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Quanto conta il clima per la politica italiana?

Una donna con un ombrello rosso davanti al Colosseo in un giorno di pioggia torrenziale.
Impegno climatico, Pd promosso e Centrodestra bocciato. Keystone / Angelo Carconi

Che ruolo ha la lotta contro il riscaldamento climatico nella campagna politica in Italia, soprattutto alla luce di quanto avvenuto negli ultimi giorni nelle Marche? Per saperlo, venti scienziati ed esperti di politiche sul clima e l’energia hanno valutato i programmi elettorali dei diversi partiti e movimenti depositati al Ministero dell’Interno. Bocciata severamente la coalizione di destra, promosso il Pd, migliora il M5S. Tutti potrebbero e dovrebbero fare di più.

A una settimana dalle elezioni politiche, in Italia è tornato improvvisamente d’attualità il tema del cambiamento climatico. Le vittime delle alluvioni che hanno colpito le Marche interrogano la politica e i politici, in piena campagna elettorale, cercano soluzioni e ricette per arginare i disastri naturali che si succedono sempre più frequentemente. E pensare che il tema della lotta contro il riscaldamento del nostro Pianeta – i cui obiettivi politici sono stati saldamente scritti nell’Accordo di Parigi (giuridicamente vincolante) e nel Green deal europeo (che vuole fare dell’Europa il primo continente al mondo a impatto climatico zero) – era sceso nell’interesse della popolazione e dei politici, messo da parte dapprima dalla pandemia, poi dal conflitto in Ucraina. Il tema del caro-energia sta infatti cancellando ogni altro ragionamento su ambiente e clima nella campagna elettorale in corso in Italia.

Ecco i due accordi per combattere i cambiamenti climatici in atto, uno mondiale e uno europeo.

L’Accordo di ParigiCollegamento esterno, uno strumento giuridicamente vincolante nel quadro della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, comprende elementi per una riduzione progressiva delle emissioni globali di gas serra e si basa per la prima volta su principi comuni validi per tutti i Paesi. In particolare, l’Accordo di Parigi persegue l’obiettivo di limitare ben al di sotto dei 2 gradi Celsius il riscaldamento medio globale rispetto al periodo preindustriale, puntando a un aumento massimo della temperatura pari a 1,5 gradi Celsius.

Fit for 55, ovvero il Green Deal europeoCollegamento esterno, indica la strada da seguire per realizzare questa profonda trasformazione. Tutti i 27 Stati membri hanno assunto l’impegno di fare dell’Ue il primo continente a impatto climatico zero entro il 2050. Per raggiungere questo traguardo si sono impegnati a ridurre le emissioni di almeno il 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990. Oggi, a livello euroepo, si è raggiunto il 27% mentre l’Italia ha ridotto le emissioni solo del 20%.

Eppure, l’Italia – come gli altri stati dell’Ue – ha assunto l’impegno di fare dell’Unione europea il primo continente a impatto climatico zero entro il 2050. Ma che ne è di questo impegno politico? Quanto sono attenti i partiti o i movimenti ai cambiamenti climatici? Per dare una risposta,  l’Italian Climate NetworkCollegamento esterno, una Onlus nata per affrontare la crisi climatica e assicurare all’Italia un futuro sostenibile, ha chiesto a 20 scienziati italiani di valutare i partiti politici e la loro attenzione per il clima, a partire dai programmi elettorali. 

Da tema imprescindibile a tema secondario

“Greta Thunberg e i giovani che sono scesi in piazza (Fridays for future) – sottolinea il professor Mario MottaCollegamento esterno del Politecnico di Milano, uno degli esperti che hanno valutato i programmi elettorali – sono stati determinanti per segnalare l’urgenza della questione climatica”. Grazie a questi giovani, insieme alle raccomandazioni degli scienziati, ma anche a causa delle ultime estati davvero molto calde – che hanno provocato anche numerosi eventi meteorologici estremi – l’illusione era che nei programmi elettorali dei partiti le questioni climatiche trovassero uno spazio maggiore e più approfondito che in passato. Che fosse un tema di assoluta urgenza era riconosciuto un po’ da tutti.

