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Salari in euro, una sentenza che fa discutere

Salari pagati in euro ai frontalieri a un tasso di cambio sfavorevole, per il Tribunale federale l'indennizzo chiesto dopo anni dai lavoratori che hanno accettato la deroga è abusivo. Keystone

Sindacati e padronato sono accomunati da un certo stupore - misto alla necessaria prudenza, in attesa delle motivazioni - per la sentenza di martedì con cui il Tribunale federale ha accolto il ricorso di due imprese che avevano pagato i dipendenti in euro a un cambio ritenuto sfavorevole.


Come riferito in una nota l’Alta corteCollegamento esterno non ha voluto pronunciarsi sull’eventuale discriminazione dei lavoratori in relazione all’Accordo sulla libera circolazione delle persone (articoli 2 ALCP e 9 dell’allegatoCollegamento esterno), limitandosi a rilevare un abuso nella pretesa dei due salariati frontalieri che in una situazione del tutto particolare avevano accettato nel 2011 una modifica delle disposizioni contrattuali, sapendo che uno stipendio corrisposto in franchi svizzeri a un tasso di cambio ufficiale avrebbe loro garantito una somma in euro superiore a quella effettivamente percepita.

Il vicepresidente di Unia Aldo Ferrari Keystone

“Il Tribunale federale non si è assunto la responsabilità che gli compete”, ci dice Aldo Ferrari, vicepresidente di Unia ed è assolutamente incomprensibile il motivo per cui non abbia voluto esprimersi su una questione così importante”. Per il dirigente sindacale questo approccio pone seri interrogativi riguardo ad una possibile estensione di questo ingiusto trattamento ai collaboratori residenti in Svizzera. Il risultato, “che trascende l’aspetto eminentemente giuridico, è che adesso graverà sul lavoratore l’onere di aver accettato salari inferiori rispetto ai colleghi di fronte alla concreta prospettiva di perdere l’impiego”.

“Si tratta di una decisione sorprendente”, indica da parte sua Stefano Modenini, direttore dell’Associazione industrie ticinesi (AITI). “In linea di principio le remunerazioni, a parità di prestazione, devono essere uguali e al tasso di cambio del giorno. Questo è comunque un caso particolare e bisogna leggere le motivazioni della sentenza per una valutazione esaustiva”. In passato, ha aggiunto il rappresentante degli imprenditori ticinesi, avevamo evidenziato che in presenza di situazioni economiche contingenti le parti possono concordare determinate deroghe alle disposizioni contrattuali. Ma ad ogni modo non sembra che oggi ricorra questo scenario e non abbiamo notizia di casi analoghi”.

A questo riguardo “il contratto nazionale di Swissmem prevede un articolo di crisi in base al quale sono ammessi aumenti di orario nei turni dei dipendenti a parità di salario ma questo può avvenire solo in casi eccezionali”.

Il direttore degli industriali ticinesi (AITI) Stefano Modenini RSI-SWI

L’impressione è che questo verdetto del Tribunale federale, che sconfessa le precedenti decisioni rese dalle corti cantonali di Sciaffusa e Giura, non susciti particolari contrapposizioni tra le parti sociali che avvertono entrambe i rischi di un’eccessiva deregolamentazione del mercato svizzero. Anche la maggioranza degli imprenditori, sottolinea Aldo Ferrari, non condivide l’orientamento di Losanna, ma dipende molto dal ramo economico”. La questione infatti “non si pone per i settori ad alta concentrazione di lavoratori distaccati”, osserva il vicepresidente Unia, “ma nell’industria d’esportazione che può essere messa sotto pressione” da questo genere di pratiche che possono “innescare una reazione a catena”.

Sull’altro fronte non si fa mistero che il versamento di salari in euro, sostiene Stefano Modenini, possa “perturbare gli attuali equilibri nei rapporti di lavoro e non è quindi il caso di creare problemi”. Esistono contratti che prevedono bande di oscillazioni dei cambi per attività svolte in prevalenza all’estero, precisa il direttore delle industrie ticinesi, ma si tratta di casi specifici. “La facoltà attribuita alle parti di derogare in un ambito delicato come quello salariale deve essere circoscritta dal momento che i rapporti di forza non sono paritari”.

A questo punto ci si può porre l’interrogativo sui possibili sviluppi di questa vicenda giudiziaria, che impatta in modo rilevante sul mondo del lavoro. Da parte sindacale, come rileva Aldo Ferrari, si teme che “le ditte svizzere siano incoraggiate ad assumere collaboratori proveniente dai paesi europei a tutto svantaggio della manodopera residente” e per questo motivo andrebbe fissato a livello legislativo il principio che “i salari debbano essere corrisposti unicamente in franchi svizzeri”, a differenza di quanto prescrive oggi il Codice delle obbligazioni. Anche perché, riconosce Stefano Modenini, “non si può scaricare il rischio d’impresa sul lavoratore”.

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