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Si chiude un regno lungo 70 anni

La regina Elisabetta con dietro Carlo e Camilla.
Durante il suo lungo regno Elisabetta II ha visto avvicendarsi 15 primi ministri, una mezza dozzina di papi e 14 presidenti degli Stati Uniti. Keystone / Ian Jones

Nella storia millenaria delle teste coronate d'Europa - che allinea fra i tanti un Riccardo Cuor di Leone, un Filippo il Bello o una Caterina la Grande - Elisabetta II d'Inghilterra potrà essere ricordata a buon diritto come Elisabetta la Longeva. In oltre 96 anni di vita, 70 dei quali trascorsi sul trono di San Giacomo, ha pilotato la nave della monarchia britannica dal tramonto di un impero alle sfide dell'età moderna, lasciandosi alle spalle il primato di durata stabilito in casa Windsor dalla regina Vittoria.

E conservando a cavallo di due secoli – anzi, di due millenni – quello scettro che il destino, complice la fine prematura di suo padre Giorgio VI, le aveva consegnato 26enne nel 1952. Uno scettro che passa ora di mano nel rimpianto dei sudditi e di tanti ammiratori in giro per il mondo, con un lascito segnato da un’invidiabile aura di rispetto e di saldo consenso nazionale verso l’istituzione monarchica.

Fedele ai doveri e all’immagine di “prima funzionaria” del regno, Elisabetta ha svolto il suo ruolo fino in fondo. Ruolo ordinario, in un tempo non eroico, ma di straordinario successo – pur fra inevitabili alti e bassi – nella capacità d’interpretare la transizione conciliando cambiamenti epocali con le radici della tradizione: le onorificenze a scapigliate star del rock con gli immutabili copricapo o vestiti color pastello, i viaggi planetari da moderna regina globe trotter con la passione inossidabile per l’antico castello di Windsor o per quello scozzese di Balmoral, dov’è spirata, per gli amati cavalli e gli adorati cagnolini Welsh Corgi.

“Una lunga vita passa attraverso molte tappe cruciali. La mia non è un’eccezione”, aveva notato ella stessa, riflettendo come fra sé e sé alla soglia del 90esimo compleanno, con al fianco il rimpianto consorte Filippo, sua inseparabile ombra lungo sette decenni fino alla morte quasi centenario nel 2021. 

Oggi il momento cruciale per eccellenza, quello del passo d’addio, è anche un momento di bilanci per una figura che si accomiata prendendo posto, almeno quanto a durata sul trono, accanto a giganti quali Francesco Giuseppe, imperatore d’Austria, o Luigi XIV di Francia, il Re Sole. Personalità alle quali forse non potrà essere paragonata, come – con spirito pungente – ha sostenuto tempo fa lo studioso David Starkey, tratteggiandola nei panni di una regina “normale” che “non ha suggellato un’epoca”; e che però il suo compito storico, insistono altri osservatori, anche al di là dell’omaggio di rito, l’ha assolto: traghettando il Paese in tempi nuovi – dopo l’addio a decine di colonie controfirmato negli anni ’60 e l’ultimo ammainabandiera dell’impero con la restituzione di Hong Kong alla Cina nel 1997 – senza scalfirne la sostanziale fedeltà alla corona.

Attraverso un percorso personale iniziato fra le due guerre e proseguito passando dai paludati anni ’50 alla swinging London dei ’60 e ’70; dalla stagione thatcheriana (con annesse deregulation, guerra delle Falkland e “matrimonio del secolo” fra Carlo e Diana) a quella del New Labour di Tony Blair tramontato con l’avventura bellica in Iraq; dall’ingresso nel terzo millennio dell’era cristiana, in una Londra sempre più cosmopolita, giù giù fino al “matrimonio del secolo” bis tra William e Kate, alla Brexit. E infine alla pandemia globale di Covid, ultimo nemico infido anche per lei, coriacea figlia della guerra. 

Momenti sì e momenti no nella vita del Paese e del mondo, come in quella d’una donna educata a prepararsi a diventare regina fin da piccola, a differenza dell’inquieta sorella Margaret; quindi sposa a soli 21 anni di Filippo di Edimburgo; madre di 4 figli (Carlo, Anna, Andrea ed Edoardo); nonna e bisnonna d’una nidiata di nipoti, da William al fuggitivo Harry agli altri. Il tutto sulla scia d’una popolarità raramente messa in discussione. Men che meno negli ultimi anni.

Come conferma l’ossequio che oggi sale non solo da Downing Street (dove da Winston Churchill a Boris Johnson e a Liz Truss, la figlia di Giorgio VI ha visto avvicendarsi 15 primi ministri, mentre nel mondo si passavano il testimone anche una mezza dozzina di papi e 14 presidenti degli Usa, da Truman a Trump e a Biden), ma pure da leader di partito d’ogni colore, sostenitori e avversari della Brexit, persino dagli irriducibili bastian contrari della frangia repubblicana d’Oltremanica. Tutti persuasi che l’ultima monarca di un impero che fu oceanico sia rimasta sino in fondo “la roccia” a cui aggrapparsi in un’isola oggi di media grandezza.

I sondaggi, per quanto valgano, sono lì a dimostrarlo. E certificano come precipitose fossero quelle previsioni fosche sui destini del casato avanzate qua e là nelle fasi della crisi forse più acuta del suo regno: coincisa con la morte di Diana, già moglie infelice di Carlo. Una ferita vera, segnata allora dallo strappo fra la freddezza attribuita alla corte e il comune sentire popolare, e che tuttavia la matriarca dei Windsor è riuscita a rimarginare rimanendo se stessa: rigorosa nei panni di sovrana del Regno Unito di Gran Bretagna, Irlanda del Nord e degli altri Reami del Commonwealth – suoi titoli finali – e di devota capo della Chiesa anglicana; sebbene addolcita in ultimo dall’età, dalle difficoltà di movimento, dal rapporto con i bisnipoti autorizzati a chiamarla “gan gan”. 

Ora spetterà agli eredi a Buckingham Palace, a Carlo prima, a Wiliam poi, seguirne i passi. E resta da vedere se sarà per loro di cattivo auspicio o meno la profezia saettata, fra baccanali e giochi d’azzardo, da Faruk d’Egitto. Che esule nella Roma della Dolcevita sentenziò: “Nel XXI secolo non sopravvivranno che 5 re, quelli del mazzo di carte e la regina d’Inghilterra”.

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