“I giovani che sono scesi in piazza del “Fridays for future” sono stati determinanti per segnalare l’urgenza della questione climatica”.

Prof. Mario Motta, Politecnico di Milano

Con il fatto poi che al voto del 25 settembre è chiamata per la prima volta la maggior parte delle e dei giovani della Generazione Z, meglio conosciuti come “Gen Z”, coloro cioè che seguendo Greta Thunberg hanno manifestato in piazza e per le strade durante i “Fridays for futureCollegamento esterno” (che rappresentano il 7% degli aventi diritto al voto, circa 3.5 milioni giovani), il tema “clima” poteva davvero diventare una delle priorità nella campagna elettorale.

Così però non è stato. “Il caro-energia – racconta Mario Motta – ha cancellato qualsiasi altra discussione su energia e salvaguardia del clima”. Nessuno infatti parla più, da inizio settembre, di accordi internazionali a favore del clima, di riduzione delle emissioni, delle energie rinnovabili. Fino a ieri. L’alluvione che ha provocato undici morti nelle Marche ha improvvisamente portato in primo piano la questione della crisi climatica nella campagna elettorale.

Ma in generale come capire se il clima è stato davvero messo al centro dell’azione politica di questo o quel partito? “Non è facile, immagino – continua Motta – per un cittadino valutare gli impegni dei partiti sull’argomento a causa di documenti elettorali spesso molto lunghi e non di facile lettura. Per questo i miei colleghi ed io abbiamo cercato di aiutare i cittadini a capire”.

Un gruppo di 20 scienziati ed esperti italiani Collegamento esternodi politiche sul clima e l’energia – super partes – hanno così redatto una valutazione strutturata sull’impegno a favore del clima presente sia nei programmi elettorali di partiti, movimenti e coalizioni sia nelle dichiarazioni dei loro leader durante campagna elettorale.

Per farlo gli esperti del clima e di politiche ambientali hanno definito dieci criteri oggettivi di valutazione e hanno poi fatto una loro valutazione dettagliata dei programmi dei partiti politici o coalizioni.

Qui di seguito i dieci criteri definiti da esperti e scienziati per valutare i programmi elettorali:

1. Centralità

Quanto e dove si parla del tema del cambiamento climatico, se è presente in modo ricorrente anche nelle parti iniziali e principali del programma o invece è presente in modo sporadico o in una posizione del tutto marginale.

2. Settorialità

Quanto il tema del cambiamento climatico è connesso alle parti che si occupano dello sviluppo socio-economico o industriale, o è invece relegato come parte del capitolo sull’ambiente o sulla sostenibilità. 

3. Ambizione 

Quanto nel programma sono citati e sostenuti obiettivi di riduzione delle emissioni, in linea all’Accordo di Parigi, ratificato nel 2016 dal Parlamento italiano alla quasi unanimità, che prevedono “riduzioni delle emissioni di gas serra rapide e profonde e nella maggior parte dei casi immediate riduzioni in tutti i settori” (Fonte: IPCC, AR6-WG3, SPM, C3Collegamento esterno) e quanto sono delineate azioni in linea con questi obiettivi.

4. Fuoriuscita dai fossili 

Quanto è richiamata la necessità di una rapida fuoriuscita dal sistema fossile, con il blocco degli investimenti in nuove infrastrutture legate ai combustibili fossili, come nuove centrali a gas o rigassificatori. 

5. Investimenti pubblici 

Quanto sono previsti investimenti pubblici, nonché sistemi di incentivi e disincentivi per accelerare la mitigazione del cambiamento climatico, non solo nel settore della produzione di energia rinnovabile, ma anche nei settori più difficili, come la riqualificazione del parco edilizio pubblico e privato o della mobilità sostenibile.

