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Quando l’esercito uccise dei civili

Dopo l'intervento dell'esercito, tredici persone furono uccise e 65 ferite. Keystone

Esattamente 75 anni or sono, a Ginevra, l'esercito svizzero – intervenuto per evitare scontri a margine di una manifestazione politica – apriva il fuoco sulla folla, uccidendo tredici persone.

Si tratta dell’ultima occasione in cui le autorità elvetiche hanno richiesto l’aiuto dei militari per assicurare l’ordine pubblico.

Negli anni Trenta, Ginevra è segnata da un’aspra divisione a livello politico. In particolare, il partito «Unione nazionale» (UN) attacca con virulenza quello socialista, il movimento sindacale e la sinistra ginevrina in generale.

In questo clima, il 5 novembre 1932 appare un manifesto che annuncia, per la sera del 9 novembre, una sorta di processo popolare pubblico nei confronti di Léon Nicole e Jacques Dicker, due esponenti socialisti. La sinistra chiede alle autorità di impedire tale manifestazione, ma l’esecutivo risponde picche.

I socialisti decidono allora di organizzare una contro-manifestazione, prevista contemporaneamente all’evento organizzato dall’UN. All’appello della sinistra rispondono diverse migliaia di persone. Dal canto suo, il Governo ginevrino chiede al Dipartimento militare federale di inviare sul posto un contingente per evitare lo scontro tra opposte fazioni.

Nel giro di pochi istanti, avviene la tragedia: dopo alcuni scontri con la folla, i soldati aprono il fuoco sui manifestanti, uccidendo tredici persone e ferendone 65. Le persone colpite sono perlopiù dei passanti.

Passato difficile

Dopo gli spari, la moltitudine di persone si dilegua in pochissimo tempo: «Sotto la luce dei lampioni restavano soltanto i corpi delle persone uccise. Era uno spettacolo terribile», ricorda uno dei soldati coinvolti, intervistato dal giornalista della televisione svizzera Claude Torracinta. Quest’ultimo, nel 1977, ha infatti realizzato un documentario sulla vicenda.

Interpellato in merito, Torracinta ha recentemente affermato alla radio svizzera di lingua francese che «per le persone coinvolte è stato molto difficile accettare le responsabilità e ammettere di avere sparato, anche parecchio tempo dopo i fatti».

Tra tutti i membri dell’esercito intervistati da Torracinta nel 1977, soltanto l’ufficiale che aveva dato l’ordine di aprire il fuoco ha ribadito che, a suo dire, si è trattato di una decisione corretta.

Paura della rivoluzione

«La manifestazione del 9 novembre 1932 deve essere situata tenendo conto della paura, presso la popolazione, di un eventuale sollevamento a carattere rivoluzionario», spiega François Walter, storico dell’università di Ginevra.
Gli anni Trenta sono infatti stati caratterizzati da una grave crisi economica a livello mondiale, che ha avuto conseguenze anche sulla Svizzera, segnatamente per quanto concerne la disoccupazione e la sicurezza sociale.

«In quel periodo, la legittimità del sistema democratico era rimessa in discussione. Secondo alcuni, la gravità della situazione poteva giustificare altri esperimenti, per esempio quello di rovesciare le autorità con moti rivoluzionari», aggiunge Walter.

Nel 1932, i timori principali degli ambienti conservatori erano legati a possibili emulazioni della rivoluzione russa: Hitler non aveva ancora raggiunto il potere in Germania, e i pericoli legati al fascismo non erano ancora del tutto conosciuti dalla popolazione elvetica.

Coscienza storica

Tuttavia, sottolinea Walter, anche se i dimostranti di sinistra erano stati assai criticati per la tragedia, persino a quel momento si era discusso animatamente in merito alla maniera di gestire l’evento.

«In ogni caso – conclude Walter – non vi sono mai state così tante riflessioni sulla manifestazione del 1932 come quest’anno: più ci allontaniamo da quella data, più diventa importante. L’avvenimento fa ora parte della coscienza storica svizzera».

swissinfo, Julia Slater
(traduzione e adattamento, Andrea Clementi)

Nei giorni seguenti il 9 novembre 1932, parte della stampa accusò i dimostranti di essere all’origine della tragedia.

Il leader socialista Léon Nicole fu condannato a sei mesi di prigione, ma in occasione delle successive elezioni venne comunque brillantemente eletto in seno al Governo ginevrino.

Nel 1935, il partito socialista cambiò orientamento rispetto al proprio precedente programma rivoluzionario; Nicole fu espulso nel 1939.

Nel 1982, viene edificato a Ginevra un monumento ufficiale in memoria delle vittime.

L’esercito svizzero è stato chiamato a intervenire nel quadro dello sciopero nazionale del 1918; in quell’occasione, furono uccise tre persone.

Gli avvenimenti del 9 novembre 1932 costituiscono l’ultima occasione in cui, in Svizzera, i militari sono stati impiegati contro la popolazione civile.

Attualmente, alcuni soldati operano sussidiariamente in appoggio alle guardie di frontiera, nel settore del traffico aereo civile e della protezione delle rappresentanze straniere.

Il parlamento svizzero ha accettato l’impiego sussidiario di 15’000 truppe per assistere le forze dell’ordine in occasione dei campionati europei di calcio (Euro 08); i militari non potranno tuttavia entrare in azione in caso di eventuali scontri con tifosi violenti.

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