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Vajont, 60 anni dopo

Il campanile di Pirago è una delle poche strutture rimaste in piedi dopo il atto dopo il passaggio dell'onda che rase al suolo Longarone e diversi paesi limitrofi. Keystone / Str

Era una tragedia annunciata che causò la morte di 1’910 persone - Longarone venne rasa al suolo; il racconto del sopravvissuto Giuseppe Vazza.

Questo contenuto è stato pubblicato il 09 ottobre 2023 - 12:30
Pierpaolo Mittica, RSI News

Alle 22.39 del 9 ottobre 1963, 270 milioni di m³ di roccia si staccarono dal monte Toc e scivolarono alla velocità di 90 km/h, nel bacino artificiale creato dalla diga del Vajont, provocando un’onda che superò di 250 metri in altezza il coronamento della diga, radendo al suolo Longarone e diversi paesi limitrofi.

La tragedia del Vajont fu un disastro annunciato fondato come spesso accade sull’avidità e il denaro. Progettisti e dirigenti occultarono le prove della frana in atto, guidati dall’interesse economico, in totale spregio della vita umana e della consapevolezza dei rischi che si correvano. Un crimine perché tutti sapevano e nessuno fece niente. Soprattutto lo Stato che doveva controllare. Tutto questo è stato il Vajont, una strage, un’ingiustizia e ancor più l’umiliazione che per 60 anni i superstiti si sono portati dentro insieme al dolore dei loro morti, 1’910 vittime.

Giuseppe Vazza è un sopravvissuto di quella tragica notte e all’epoca abitava a Codissago, uno dei paesi spazzati via dall’onda. Quella notte ha perso la madre, mai più ritrovata, e 14 familiari. “Se vedete quanto pagavano per i nostri morti, capirete perché sono andati avanti con l’invaso. La Sade aveva capito che i morti sarebbero costati molto, ma molto meno dei vivi”.

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