6. Equità e disuguaglianza 

Quanto il programma elettorale considera il tema della giusta transizione, della necessità di monitorare e affrontare problemi di distribuzione della ricchezza conseguenti alle politiche sul clima.

7. Distrazioni

Quanto il programma prevede impegni che possono essere considerati come segno della non volontà di affrontare oggi la sfida della transizione energetica, spostandola invece in un futuro, ad esempio precedendo la costruzione in tempi e luoghi non identificati di tecnologie ancora non disponibili e che non lo saranno nei prossimi 10 anni. 

8. Il quadro internazionale 

Quanto l’azione sul clima dell’Italia è inserita nel contesto europeo e della Convenzione sul Clima, con chiaro sostengo agli obiettivi dell’Unione Europea (ridurre di almeno il 55% le emissioni di gas serra nel 2030 rispetto al 1990, neutralità climatica nel 2050), o gli elementi attuativi (ad esempio il pacchetto Fit for 55Collegamento esterno). 

9. Negazionismo 

Quanto nel programma trovano spazio esplicitamente argomentazioni che mettono in discussione l’esistenza del riscaldamento globale o l’influenza antropica. 

10. Inattivismo 

Quanto nel programma sono preseti le parole d’ordine dell’inattivismo climatico: spostare la responsabilità su altri (es. Cina o India), enfatizzare i pericoli e i costi della transizione energetica, dichiarare che è ormai troppo tardi per affrontare la crisi climatica.

“I 10 criteri scelti – spiega Mario Motta – aiutano a distinguere chi è impegnato seriamente sul cambiamento climatico da chi lo usa in maniera strumentale. Innanzitutto, ci si è chiesto se il cambiamento climatico è presente in modo prioritario anche nelle parti iniziali e principali del programma o invece solo in modo sporadico o in una posizione del tutto marginale”.

Poi il gruppo di esperti si è interrogato su quanto il tema del cambiamento climatico è interconnesso alle parti che si occupano dello sviluppo socio-economico o industriale. Il terzo criterio è l’ambizione: quando nel programma sono citati e sostenuti obiettivi di riduzione delle emissioni, in linea all’Accordo di Parigi ratificato nel 2016 dal Parlamento italiano alla quasi unanimità, che prevedono “riduzioni delle emissioni di gas serra rapide e profonde e nella maggior parte dei casi immediate riduzioni in tutti i settori”. Questa una sintesi dei risultati della valutazione media dei 20 esperti:

Il voto: quasi tutti bocciati o rimandati

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Come si può notare guardando la tabella, l’Alleanza Verdi e Sinistra con 9,3 punti e Partito Democratico con 8,6 punti risultano essere le forze politiche che complessivamente hanno il più alto indice di impegno climatico. Risultano, invece, all’ultimo posto la coalizione Fratelli d’Italia +Lega Salvini Premier + Forza Italia + Noi moderati (che hanno depositato al Ministero un unico programma di coalizione) con un punteggio di 4,1, il più basso di tutti.

Spicca con omogeneità fra i programmi delle forze politiche l’assenza di posizioni apertamente negazioniste sul clima. Ciò vuol dire che la crisi climatica è ormai riconosciuta da tutti i partiti ed è entrata a pieno titolo nella politica italiana.

Cosa dicono i politici?

Una cosa è il programma elettorale, un’altra quello che dichiarano i leader politici durante la loro apparizioni pubbliche. Ultimamente, lo scenario politico italiano, viste le difficoltà di approvvigionamento di gas con il conseguente aumento delle bollette di luce e gas, si è polarizzato sul tema del nucleare.

In massima sintesi, “tra i leader politici dei principali partiti o movimenti – spiegano gli esperti – salgono Giuseppe Conte (rafforza la sua posizione rispetto a un programma per altro scarno), Giorgia Meloni (mette il tema al centro ma risulta difficile capire con quale visione). Enrico Letta ribadisce i contenuti del programma del Pd mentre scenda Carlo Calenda Collegamento esternocon “l’incredibile” attacco al Green Deal europeoCollegamento esterno“.

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