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In Svizzera non c’è l’art. 18 ma i disoccupati sono al 3% e “ci sono meno precari”

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Libertà di licenziare nella Confederazione ma forse i lavoratori non stanno peggio. Gli industriali: i problemi in Italia sono altri, a partire dalla giustizia

In Svizzera non c’è alcun articolo 18 da abolire, perché semplicemente non esiste. I sindacati non sono potenti come le varie CGIL, CISL e UIL, i datori di lavoro sono liberi di licenziare (salvo ovviamente le situazioni di abuso) e in assenza di contratti collettivi non sono nemmeno tenuti a indennizzare l’ex dipendente. Ma a un’analisi attenta ci si accorge che forse, nel confronto con l’Italia, non ci si trova davanti a un inferno per i lavoratori. La disoccupazione in agosto era al 3% (nella Penisola veleggia oltre il 12%) e, nonostante le pressioni presenti nelle regioni di frontiera, c’è mediamente meno precariato rispetto all’Italia dove il Governo Renzi, con il suo Jobs Act in discussione in questi giorni, tenta (a modo suo) di porre rimedio alla difficile situazione.

Libertà di licenziare

La disdetta del rapporto di lavoro in Svizzera è libera, purché si rispetti i termini temporali di preavviso previsti dal codice delle obbligazioni – spiega Meinrado Robbiani, segretario del maggiore sindacato della Svizzera Italiana (OCST) -. Altre garanzie per il dipendente riguardano i periodi di malattia o di eventuale gravidanza, nei quali i salariati non possono essere licenziati. Vi è poi un’ulteriore tutela in caso di licenziamento abusivo, che dà diritto a un’indennità pari al massimo a sei mesi di salario, ma è un’ipotesi non facile da provare in sede giudiziaria“.

Meinrado Robbiani, sindacato OCST tipress

Quindi di per sé il licenziamento per motivi economici – che con la parziale abolizione dell’articolo 18 voluta da Renzi non comporterebbe più il possibile reintegro del lavoratore in azienda da parte del giudice – in Svizzera non dà diritto nemmeno a un’indennità? “Esatto, anche se va precisato – osserva sempre Meinrado Robbiani – che nei settori coperti da contratto collettivo sono previsti risarcimenti in caso di licenziamenti collettivi, secondo le modalità previste dall’accordo e negoziati dalle parti nell’ambito del piano sociale. Dal profilo del singolo dipendente si può comunque dire che in caso di licenziamento goda di minori tutele nella Confederazione“.

Gli industriali ticinesi: il problema in Italia non è l’articolo 18

Per il direttore dell’associazione degli industriali ticinesi (AITI) Stefano Modeninii problemi in Italia sono ben altri”. Più che l’articolo 18 (reintegro del lavoratore da parte del giudice in caso di licenziamenti privi di giusta causa per le aziende con oltre 15 dipendenti) il vero problema per gli imprenditori “sono i tempi della giustizia, con cause civili che durano anche decenni, i ritardi nei pagamenti da parte della pubblica amministrazione e l’incertezza del quadro giuridico. Queste sono le cose che fanno fuggire gli investitori”.

Stefano Modenini, industriali ticinesi (AITI) tipress

E poi, continua il dirigente dell’AITI, “c’è una pletora di contratti e un’eccessiva regolamentazione del mercato del lavoro, tutti aspetti che scoraggiano gli imprenditori. Mentre in Svizzera ci sono pochi contratti, quelli aziendali e quelli collettivi, e poche regole chiare che attraggono gli investitori“.

Rigidità del mercato e disoccupazione

Ma vi è un nesso, come molti intravedono, tra articolo 18 e, in senso più esteso, rigidità del mercato del lavoro e disoccupazione, che in Svizzera è al 3% mentre in Italia supera il 12%? “Credo che sia difficile da provare una connessione in tal senso – spiega Meinrado Robbiani -. Non è comunque escluso che la rigidità del mercato protegga da un lato il singolo lavoratore ma dall’altro induca le aziende a essere più prudenti nelle assunzioni. Nel senso che esse tendono a mantenere un nucleo centrale stabile dell’organico, facendo largo ricorso a esternalizzazioni e lavoratori interinali. Ma questo fenomeno produce inevitabilmente precarietà. In ogni caso la disoccupazione non può essere ricondotta, in un legame univoco diretto, solo alle condizioni giuridiche del mercato del lavoro, basti pensare all’influenza dell’innovazione sul successo delle imprese“. Su questo aspetto Stefano Modenini sottolinea che “se nella Confederazione è senz’altro più facile licenziare è anche vero che è molto più facile assumere e questo è un indubbio fattore di competitività per la piazza economica elvetica“.

Minori tutele ma anche minore precarietà

La maggiore libertà del mercato del lavoro non significa comunque che in Svizzera non si ricorra al giudice nell’ambito della disdetta del rapporto di lavoro. “Sono frequenti contestazioni giudiziarie relative alla disdetta dei termini e il calcolo delle spettanze salariali – precisa Meinrado Robbiani (OCST). Sono più limitate le contestazioni che riguardano gli abusi del datore di lavoro. Questo per l’interpretazione restrittiva di questa fattispecie nei tribunali e per la difficoltà a provarle davanti al giudice. Spesso capita di ricorrere alla giustizia per ottenere il giusto risarcimento nel caso del licenziamento per presunti motivi economici del dipendente che poco prima aveva chiesto un aumento salariale. O nei casi di licenziamenti in tronco per cause gravi che consentono al datore di lavoro di non rispettare i termini“.

Comunque resta il fatto che due sistemi sono profondamente diversi. “In Svizzera c’è un forse più basso livello di protezione del lavoratore ma i rapporti di lavoro sono più stabili e nell’insieme si può dire che ci sia meno precariato, soprattutto tra i giovani – continua Meinrado Robbiani (OCST) -. Ad esempio in Ticino vengono da oltre frontiera molti lavoratori che si dichiarano indipendenti che però non lo sono in base ai criteri in vigore nella Confederazione, in particolare quello di avere un rapporto stabile con una sola azienda”.

Leonardo Spagnoli

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