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Putin o la certezza di un ritorno annunciato

"Russie stabile, Ucraina stabile": perfino nella vicina Ucraina i partigiani di Putin vantano i suoi meriti Reuters

Dopo otto anni come capo di Stato e quattro come capo del governo, Vladimir Putin tornerà questa domenica per altri sei anni alla presidenza della Russia. Perché è riuscito a rendersi indispensabile per il paese. E perché gli elettori non hanno alternative credibili.

“Non ho dubbi. Sarà eletto domenica con il 65 – 70% dei voti”. Come molti osservatori della Russia (vi ha soggiornato spesso prima di diventare corrispondente per due anni a Mosca), Gaëtan Vannay, responsabile della rubrica estera della radio RTS, non crede minimamente alla possibilità di un secondo turno, menzionato dallo stesso Putin.

Della stessa opinione Jean-Philippe Jaccard, docente presso l’Unità Russia dell’Università di Ginevra. “Il problema è che non ha di fronte a sé seri avversari. Anche sommando tutti i loro voti, non si arriva al 50%. E non credo che vi saranno enormi frodi, non ne ha bisogno”.

“Putin dispone di una certa popolarità e legittimità”, rammenta il docente ginevrino, che ha seguito una parte dei suoi studi in Russia e vi ritorna regolarmente.

Altalena al potere

Eletto per la prima volta nel marzo 2000 alla presidenza della Federazione Russa, Putin è stato riconfermato trionfalmente in carica quattro anni dopo. Dato che la costituzione vieta tre mandati consecutivi, nel 2008 non ha potuto ripresentarsi e ha ceduto il posto al suo primo ministro, Dmitri Medvedev, di 13 anni più giovane di lui.

Quest’ultimo, eletto con il 70% dei voti, ha scelto Putin quale primo ministro. Nel settembre 2011, Medvedev ha proposto Putin come candidato presidenziale per l’elezione del 4 marzo 2012. E Putin ha ora già fatto sapere che Medvedev sarebbe un ottimo primo ministro.

Questa altalena al potere tra i due non manca di irritare, perfino all’interno del suo partito, Russia Unita. “Ci sono molte persone che hanno votato per Medvedev quattro anni fa, perché non faceva parte del vecchio regime e teneva un discorso più moderno, in particolare contro la corruzione, che è uno dei problemi enormi della Russia. Ma ora sta mostrando ciò che è in realtà, vale a dire un burattino “, sostiene Jean-Philippe Jaccard.

Questo atteggiamento è stato in parte sanzionato alle urne. Nelle elezioni parlamentari del dicembre 2011, Russia Unita ha ottenuto solo il 49,32% dei voti, in calo di 15 punti rispetto al 2007. E questo nonostante i sospetti di frode, denunciati dall’opposizione e dagli osservatori stranieri dell’OSCE. Il partito al potere conserva ancora una risicata maggioranza di 12 seggi sui 450 della Duma.

Pane e onori

Nonostante questo calo, il candidato Putin si sente intoccabile, soprattutto a causa del successo indiscutibile del suo bilancio. “Da quando è arrivato al potere, si è venduto come l’uomo che ha salvato il paese dai rovesci dell’era Eltsin”, rileva Gaëtan Vannay. “Ha aumentato più volte le rendite dei pensionati e ha approfittato dell’incremento del prezzo del petrolio per distribuire un po’ di soldi alla popolazione. Vi è stato un chiaro sviluppo economico. Il russo medio vive indubbiamente meglio oggi di 12 anni fa, anche se la corruzione è probabilmente peggiore che mai “.

Vladimir Putin è anche l’uomo che ha risollevato l’orgoglio nazionale dei cittadini della Russia, dopo il crollo dell’URSS. “Non dobbiamo dimenticare l’importanza di questo spirito imperialista – dello stesso tipo di quello che anima gli americani – e del nazionalismo che va di pari passo. Sono cose che stentiamo a capire in piccoli paesi come la Svizzera o il Lussemburgo”, sottolinea Jean-Philippe Jaccard.

Per lusingare questo spirito, il futuro presidente Putin ha appena promesso di devolvere 590 miliardi dollari in spese militari nel corso dei prossimi dieci anni.

