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Matteo Renzi abbandona il PD

Matteo Renzi
Keystone / Ettore Ferrari

Matteo Renzi lascia il Partito democratico. Con una accelerazione potente l'ex premier italiano ha deciso di stringere i tempi. E lo ha fatto formalmente attraverso una telefonata serale al premier Giuseppe Conte nella quale gli ha garantito "il pieno sostegno" del gruppo che nascerà nei prossimi giorni.

Mentre il Nazareno resta per ora in strettissimo silenzio (nessun contatto di Renzi con il segretario del partito Nicola Zingaretti e con i vertici della direzione) è Dario Franceschini a manifestare senza peli sulla lingua lo sconcerto del Pd per una mossa giudicata rischiosissima. Tanto da evocare i tempi bui del ventennio: “Nel 1921-22 il fascismo cresceva sempre più, utilizzando rabbia e paure. Popolari, socialisti, liberali avevano la maggioranza in Parlamento e fecero nascere i governi Bonomi, poi Facta 1 poi Facta 2. La litigiosità e le divisioni dentro i partiti li resero deboli sino a far trionfare Mussolini nell’ottobre 1922. La storia dovrebbe insegnarci a non ripetere gli errori”.

Renzi e il gruppo autonomo in parlamento

Ma non tutti i renziani sono con lui: ci ha provato a fermarlo anche il sindaco di Firenze Dario Nardella, fedelissimo della prima ora. Ma ormai Matteo Renzi ha deciso: con un’intervista a un quotidiano e poi nel salotto di Porta a Porta, annuncerà le ragioni che lo spingono a lasciare il Pd e a mollare gli ormeggi per il suo nuovo movimento che, affiancando i comitati civici di ‘Ritorno al futuro’, nascerà sia in Parlamento con un gruppo autonomo alla Camera e una componente nel misto al Senato, sia al governo con 2 ministri, Bellanova e Bonetti, e 2 sottosegretari, Ascani e Scalfarotto. E in serata le certezze dei renziani vanno oltre: ci sarebbero le basi numeriche per formare un gruppo autonomo sia alla Camera (20 deputati) sia al Senato (10 senatori), si sottolinea in ambienti vicini all’ex premier.

Renzi, il novello Machiavelli

In un’intervista di sabato scorso al Times, Renzi raccontava di aver lavorato quando era sindaco nell’antico studio di Machiavelli ma “posso dirvi che non sono machiavellico”. In molti, però, nel tempismo scelto nel decidere lo strappo dal Pd, vociferato da mesi ma ora imminente subito dopo la nascita del Conte bis, vedono l’accostamento con le tesi del filosofo fiorentino. Ma, assicurano i renziani, il nuovo movimento, che potrebbe chiamarsi ‘Italia del sì’, non sarà un pericolo per il governo anzi “paradossalmente – garantisce Renzi sempre nell’intervista al Times – ne amplierebbe il sostegno”. L’ex premier avrebbe assicurato lealtà a Conte stesso, a quanto si apprende. Nessun contatto, invece, spiegano al Nazareno, con il segretario Nicola Zingaretti che anche ieri ha lanciato un nuovo appello ad evitare una scissione del Pd. E, mentre crescono esponenzialmente le possibilità di un addio dei renziani ai Dem già nelle prossime ore dal Nazareno filtra un assoluto silenzio. E, si spiega, la situazione non dovrebbe cambiare fino a che non parlerà Renzi.

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Le ragioni di una separazione

Per i fedelissimi che lo seguiranno sono molte le ragioni per separare le strade dal Partito democratico: “C’è uno spazio politico enorme – spiega uno dei dirigenti impegnati nell’operazione – sia nell’elettorato moderato visto l’appannamento di Silvio Berlusconi e la centralità di Matteo Salvini sia nell’elettorato di centrosinistra perché sentir cantare ‘Bandiera rossa’ alle feste del Pd per molti elettori non è folclore e mette a disagio”. 

Nessun timore della concorrenza al centro di un’eventuale soggetto creato da Carlo Calenda insieme a Matteo Richetti: “È un tema solo per il ceto politico non tra la gente”, liquidano i renziani. Nel Pd, però, continuano a negare che si tratti di una “separazione consensuale”. La scissione, per Enrico Letta, è “una cosa non credibile, non c’è alcuno spazio per una scissione a freddo, e parlare di separazione consensuale non ha senso”. E se il sindaco di Milano Giuseppe Sala non sembra disperarsi – “c’è chi entra e c’è chi esce nel Pd”, sostiene -, per Luigi Zanda “sarebbe un trauma”.

Renziani non tutti con Renzi

Renzi ormai ha però mollato gli ormeggi ed è convinto che, spiega al Times, “siamo 1 a 0 contro il populismo, è importante sconfiggere Salvini fra la gente, non solo politicamente” dopo averlo messo fuori gioco al governo con l’intesa M5S-Pd sul Conte bis. Non tutti i fedelissimi, però lo seguiranno: Luca Lotti e Lorenzo Guerini, neo ministro della Difesa, restano nel Pd, in contrasto con la decisione dell’ex leader dem, così come Nardella e altri parlamentari. Una separazione dolorosa che Renzi ha deciso di velocizzare proprio per aver tempo di spiegare la decisione prima della Leopolda, dove, raccontano i suoi, si traccerà la rotta del nuovo movimento.



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