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Pesche a terra in Piemonte: “le sanzioni le paghiamo più noi della Russia”

Frutta che non ripaga i costi, talvolta abbandonata in campo, in una stagione già segnata dal maltempo: quanto pesa l'embargo russo sui frutticoltori di Cuneo

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Le pesche piemontesi sono ormai un simbolo dell’embargo russo sui prodotti agroalimentari europei e nordamericani. Sessanta camion bloccati alla frontiera a inizio agosto, con 12 mila tonnellate di pesche e nettarine da ricollocare, hanno permesso all’Unione europea di prendere immediatamente coscienza delle possibili conseguenze di un blocco commerciale, che non si ripercuote solo sul singolo paese esportatore ma sposta gli assi di un intero mercato.

La posta in gioco, le misure già prese

L’embargo –disposto per un anno, in ritorsione alle sanzioni economiche decise da Ue e Usa nell’ambito della crisi ucraina- non riguarda in realtà l’intero volume d’affari (nel 2013, 5,2 milliardi di euro di prodotti alimentari europei esportati in Russia): ne sono esclusi vini e pasta. Carni, salumi, latte e latticini sono invece inclusi nel blocco, ma non costituiscono un’emergenza poiché più facilmente stoccabili di frutta e verdura.

Per stabilizzare il mercato di frutta e verdura, la Commissione europea ha già messo sul tavolo un pacchetto di aiuti: 125 milioni di euro a favore di una quindicina di prodotti (pomodori, carote, cavolo bianco, peperoni, cavolfiori, cetrioli, funghi, mele, pere, frutti rossi, uva da tavola e kiwi) e un intervento per le sole pesche stimato in 20-30 milioni.

È inoltre prevista -oggi, giovedì- la prima riunione di una task force costituita dalla Commissione europea per valutare l’impatto delle controsanzioni sul comparto agroalimentare dei 28 paesi membri. Il settore sarà monitorato settimanalmente, e a inizio settembre si profila una riunione straordinaria dei ministri dell’agricoltura.

L’Italia, le pesche a terra

Alla sola Italia, secondo le stime di Federalimentari, l’embargo russo costerà quest’anno 100 milioni di euro, su un volume di esportazioni di 700 milioni di cui 72 in ortofrutta, 61 di carni, e 35 tra latte, formaggi e derivati.

Intanto in provincia di Cuneo, là dove crescono tre quarti delle pesche piemontesi, si contano i danni: camion di frutta rientrati in Italia per essere destinati all’industria di trasformazione, pesche vendute a metà del costo di produzione, e frutticoltori costretti ad abbandonare parte del raccolto sul campo.

La Russia costituiva l’ultima speranza di una stagione segnata dal maltempo, e invece è stata il colpo di grazia.

Parte delle pesche giace letteralmente a terra. Se le si lasciasse pendere, la pianta si ammalerebbe e la prossima stagione sarebbe compromessa. Vanno quindi raccolte, ma se non hanno uno sbocco sul mercato rimangono sul terreno: l’unico modo di contenere i costi è rinunciare a cernita e imballaggio, necessari, per legge, anche solo per farne dono.

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