“Questa è la sua ricetta per rilanciare l’economia”, osserva Gaëtan Vannay. “Non vedo però un ritorno alla Guerra Fredda. Non si tratta di una visione ideologica, ma solo del desiderio di mantenere la Russia nella corte dei grandi. Una visione in cui rientra anche il sostegno accordato in questi ultimi tempi dalla Russia al regime in Siria e al porto di Tartus, il suo ultimo accesso diretto al Mediterraneo. Il governo russo non vuole perderlo, anche se dal profilo geopolitico è molto meno importante di quanto si voglia fare credere”.

Il cliché della nazione di schiavi

“La Russia ha perso lo sviluppo occidentale della democrazia. Se vivi per secoli da schiavo, nessuna ‘perestroika’ al mondo può farti uscire da questa condizione”, ha dichiarato recentemente lo scrittore russo Michail Siskin alla rivista “Cooperazione”.

Per Jean-Philippe Jaccard, che conosce bene lo scrittore residente in Svizzera, questo cliché non regge anche se viene spesso evocato per spiegare l’assenza di un’opposizione organizzata contro il potere del Cremlino. “Non credo che vi siano dei popoli destinati ad essere schiavi e altri no. È vero che la Russia non ha praticamente conosciuto periodi democratici, ma anche il regime degli zar è variato notevolmente nel corso del tempo. Non vi è sempre stato un Ivan il Terribile”, afferma il professore  ginevrino.

Anche per Gaëtan Vannay, “questa visione è troppo riduttiva”, anche se l’ha già sentita menzionare più volte dagli esperti.

“Non dobbiamo dimenticare l’inizio dell’era Eltsin, quando molte persone rimanevano incollate dinnanzi ai televisori per seguire i dibattiti parlamentari. Centinaia di migliaia sono scesi in strada, sono andati a difendere la Casa Bianca, quando vi è stato il tentato colpo di stato nel ’91”, ricorda il giornalista.

“Poi, effettivamente, l’interesse è scemato. Come mai? Forse per la durezza della vita quotidiana. Ma ora che la situazione è migliorata, la gente ricomincia a manifestare”, aggiunge Gëtan Vannay, il quale pronostica per Putin, questa domenica, un’elezione molto più facile rispetto a quella del 2018.

Vladimir Putin: già presidente dal 2000 al 2008 e attuale primo ministro, in linea di principio non può perdere queste elezioni. Nel 2000 e nel 2004 si era imposto al primo turno, con il 53% rispettivamente il 71% dei voti. In seguito ad un emendamento costituzionale, il suo nuovo mandato sarà di sei anni, rinnovabile per una volta. Le intenzioni di voto a suo favore si situano sul 66%.

Gennady Zyuganov: il comunista intransigente, in corsa per la quarta volta per il Cremlino, vuole rinazionalizzare l’economia e le banche, pur garantendo la democrazia. I pronostici lo danno al 15%.

Vladimir Zhirinovsky: il populista, ultra-nazionalista, xenofobo, e sostenitore di uno Stato forte e autoritario ama le declamazioni a grande voce e viene accusato spesso di essere un buffone. Alla sua quinta candidatura potrebbe raccogliere un 8% dei suffragi.

Mikhail Prokhorov: il miliardario indipendente,  che ha promesso di dare i nove decimi della sua fortuna in beneficenza, se viene eletto, e vuole sostituire il rublo con l’euro, rappresenta l’enigma di questa campagna. Alcuni lo vedono come una marionetta del Cremlino e affermano che, nel caso di un ballottaggio, chiederebbe ai suoi sostenitori di votare per Putin. Dovrebbe ottenere il 6% dei voti.

Sergei Mironov: il leader di Russia Giusta, fondata nel 2006 dal governo per raccogliere i voti del centro- sinistra, è un ex compagno di viaggio di Vladimir Putin e sostiene un socialismo del 21 ° secolo. Dispone di poco carisma e non dovrebbe  quindi andare oltre il 5%.

Dati: sondaggio Levada Center (indipendente), pubblicato il 24 febbraio.

Secondo un sondaggio di Levada Center, pubblicato il 1 ° febbraio,

il 49% dei russi ritiene che l’elezione presidenziale sarà “onesta”,

il 28% prevede che lo scrutinio sarà invece “disonesto” o “piuttosto disonesto”,

il 23% è indeciso.

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