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Il Ticino ferma le raffinerie d’oro, nel mondo scarseggiano i lingotti

Oro fuso che cola in una forma per dar vita a un lingotto di un chilogrammo.
Tre tra le più importanti raffinerie di oro sono in Ticino. Ora sono chiuse a causa dell'emergenza sanitaria. Keystone / Karl Mathis

Tra gli effetti collaterali dell'emergenza sanitaria ce n'è uno tutto ticinese che coinvolge però il mondo intero. La decisione del Canton Ticino di chiudere tutte le attività commerciali e produttive private almeno fino al 29 marzo ha fermato la produzione di lingotti d'oro delle tre raffinerie ticinesi, tra le più importanti al mondo. Questo non dovrebbe tuttavia incidere sul prezzo del metallo prezioso.

Le fonderie svizzere lavorano ogni anno il 70% dell’oro grezzo estratto nel mondo (vedi articolo a lato). Quattro dei nove leader mondiali sono attivi in Svizzera, tre dei quali in Ticino. Queste raffinerie sono tra le principali fornitrici di lingotti con il marchio London Good DeliveryCollegamento esterno, una certificazione che distingue tra l’altro l’oro che finirà direttamente nelle riserve auree delle banche centrali, o nei caveau della banche private di tutto il mondo.

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Diversi lingotti d oro con la scritta fine 999,7

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Chiusa l’attività delle tre raffinerie a causa del coronoavirus, anche i lingotti d’oro potrebbero scarseggiare, con la conseguenza puramente teorica di sostenere il prezzo del metallo prezioso.

L’oro però non è il petrolio, ci ricorda Nicola Lafranchi, direttore area mercati finanziari alla Cornèr Banca di Lugano: “La quantità di oro sul mercato è sempre più o meno la stessa. Non è come il petrolio che viene consumato. Il discorso della scarsità fisica attuale che potrebbe condizionare verso l’alto il prezzo dell’oro sostanzialmente non tiene. A differenza del petrolio, in questo caso, non c’è neppure in gioco un discorso geopolitico, che ne so, la Russia continua a immettere greggio sul mercato mentre l’Arabia Saudita vorrebbe diminuire la produzione per far salire i prezzi. Nel nostro caso, anche se le maggiori raffinerie sono attualmente chiuse, questa diminuzione di disponibilità fisica di lingotti non comporta automaticamente un aumento del suo valore”.

Va però detto che la Valcambi Collegamento esternoSA di Balerna (la raffineria più importante del mondo in termine di tonnellate di oro trattate) con la Pamp Collegamento esternoSA di Castel San Pietro e l’Argor HeraeusCollegamento esterno di Mendrisio raffinano annualmente fino a 2’500 tonnellate di oro. Solo la Valcambi SA produce giornalmente 4 tonnellate di lingotti.

Ora tutti i forni sono spenti. La produzione è ferma almeno fino al 29 marzo ma l’Argo Heraeus ha già comunicato che prima del 5 aprile non riprenderà la sua attività. Questo immancabilmente influirà sulla quantità di lingotti prodotti.

“La minor disponibilità fisica potrebbe a breve termine influenzare il prezzo dell’oro”.
Michael Mesaric, Ceo della Valcambi SA

Michael Mesaric, Ceo della Valcambi SA è conscio della gravità dell’emergenza sanitaria: “La situazione creatasi a causa del coronavirus non è ideale, ma capisco che siano state prese queste misure drastiche. Per noi è un danno economico importante. Inoltre la decisione del canton Ticino – che capisco – è illegale secondo la Confederazione per cui il lavoro ridotto non è riconosciuto”. 

Sulla stessa lunghezza d’onda Christoph Wild, Ceo dell’Argor Heraeus di Mendrisio: “La salute e la sicurezza dei nostri collaboratori, della comunità e di tutti i partner è la nostra priorità numero uno. Questa misura ticinese alquanto restrittiva sia per la nostra attività come pure per l’economia globale è dovuta e la rispettiamo”.

Lo stop alla produzione inciderà sul prezzo dell’oro? “Le maggiori raffinerie di oro nel mondo sono ferme – continua Michael Mesaric – è chiaro che la minor disponibilità fisica di oro potrebbe a breve termine influenzarne il prezzo. Posso aggiungere che in questo momento abbiamo molte richieste”.

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È anche vero (vedi grafico) che il prezzo dell’oro è calato la settimana scorsa. Da alcuni giorni ha ripreso a salire. “Il deprezzamento della scorsa settimana – spiega Nicola Lafranchi – è principalmente dovuto al fatto che in momenti di paura o di crisi, l’oro è uno degli attivi che viene venduto per prima. Insieme all’oro sono infatti scesi anche fondi e obbligazioni. Il calo è dunque dovuto essenzialmente a questo fattore. Adesso, chi ha dovuto vendere, ha venduto. Chi compra, lo fa per i motivi di sempre, ad esempio per proteggersi dalla recessione. Così il valore dell’oro è tornato ai valori antecedenti alla caduta della scorsa settimana”.

“Solitamente quando la borsa crolla si investe nell’oro. Questa volta con la borsa è precipitato anche il prezzo dell’oro”
Nicola Lafranchi, Cornèr Banca

Nicola Lafranchi ci fa notare che già durante la crisi finanziaria del 2008 è successa una cosa analoga: “Chi aveva bisogno di liquidità ha venduto obbligazioni, azioni di qualità e oro. Questi prodotti sono i più facili da vendere immediatamente per poter far cassa”.

Il metallo prezioso resta un bene rifugio? “Certamente – risponde Nicola Lafranchi – ma in quanto bene rifugio, mantiene o aumenta il suo valore a medio, lungo termine. A breve termine può succedere di tutto. Di solito quando la borsa crolla si pensa che sia utile investire nell’oro. Questa volta con la borsa è precipitato anche il prezzo dell’oro”.

Intanto secondo il quotidiano economico italiano “Il Sole 24 ore” a febbraio le esportazioni di oro della Svizzera si erano più che dimezzate. Questo perché il maggior destinatario dell’export d’oro elvetico è l’Asia dove l’emergenza sanitaria è iniziata prima (il 34% dell’oro va in Cina e a Hong Kong). Con il coronavirus, che ha contagiato tutto il mondo, e le misure prese dal Canton Ticino, a marzo le esportazioni di oro della Confederazione si sono probabilmente fermate del tutto.

Ogni anno la Svizzera esporta per un valore attorno ai 70 miliardi di franchi. Questo stop inciderà dunque pesantemente sulle esportazioni svizzere del mese di marzo e forse anche dei mesi seguenti, a seconda dell’emergenza sanitaria.

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