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Caso BSI, la confisca di 95 milioni non è stata corretta

Keystone / Karl Mathis

La confisca di 95 milioni ordinata dall'autorità federale di vigilanza dei mercati finanziari (Finma) alla banca ticinese BSI, coinvolta nello scandalo del fondo sovrano malese 1MDB, non è stata corretta.


A dirlo è stato Tribunale amministrativo federale (Taf) che ha accolto il ricorso della società finanziaria nel frattempo rilevata dalla zurighese Efg. Secondo quanto scrivono i giudici federali la BSI, in passato controllata dal gruppo assicurativo Generali, ha ripetutamente violato tra il 2011 e il 2015 le normative sul riciclaggio e sulle banche nell’ambito del caso di corruzione del fondo malese e sono emerse gravi infrazioni alle disposizioni sulla vigilanza legate in particolare (ma non esclusivamente) alla filiale di Singapore dell’istituto finanziario elvetico.

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In seguito a questo caso internazionale la Finma aveva disposto la confisca dell’utile indebitamente conseguito dalla BSI, stimato in 95 milioni ma la banca aveva interposto ricorso che ora ha ottenuto un parziale riconoscimento da parte della giustizia. Se è infatti vero che il Taf ha confermato le gravi violazioni commesse dall’istituto, dall’altro lato reputa “incomprensibile” la stima della Finma di tale importo che a suo dire non è stata effettuata in modo corretto.

La confisca, a detta dei giudici amministrativi, può corrispondere solo all’utile effettivamente realizzato in grave violazione di disposizioni legali mentre nel caso concreto la Finma, cui è stato ora rinviato il dossier, aveva motivato quella somma con la rinuncia a una seconda confisca legata a un caso diverso, riguardante una vicenda di corruzione in Brasile.

La sentenza del Taf, contro cui è sempre configurabile un ulteriore ricorso al Tribunale federale da parte della Finma, non cambierà però i destini della BSI: l’ex Banca della Svizzera italiana, fondata a Lugano nel 1873, è stata infatti conglobata nel gruppo Efg dopo che l’autorità di vigilanza ne aveva sancito la sua fine.

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