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Le mani della ‘ndrangheta sull’Emilia

Di oltre 160 arresti effettuati, 117 nella sola Emilia Romagna; nell'inchiesta i nomi di politici, imprenditori e giornalisti

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La mafia in Emilia si è radicata in profondità. Negli ultimi 30 anni ha scavato nei tessuti della società e si è infiltrata silenziosamente nei principali centri del potere: imprese, pubbliche amministrazioni, partiti politici, ricostruzione post sisma e addirittura redazioni giornalistiche. È quanto è emerso dalla maxi operazione condotta dalla Direzione distrettuale antimafia di Bologna, che ha portato all’arresto di 117 persone nella sola Emilia Romagna, con accuse che vanno dall’associazione di tipo mafioso all’estorsione, l’usura, la detenzione illegale di armi da fuoco, la truffa e il falso in bilancio.

Si è trattato di “un’operazione storica, senza precedenti” – come l’ha definita il procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti – che ha portato alla luce un complesso sistema di infiltrazioni criminali esteso in tutta l’Emilia, con ramificazioni anche in Lombardia, Piemonte, Veneto, Calabria e Sicilia, dove sono state arrestate altre 46 persone. Secondo gli inquirenti, la ‘ndrangheta avrebbe influenzato le elezioni amministrative di diversi Comuni, tra cui quelle di Parma del 2012, che hanno visto la vittoria del primo sindaco grillino, Federico Pizzarotti (il quale però non compare nell’inchiesta). Proprio a Parma, nella stessa operazione è indagato l’ex assessore Giovanni Paolo Bernini (allora Pdl) con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa.

Tra le persone che hanno ricevuto l’ordine di custodia cautelare ci sono imprenditori, professionisti, amministratori pubblici, rappresentanti delle forze dell’ordine e anche un giornalista: si tratta di Marco Gibertini, cronista di Telereggio, arrestato con l’accusa di concorso esterno per aver messo a disposizione del “sodalizio criminale” i suoi rapporti con i politici, l’imprenditoria e il mondo della stampa, confezionando servizi televisivi favorevoli agli imprenditori coinvolti nell’inchiesta. Fra gli altri nomi illustri c’è anche quello del consigliere comunale di Forza Italia a Reggio Emilia, Giuseppe Pagliani, finito nel mirino dell’antimafia dopo un incontro nel 2012 con alcuni personaggi e imprenditori ritenuti vicini allo storico clan dei Grande Aracri.

Nell’inchiesta è coinvolto anche Domenico Mesiano, autista dell’ex questore di Reggio Emilia e autore di pressioni e minacce (“ti taglio i viveri”) nei confronti della giornalista del Resto del Carlino, Sabrina Pignedoli, che si stava occupando delle attività di un altro indagato, Antonio Muto, legato al clan del Grande Aracri.

Tra gli imprenditori spuntano invece i nomi di Augusto Bianchini, che con l’omonima azienda ha lavorato nello smaltimento delle macerie e nelle opere di ricostruzione per il sisma del 2012, e quello di Giuseppe Iaquinta, costruttore e padre del più noto calciatore, nonché campione del mondo, Vincenzo. Sempre nell’ambito del terremoto emergono altri dettagli inquietanti. Due indagati, Gaetano Blasco e Antonio Valerio, sono stati intercettati dagli inquirenti mentre ridevano dei crolli: un caso che ricorda quello dell’Aquila. “È caduto un capannone a Mirandola”, dice Blasco. Valerio ridendo risponde: “eh, allora lavoriamo là…” Blasco: “ah sì, cominciamo facciamo il giro…”, si legge nell’ordinanza.

Nell’inchiesta sono stati disposti sequestri di beni per 100 milioni di euro, tra cui un intero quartiere di 200 appartamenti, nella provincia di Parma. Nel registro degli indagati sono iscritte 200 persone, e secondo gli inquirenti, nelle prossime settimane l’operazione potrebbe portare nuove soprese.

Il servizio è di Elena Boromeo. Montaggio di Martina Tritten.

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