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Pena ridotta per la guardia di confine

Centocinquanta aliquote da 150 franchi con la condizionale: il Tribunale militare d'appello di Zurigo ha ridotto in seconda istanza la pena per la guardia di confine svizzera a processo per l'aborto spontaneo di una siriana rinviata nel 2014 in Italia.

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L’imputato – un sergente maggiore oggi 58enne – doveva rispondere all’accusa di aver negato il necessario aiuto medico alla donna che il 4 luglio di quattro anni fa, dopo essere arrivata in treno a Domodossola, diede alla luce una bambina nata morta.

Nella sentenza annunciata questo pomeriggio, la seconda istanza lo ha giudicato colpevole di lesioni colpose e ripetuta inosservanza di prescrizioni di servizio, limitandosi a una pena pecuniaria sospesa di 150 aliquote giornaliere da 150 franchi. 

Un anno fa l’imputato era invece stato ritenuto responsabile anche di tentata interruzione di gravidanza: il Tribunale militare 4 di Berna aveva perciò fissato la pena a sette mesi di detenzione sospesi e 60 aliquote giornaliere da 150 franchi, pure con la condizionale.

Richiesti dal pm tre anni di carcere

Al processo d’appello, il pubblico ministero ha richiesto ieri una pena detentiva di tre anni, di cui almeno sei mesi da scontare. “L’imputato e le altre guardie di confine non solo non hanno chiesto aiuto, ma hanno anche mancato di umanità”: non hanno chiesto nemmeno un volta alla donna come stava, ha dichiarato l’avvocato della famiglia della donna siriana. 

La difesa si è invece battuta per il proscioglimento, sostenendo che nulla indicava inizialmente che l’imputato si trovasse di fronte ad un caso urgente in cui occorreva intervenire.

Le due versioni 

Davanti alla corte d’appello la donna, che oggi ha 27 anni, ha affermato che tutti avrebbero potuto vedere che non stava bene. Sui suoi pantaloni bianchi erano visibili tracce di sangue. Suo marito e altri parenti chiesero inoltre ripetutamente di chiamare un’ambulanza.

L’imputato ha invece sostenuto di non essersi accorto di nulla di particolare al momento di assumere la responsabilità dell’operazione di rinvio. Il sottufficiale ha dichiarato di essersi reso conto che la donna stava male soltanto quando le persone che l’accompagnavano hanno dovuto caricarla a braccia sul treno. Prima che il convoglio partisse per Domodossola, ha perciò informato i colleghi italiani che sul treno c’era una donna incinta che stava male.

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