tratte anziché diminuire il tempo di percorrenza si è allungato, un tipico mistero all’italiana. I rimborsi per compensare i ritardi, poi, sono temutissimi. Se non sei un nativo digitale, devi andare allo sportello per trasformarli in un buono valido dodici mesi, il che può significare anche un’ora in fila alla stazione. Intendiamoci, se hai pagato con una carta puoi ricevere il denaro sulla carta, se l’hai pagato in contanti potrebbero dartelo in contanti, a seconda del tipo di treno cambia la procedura e via complicandosi la vita, perché noi italiani siamo creativi e moltiplicare i formulari ci piace.

Un venti franchi come una reliquia di padre Pio

Noi svizzeri, queste cose le facciamo in un’altra maniera. Di recente c’erano i miei genitori in visita. Vengono spesso e adorano la placida Berna. Intendiamoci, di Roma amano anche l’ultimo marciapiede, ma la città è faticosa da vivere e negli ultimi anni, giurano, non fa che peggiorare.

Da bravi pensionati, quando sono da noi visitano musei e fanno gite in treno. Anche loro hanno l’abbonamento “metà-prezzo” perché abbiamo calcolato che il costo si ammortizza con un paio di viaggi a cavallo delle Alpi.

Eppure, una sera sono rientrati a casa con le guance rosse da innamorati, gli occhi a forma di croce svizzera. C’è che avevano sbagliato a fare il biglietto del treno per la gita a Neuchâtel, avevano speso troppo. Il controllore se ne accorge e glielo segnala. Loro tapini già temevano rifilasse loro un buono per il rimborso all’italiana. Macché. Quello tira fuori il portafogli e restituisce loro il contante di troppo, una banconota da venti franchi che mia mamma mi ha mostrato come fosse una reliquia di padre Pio. L’evento ha conquistato due nuovi fan alle ferrovie svizzere. Il problema è che ogni anno che passa io divento più bernese e così l’altro giorno mi sono beccata con le mani nella marmellata. Ero al telefono con un’amica che vive a Winterthur ed eravamo intente al più classico FFS bashing. Non ditelo a mia madre.

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