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Ombre sul business degli inerti

In Ticino, le discariche di inerti autorizzate sono al limite della capacità. Parte della soluzione è stata trovata nell’esportazione di materiale verso alcune cave della Lombardia. Tutto, apparentemente, sottostà a un rigoroso controllo. Ma tra i comitati di cittadini, oltre confine, si insinua il dubbio che il materiale depositato inquini il torrente Faloppia. Corso d'acqua che, peraltro, interessa la stessa Svizzera.

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La trasmissione d’approfondimento della Radiotelevisione svizzera RSI ‘Falò’ propone questa settimana due inchieste sugli inerti.

I rifiuti edili rappresentano il 90% dei rifiuti prodotti in Ticino. Il settore delle costruzioni macina sempre di più e le discariche autorizzate faticano a stoccare il materiale di demolizione e la terra di scavo.

Limiti di capacità che spingono qualcuno ad arrangiarsi, creando depositi temporanei, senza licenza. Una situazione -descritta nel servizio di Gaetano Agueci e Paolo Bertossa- che rischia di sfuggire di mano.

‘Senza confine’

Parte della soluzione è stata trovata nell’esportazione. Il 10% degli inerti prodotti in Ticino finisce in sette cave oltre confine, dove ad alcuni comitati di cittadini si insinua il dubbio che fli scarti –pur sottoposto a doppio controllo, prima in Svizzera, poi in Italia- comprendano talvolta materiali inquinanti che rischiano di contaminare i corsi d’acqua come il Faloppia. Torrente che, peraltro, “riattraversa” il confine.

L’inchiesta di Marco Dalla Fiore e Marco Dorici parte proprio delle sostanze tossiche e le schiume maleodoranti del Faloppia. Risalendo il torrente -che percorre l’abitato di Chiasso e passa vicino all’acquedotto Pra’ Tiro- si scopre che le acque si presentano già degradate all’entrata in Svizzera. Questo nonostante Ronago, comune italiano di frontiera, abbia realizzato un depuratore.

Alessandro Zangrandi, portavoce di alcuni comitati di cittadini, denuncia la presenza di idrocarburi, metalli pesanti, tremolite. Le telecamere della RSI riprendono intanto l’acqua torbida, che trascina con sé pezzi di mattone e persino una lastra di eternit.

Il sospetto di Zangrandi è che ci sia un legame con le cave. Un filmato, ricevuto in forma anonima dall’attivista, mostra un camion mentre deposita del materiale dal quale esce liquame che si riverserebbe nelle acque del Faloppia.

Il ministro ticinese del territorio Claudio Zali, ospite in studio, esclude totalmente un nesso tra il trasporto di inerti e le conseguenze ambientali. Le otto piattaforme dalle quali parte il materiale in Ticino, spiega, sono soggette a rigorosi controlli. Il materiale viene poi nuovamente controllato, a campione, dagli italiani. Dei sette siti di destinazione degli inerti, sottolinea infine, nessuno si affaccia sul Faloppia.

Un flusso in crescita

Il flusso transfrontaliero di inerti è cresciuto del 600% dal 2013 al 2014, e da lì è in continuo aumento.

Nel 2015, Ticino e Regione Lombardia hanno siglato un’intesa per regolamentarne la gestione. Gli scarti finiscono nelle stesse cave dalle quali si ricava materiale prezioso per l’edilizia in Ticino.

Da parte italiana, l’accordo è stato considerato un male minore rispetto alla costruzione di nuove discariche a ridosso del confine, che hanno incontrato l’opposizione dei cittadini. Le cave sono, quantomeno, lontane dai siti abitati.

A fronte dei 5 euro a tonnellata che ricevono per materiale di scavo proveniente dall’Italia, per smaltire gli inerti ticinesi tali cave incassano cinque volte tanto. Un affare milionario.

Sull’accordo tra Ticino e Italia, tuttavia, sorgono alcuni dubbi. In assenza di uno studio sull’impatto ambientale, per l’Europa la trasformazione di cave in discarica non è a norma.


 

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