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Quale strada per il Consiglio dei diritti umani?

Per Kälin il cattivo funzionamento del Consiglio riflette lo stato delle relazioni internazionali Keystone

È nato da appena cinque mesi e già si trova bloccato da divisioni politiche al suo interno: la strada dell'organo ONU per la difesa dei diritti umani è irta di ostacoli che vanificano gli sforzi per combattere gli abusi.

Walter Kälin, l’esperto svizzero che ha ideato il Consiglio dei diritti umani, spiega a swissinfo cosa è andato storto e quali misure sarebbe opportuno prendere.

Salutato al suo debutto in giugno come difensore dei diritti degli oppressi, il Consiglio nato per sostituire l’omonima e discreditata Commissione dei diritti umani non ha saputo mantenere fede alle sue promesse.

Le divisioni tra i paesi industrializzati e quelli in via di sviluppo sono state sfruttate dai paesi arabi e musulmani e hanno portato in più casi ad una forte condanna d’Israele, ma hanno nel contempo levato linfa ad altre pressanti questioni, come la crisi sudanese del Darfur.

Giovedì, il Consiglio dei diritti umani ha infine deciso di indire una sessione speciale per discutere del Darfur. La decisione sembra quasi una risposta al segretario generale delle Nazioni unite, Kofi Annan, che il giorno prima aveva rimproverato il Consiglio di trascurare la martoriata regione sudanese.

Walter Kälin, professore di diritto costituzionale e diritto pubblico internazionale all’università di Berna, è uno dei consiglieri speciali di Annan per quanto riguarda i diritti umani degli sfollati.

swissinfo: Si dice che il nuovo consiglio non sia meglio della vecchia commissione. Anzi, forse è peggio. È un giudizio corretto?

Walter Kälin: No. Ho constatato dei miglioramenti nel modo in cui il consiglio si occupa dei rapporti dei commissari. Il più delle volte si discute seriamente e molti stati hanno adottato un approccio costruttivo. Questo è decisamente un passo avanti rispetto al modo di lavorare che era della commissione.

In secondo luogo le sessioni straordinarie hanno dimostrato che è possibile reagire velocemente a determinate situazioni. Non rimprovererei ai paesi musulmani di aver messo sul tavolo questioni legate ad Israele, perché il problema dei diritti umani in quella zona è reale.

Il problema è che il consiglio lavora lungo le stesse linee regionali della commissione. Una delle speranze era che le coalizioni tra paesi con gli stessi interessi avessero la meglio sui blocchi regionali.

swissinfo: C’è il rischio che il consiglio, almeno fino a quando gli Stati uniti si terranno in disparte e sarà dominato dai paesi musulmani, continui a perdere credito?

W.K.: In termini numerici il consiglio non è controllato dai paesi musulmani. Tutti insieme rappresentano un terzo circa del totale. Se si mettono insieme i rappresentanti dell’Europa occidentale, quelli dell’Europa orientale e quelli dell’America latina – che difendono interessi simili – si ottiene un gruppo altrettanto forte.

Si tratta di definire le proprie posizioni e di portarle avanti con forza. Alcuni stati del sud sono bravissimi in questo. Definiscono le loro posizioni con largo anticipo, creano unità intorno ai loro propositi e trovano alleati anche in altre regioni. Il gruppo dei paesi occidentali non è altrettanto bravo nel mettere in pratica questa strategia.

swissinfo: Qualcuno ha suggerito che poiché i diplomatici occidentali tendono a rotare ogni tre anni, non possono combattere ad armi pari con i loro omologhi arabi e musulmani. È così?

W.K.: Penso che questo sia un aspetto rilevante. Il Consiglio dei diritti umani richiede molto impegno da parte dei diplomatici. Si è praticamente sempre in azione, perché tra una sessione ufficiale e l’altra si svolgono incontri informali, riunioni dei gruppi di lavoro, sessioni straordinarie. Un impegno del genere richiede diplomatici capaci, che conoscono il sistema e gli oggetti in discussione.

swissinfo: Al momento, il consiglio non sembra funzionare al meglio. Crede che in futuro le cose cambieranno?

W.K.: Non è stato un buon inizio, è chiaro. Ma è il riflesso dello stato attuale del mondo, un mondo dove le relazioni internazionali sono in disordine. È un fatto che sta influenzando il lavoro di tutti gli organi internazionali.

Detto questo, il consiglio riuscirà ad imporre la sua autorità e a rispondere alle aspettative solo mettendo a punto rapidamente le sue procedure di lavoro. Mi aspetto che una volta definite quest’ultime le cose, almeno fino a un certo punto, si calmino.

Ciò che temo è che l’atmosfera politica che regna attualmente all’interno del consiglio abbia un impatto negativo sulle decisioni che riguardano i mandati dei relatori speciali. Inoltre, quest’atmosfera influenzerà anche la messa a punto del meccanismo per il controllo periodico del rispetto dei diritti umani nei vari paesi. Se ci ritrovassimo con uno strumento debole, avremmo dei seri problemi.

Intervista swissinfo, Adam Beaumont
(traduzione, Doris Lucini)

Il Consiglio dei diritti umani, che ha sede a Ginevra, dovrebbe mettere a punto un sistema di controllo periodico del rispetto dei diritti umani nei vari paesi.

Buona parte del primo anno di lavoro del consiglio, è dedicato alla definizione delle procedure di lavoro e dei mandati per i relatori speciali delle Nazioni unite.

Il consiglio si riunirà almeno tre volte l’anno per una durata minima di dieci settimane. Per rispondere a particolari situazioni di crisi possono essere organizzate delle sessioni straordinarie. Le tre sessioni straordinarie che si sono tenute finora riguardavano Israele.

La terza sessione ordinaria va dal 29 novembre all’otto dicembre 2006.

La Svizzera è stata eletta quale membro del Consiglio dei diritti umani il nove maggio. Il suo mandato dura tre anni.

Africa (13 seggi): Algeria, Camerun, Ghana, Gibuti, Mali, Isole Maurizio, Marocco, Nigeria, Senegal, Sudafrica, Tunisia, Zambia.

Asia (13 seggi): Arabia saudita, Bangladesh, Bahrain, Cina, Corea del sud, Filippine, Giappone, Giordania, India, Indonesia, Malaysia, Pakistan, Sri Lanka.

America latina e Caraibi (8 seggi): Argentina, Brasile, Cuba, Ecuador, Guatemala, Messico, Perù, Uruguay.

Europa occidentale e altri stati (7 seggi): Canada, Finlandia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Paesi bassi, Svizzera.

Europa orientale (6 seggi): Azerbaigian, Repubblica ceca, Polonia, Romania, Russia, Ucraina.

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