Il cambiamento climatico modifica in parte i pericoli naturali nelle Alpi
Scienziati e autorità, anche in tempi recentissimi, associano il riscaldamento climatico all'aumento dei pericoli naturali nella regione alpina.
Ricercatori e ricercatrici pilotate dall’istituto WSL hanno indagato la letteratura scientifica degli ultimi 30 anni e confermano solo in parte questa tesi.
Il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (IPCC), istituito nel 1988 dall’Organizzazione meteorologica mondiale e dal Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente allo scopo di studiare il riscaldamento globale, già nel suo primo rapporto del 1990 aveva previsto un aumento dei pericoli naturali nelle Alpi a causa dei mutamenti climatici.
Più recentemente, dopo le alluvioni che hanno investito varie regioni della Svizzera la scorsa estate, dalla Mesolcina (canton Grigioni) alla Valle Maggia passando per il Vallese e l’Oberland bernese, numerose autorità hanno tracciato un legame tra la violenza dei fenomeni meteorologici – e le loro conseguenze disastrose in termini di vite umane e danni – e il riscaldamento del clima.
Per verificare questa tesi, un gruppo di studiosi guidato dall’Istituto federale di ricerca per la foresta, la neve e il paesaggio (WSL) di Birmensdorf (canton Zurigo) e dalla sua filiale, l’Istituto per lo studio della neve e delle valanghe (SLF) di Davos (canton Grigioni), ha esaminato 103 studi pubblicati in riviste scientifiche negli ultimi 30 anni (dal 1995 all’inizio di quest’anno) che si sono concentrati sulla raccolta di dati dal terreno relativi a un possibile legame tra cambiamento climatico e “movimenti di massa”, ossia caduta di massi, frane, colate detritiche e valanghe.
Molte incertezze
Un legame inequivocabile esiste solo per la caduta di massi, indica la ricerca, i cui risultati, pubblicati lo scorso 14 agosto sulla rivista Earth-Science Reviews, sono stati riassunti in un comunicato odierno del WSL. Lo scongelamento del permafrost – in italiano anche designato come permagelo, è un terreno come la roccia, il ghiaione o la morena che ha temperature inferiori a zero gradi centigradi e quindi è permanentemente gelato – e il ritiro dei ghiacciai fragilizzano la roccia e favoriscono il distacco di pietre.
Gli autori della ricerca non ne nascondono i limiti: “La letteratura esaminata rivela (…) che quantificare l’impatto dei cambiamenti climatici su questi movimenti di massa rimane difficile, in parte a causa della complessità del sistema naturale, ma anche a causa dei limiti nella disponibilità di dati, dei molti fattori che li influenzano e delle tecniche di elaborazione statistica esistenti”, scrivono in Earth-Science Reviews.
Frane e colate detritiche: legame con clima non palese
Che dice la ricerca dei vari movimenti di massa? Quanto alle frane – lo studio cita ad esempio le pubblicazioni relative a quella del Pizzo Cengalo (tra Grigioni e Italia), che in Bregaglia (Grigioni) aveva causato la morte di otto escursionisti nel 2017 – “anche se non è ancora possibile fare un’affermazione chiara, ci sono molti indizi che suggeriscono che oggi (…) si verificano con maggiore frequenza”, afferma, citato nel comunicato, l’esperto di permafrost dell’SLF Samuel Weber. I dati disponibili per questi grandi eventi sono relativamente pochi, mette però in guardia lo studio.
Per quel che concerne le colate detritiche, il numero di eventi di precipitazioni intense che possono innescarli è chiaramente cresciuto. “Ma solo la metà degli studi analizzati indica un aumento”, afferma, sempre citata nella nota, la glaciologa Mylène Jacquemart del WSL e del Politecnico federale di Zurigo. Tuttavia, ci sono segni di una maggiore attività al di sopra della linea degli alberi e in aree non precedentemente interessate. A causa del ritiro dei ghiacciai e dell’aumento della caduta di massi, in queste zone è disponibile più materiale sciolto che può essere messo in movimento dalle precipitazioni.
Riscaldamento nelle Alpi più che evidente
La ricerca mostra poi che le valanghe sono più spesso costituite di neve bagnata che di neve fresca. A causa della mancanza di precipitazioni nevose, questi fenomeni sono meno numerosi alle basse quote e leggermente più frequenti in alta montagna.
Il cambiamento climatico è chiaramente visibile nelle Alpi: la temperatura dell’aria è aumentata di 0,3-0,4 gradi ogni decennio dal 1968 al 2017, si legge nella pubblicazione. La quantità di neve è diminuita fino al 15%, e i ghiacciai svizzeri hanno perso circa il 43% del loro volume tra gli anni Ottanta e il 2016, e un altro 10% nel 2022 e 2023.
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