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La polveriera dei dimenticati

A Castel Volturno, terra di nessuno dove manca il lavoro e lo Stato è assente, gli immigrati clandestini si moltiplicano e cresce nel contempo la tensione con la popolazione locale

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Lo stradone è dritto, lungo, spesso trafficassimo, ai lati una successione di case tirate su alla buona, qualche villa superblindata, negozietti e bar senza pretese, viuzze laterali e spesso sterrate, che portano chissà dove.

È la Domiziana, e attorno ad essa ci sono quelli che adesso la stampa nazionale definisce “i buchi neri” dell’immigrazione, spesso clandestina. Una polveriera sempre pronta ad esplodere. Come è avvenuto martedì scorso. Il sospetto del furto di una bombola di gas, colpi di pistola, due giovani neri feriti, la rivolta con barricate e incendi, la grande paura, la rabbia dei residenti.

Si è temuto il peggio. Si è temuta una replica del settembre 2008. Quando, calata la sera, sei africani vennero uccisi a Castel Volturno da sicari del clan dei casalesi: chissà per quale sgarro, chissà per quale interessata regia. Seguì il finimondo. Centinaia africani in strada, decine di negozi e auto date alle fiamme, la gente barricata in casa, gli scontri durissimi con le forze dell’ordine.

Poco dopo percorremmo la Domiziana per andare a trovare uno dei cosiddetti “preti di frontiera”, padre Giorgio (Vedi il filmato), uno venuto dal Nord, che aveva fatto il missionario in Africa e che aveva infine deciso di impegnarsi in “questa Africa”.

Migliaia di nigeriani, ghanesi, senegalesi. Accampati in case abbandonate e fatiscenti, oppure in tendopoli improvvisate, senza acqua elettricità e servizi igienici. Gente venuta a lavorare nei campi, lo sfruttamento più sfacciato, venti euro al giorno quando va bene e quando ti pagano, organizzati da altri africani più prepotenti e da “oliare”, a loro volta al servizio del “caporalato” bianco, che deve render conto (oltre che obbedienza e soldi) alle famiglie della camorra.

Qualcuno l’ha definita la “polveriera dei dimenticati”. Ma dimenticati sono spesso anche i residenti locali. Lo Stato è spesso latitante, il lavoro manca, la piccola delinquenza c’è anche fra i giovani africani, la convivenza diventa difficile, a volte esplode. In quella che è spesso una guerra fra poveri.

A.S.

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