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Orso in Trentino: presenza prestigiosa quanto controversa

Reportage dalla provincia autonoma che quindici anni fa si impegnò a scongiurarne l’estinzione dalle Alpi

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Negli ultimi centocinquant’anni, non è documentato neppure un caso di aggressione all’uomoCollegamento esterno, quantomeno in Italia, Austria, Francia e Spagna, paesi nei quali l’orso -al contrario di Europa dell’est e Scandinavia- ha una presenza ridotta e non è cacciato.

Fin dagli anni Settanta, in Trentino, vi è una procedura di rifusione dei danniCollegamento esterno che oggi garantisce il denaro entro due mesi; non mancano i sussidi per opere di prevenzione, come le reti elettrificate.

Eppure, là dove gli esemplari sfiorano ormai la cinquantina, l’orso bruno è sempre meno popolare.

I sondaggi d’opinione

In un’indagine Doxa del 1997, il 75% degli abitanti della Provincia autonoma di Trento si dichiarava favorevole al suo reinserimento nel Gruppo di Brenta -unica regione delle Alpi dove l’orso non si è mai estinto- che venne poi intrapreso dopo uno studio di fattibilità dell’ISPRACollegamento esterno.

In un analogo sondaggio del 2011, risultava invece che la maggioranza dei Trentini è contraria alla presenza del plantigrado.

L’anno seguente è nato, in val Rendena, il Comitato AntiorsoCollegamento esterno: centocinquanta affiliati e decine di simpatizzanti, reclutati con una raccolta firme.

Perché l’orso vale più dei miei animali?

A casa della vicepresidente Elena Fostini troviamo una prima chiave di lettura: “Il mio asino non vale soldi, era affetto”. Come dire che un risarcimento può valere per un animale da reddito ma non per uno, più propriamente, domestico. L’asina viveva con loro da dodici anni e aveva cresciuto i suoi piccoli in famiglia. È stata predata da un orso in un momento di assenza di Fostini e del marito.

È la nostra storia, ne vale la pena

Nella sede del Servizio Foreste e Fauna della Provincia autonoma di Trento incontriamo invece Claudio Groff. Responsabile per il Trentino del progetto di reintroduzioneCollegamento esterno, redige ogni anno un ‘Rapporto orso’Collegamento esterno che rende conto del monitoraggio, dei danni accertati e le indennità pagate, la gestione delle emergenze, i convegni e gli studi.

Dalla sua visione d’insieme, Groff è convinto che valga la pena di “ripristinare una presenza naturalistica che i nostri nonni avevano cercato di estirpare perché vivevano una vita di stenti, rurale”, dove un orso “poteva comportare dalla sera al mattino la fame”. Oggi non è più così, e inoltre “l’orso fa parte dell’ecosistema alpino, è una specie autoctona, appartiene alla nostra cultura, la nostra storia, le nostre tradizioni: leggende, stemmi, toponimi”.

“Questo non è il nostro orso”, contesta Elena Fostini, la quale avrebbe opposto meno resistenza se si fosse trattato di una specie in via d’estinzione tout court, e non solo nelle Alpi.

Curiosi e imprevedibili

Di ritorno dal Trentino, abbiamo fatto visita a Joanna Schönenberger. Esperta di orsi –li ha conosciuti e studiati anche nel resto d’Europa e in America- ammette che “il reticolo della biodiversità è troppo intricato, per stabilire esattamente quanto sia importante la loro presenza”. La considera però un passo culturale per l’uomo: “accettare un aspetto della natura sul quale non abbiamo completamente il controllo”. Schönenberger ci aiuterà a decifrare il comportamento degli orsi più confidenti e a immaginare il destino della specie sulle Alpi.

Le sue considerazioni, e quelle di Elena Fostini e Claudio Groff, nel servizio di Rino Scarcelli
[Un orso bruno che ripopola, ma è sempre meno popolare]

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