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Questa tecnologia che ci rende fragili

Container per il trasporto nello stabilimento industriale a Sendai, in Giappone, dopo il devastante terremoto dell'11 marzo Keystone

Dopo il sisma e lo tsunami, l'incidente (o addirittura la catastrofe) nucleare. La tripla disgrazia che colpisce il Giappone rivela la vulnerabilità delle società tecnologiche mondializzate. Le riflessioni del filosofo Dominique Bourg.

Secondo il primo ministro nipponico Naoto Kan, il paese si trova nella “peggior crisi dalla Seconda guerra mondiale”. I tempi sono tuttavia molto diversi da allora. Quel che fa la forza di quel paese ad alta tecnologia contribuisce anche alla sua vulnerabilità di fronte alle potenze della natura, sottolinea Dominique Bourg, professore all’Istituto di politiche territoriali e umane dell’università di Losanna, specialista di sviluppo sostenibile, rischi e scelte tecnologiche.

swissinfo.ch: Le calamità che hanno colpito il Giappone rivelano la nostra vulnerabilità di fronte alla natura, nonostante – o forse proprio a causa – la nostra tecnologia. È possibile immaginare ad esempio cosa sarebbe successo se il terremoto fosse avvenuto a metà del XX secolo?

Dominique Bourg: Certamente sarebbero crollati più edifici. La loro attuale resistenza ai terremoti, è frutto della tecnologia.

D’altra parte, non ci sarebbe ovviamente stato il problema del nucleare, né rotture di reti elettriche e di comunicazione di tale portata. A quel tempo, inoltre, l’interdipendenza tra paesi era nettamente inferiore. Il che significa che la catastrofe avrebbe colpito unicamente il Giappone. Mentre ora, in termini di industria, e molto probabilmente anche in termini monetari, interesserà l’intero pianeta.

Ci sono cose che produce solo il Giappone, come alcuni pezzi vitali per iPhone o iPad, o l’acciaio per contenitori di reattori nucleari. Non so se quelle industrie sono state colpite, ma le centrali nucleari che si sono dovute raffreddare con l’acqua di mare non si riavvieranno mai più. Questo significa che per molti mesi o anni, il paese sarà sottoposto a restrizioni di energia elettrica. E sarà uno shock estremamente importante per la sua produttività industriale.

swissinfo.ch: Eppure le centrali nucleari erano giudicate le più sicure al mondo…

D.B.: Quelle centrali sono state progettate per resistere a un terremoto e a uno tsunami. E, in una certa misura, hanno effettivamente resistito: non sono crollate. In generale, quando si prevede questo tipo di resistenza, si va persino un po’ oltre a quello che si suppone come il massimo. Il guaio è che a volte ci si sbaglia su quello che potrebbe essere il massimo.

E, soprattutto, quel che cambierà le cose – e ciò non ha nulla a che fare con problemi sismici e di tsunami – è che i nostri dimensionamenti in termini di rischi naturali non hanno nulla a che fare con ciò che accadrà nel prossimo secolo con il cambiamento climatico.

Sia che si tratti di siccità, di uragani o di inondazioni, i nostri impianti industriali – e non penso solo al nucleare – dovranno affrontare condizioni che rischiano di essere piuttosto sorprendenti rispetto a quello che era stato concepito in termini di sistemi di sicurezza. Stiamo entrando in un periodo mai conosciuto prima. Durante tutto il XX secolo, l’umanità ha fatto un gigantesco esperimento – senza alcuna rete di protezione – con la biosfera. Ora, gradualmente, se ne vedono gli effetti.

swissinfo.ch: Tornando al problema giapponese, pensa che lo shock sarà tale da imporre un abbandono del nucleare e perfino la famosa decrescita cara agli ambientalisti?

D.B.: Quel che è certo è che le cose saranno più difficili per l’industria nucleare. Ma per uscire dal nucleare, in paesi come il Giappone, dove rappresenta il 35% della propria energia elettrica, o ancor più in Francia [80%], ci vorrebbero decenni. Senza contare che attualmente non ci sono alternative che non producano carbonio.

Le energie rinnovabili a livello mondiale sono inferiori al 2%. Alcuni paesi sono sul 10% circa e andranno oltre. Quindi, non abbiamo mezzi sostitutivi massicci. Dunque è vero che la prima cosa da fare è consumare meno e soprattutto molto meno energia elettrica. In tal modo si entra piuttosto in uno scenario di decrescita economica, al quale io non sono affatto sfavorevole. Ma la cosa non è un gioco da ragazzi.

Occorre anche sapere cosa significa. Vuol dire che cambiare veramente modello di società. Non sono sicuro che la popolazione sia d’accordo di andare in questa direzione, benché sia effettivamente la più ragionevole.

In ogni caso, con la doppia costrizione del clima e dell’esaurimento dei combustibili fossili, non vi si scapperà. E non c’è solo l’energia. Ci sono altri aspetti in cui siamo confrontati con difficoltà simili.

swissinfo.ch: Le immagini che ci arrivano dal Giappone sono molto simili a un film catastrofico. Pensa che alcuni mescolino finzione e realtà al punto da credere che la fine del mondo sarà davvero per il 2012?

D.B.: Non credo assolutamente alla fine del mondo. Sono invece persuaso che vivremo nei prossimi decenni vivremo la fine di un mondo. Il nostro.

Un terremoto di magnitudo 9 – al quarto posto fra le scosse più potenti finora registrate – e un’onda marina alta dieci metri hanno devastato venerdì 11 marzo la costa nord-est del Giappone.

L’ultimo conteggio ufficiale di lunedì fa stato di almeno 5mila morti. Si ritiene tuttavia che il bilancio finale supererà i 10mila morti.

Oltre che ad occuparsi dei sinistrati, la priorità è ora di scongiurare una ecatombe nucleare. Gli impianti della centrale atomica di Fukushima, a 250 km a nord di Tokyo, sono stati gravemente danneggiati e si sta lottando per evitare una fusione.

La ministra dell’energia Doris Leuthard il 14 marzo ha deciso di sospendere le procedure in corso per le domande di autorizzazione di tre nuove centrali nucleari in Svizzera. Dopo il sisma in Giappone, ha chiesto un riesame della sicurezza degli impianti esistenti.

L’Ispettorato federale della sicurezza nucleare è stato incaricato di procedere a una verifica anticipata della sicurezza degli impianti in Svizzera, informando regolarmente anche la popolazione. Dovrà analizzare in modo approfondito le cause dell’incidente verificatosi in Giappone e definire eventualmente nuovi o più severi standard di sicurezza in Svizzera, in particolare in relazione alla protezione contro i sismi e ai sistemi di raffreddamento delle centrali.

Gli esperti federali si tengono in contatto permanente con i colleghi internazionali, in particolare con l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA), l’OCSE e l’UE.

Fonte: Ats

(Traduzione dal francese: Sonia Fenazzi)

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