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La tragedia greca del referendum-scorciatoia

Redazione Swissinfo

Con un voto popolare sul complesso piano di salvataggio della Grecia, previsto per questo fine settimana, l’Europa e il mondo devono rivedere una volta di più il loro modo non ottimale di considerare la moderna democrazia diretta.

Yanis Varoufakis, ministro greco delle finanze, è stato molto schietto: «La democrazia meritava una spinta nelle questioni europee. Noi l’abbiamo fornita. Lasciamo che sia il popolo a decidere», ha scritto via twitterCollegamento esterno il 26 giugno, dopo l’annuncio del governo di sottoporre a un voto popolare, il prossimo 5 luglio, le proposte avanzate alla Grecia dai creditori.

Pur rispondendo a una crescente richiesta internazionale di dare più potere ai cittadini nelle questioni economiche, la scorciatoia messa sul tavolo è soltanto un altro capitolo estremamente controverso di una tragedia greco-europea dalle implicazioni globali.

Bruno Kaufmann, esperto di democrazia. swissinfo.ch

Culla indiscussa dell’antica democrazia diretta, la Grecia non è mai riuscita ad adattarsi alle moderne forme di legiferazione cittadina. Al contrario, è stata alle prese con diversi tipi di regimi più o meno autocratici che coinvolgevano i militari, gli oligarchi e, più recentemente, le forze populiste dell’estrema sinistra e destra.

Il voto del 5 luglio su due documenti chiave della cosiddetta Troika (Commissione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale) offre comunque uno sguardo sull’incompatibilità tra le democrazie nazionali e i regimi internazionali di governance economica.

È un conflitto tra attori che non riescono a trovare un linguaggio comune, che permetterebbe loro di accordarsi sulle regole comuni, rendendo il processo decisionale libero ed equo. Si osservano sfide simili in occasione delle controverse trattative sugli accordi internazionali di libero scambio come il Partenariato transatlantico tra gli Stati Uniti e i paesi asiatici o il Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti tra l’Ue e gli Stati Uniti.

Bruno Kaufmann

Cittadino svizzero, Bruno Kaufmann presiede l’Istituto europeo sull’iniziativa e il referendum (un laboratorio di idee transnazionale) e co-presiede il Global forum on Modern Direct Democracy.

Vive in Svezia, dove dirige tra l’altro la Commissione elettorale della città di Falun. In qualità di giornalista, lavora come corrispondente dal Nord Europa per la Radio svizzero-tedesca (DRS) ed è caporedattore di people2power, una piattaforma sulla democrazia diretta creata e ospitata swissinfo.ch.

In entrambi i casi possiamo notare l’enorme distanza tra il debole (ma legittimo) linguaggio usato dai sistemi di governo democratici e il potente (ma assai meno legittimo) linguaggio del business mondiale.

La trappola del plebiscito

Tornando alla Grecia e al “referendum” di domenica, la scorciatoia che il governo considera il potere cittadino è tuttavia fortemente problematica. E questo per vari motivi.

Innanzitutto, nel paese non vi alcuna base istituzionale e culturale per questa mossa. L’ultima votazione nazionale su questioni importanti risale al 1974, quando il popolo greco è stato chiamato ad esprimersi su come sostituire il regime militare: con una monarchia o una repubblica? I cittadini hanno optato per la seconda.

L’unico referendum che non concerneva una questione legata alla forma del governo è stato quello su una nuova Costituzione durante la dittatura militare nel 1968.

Tuttavia, il voto del 5 luglio deve essere visto anche alla luce della crisi economica, politica e democratica degli ultimi anni. Nell’ottobre 2011 l’allora Primo ministro George Papandreou annunciò una mossa simile per lasciare al popolo la decisione su un precedente piano di aiuti. L’annuncio di quel referendum fu una sorpresa per la maggior parte delle persone dentro e fuori il paese, ma Papandreou ne aveva creato i presupposti adottando una legge sul referendum all’inizio di quell’anno. Il leader socialista propose un periodo di tre mesi per dare spazio alle deliberazioni pubbliche prima del voto. Un elemento che invece questa volta è stato ridotto ad appena pochi giorni…

Secondariamente, come espresso dal ministro delle finanze nel tweet menzionato sopra, il voto di domenica è una «spinta per la democrazia» estremamente ambigua. È stato enfatizzato il carattere plebiscitario di questo voto, il quale ha poco a che vedere con un vero e proprio referendum concernente una legge o il processo di una richiesta venuta dalla minoranza.

I plebisciti sono la forma di «coinvolgimento» della gente preferita da parte di governanti autocratici e populisti per assicurarsi un’ulteriore (e spesso immediata) legittimità. Nella storia del mondo ci sono centinaia di esempi di “referendum” manipolati, in seguito recuperati ben volentieri dagli avversari della reale democrazia per argomentare contro la partecipazione diretta dei cittadini nell’agenda politica e nel processo decisionale.

Domenica prossima in Grecia, tutti questi ingredienti faranno parte della cosiddetta «spinta per la democrazia», spalancando di fatto le porte a un’ulteriore delegittimazione del potere cittadino e a un ulteriore consolidamento delle forze estremiste, populiste e antidemocratiche.

Idee forti, pratiche deboli

In terzo luogo, il referendum-plebiscito greco rappresenta una potente espressione di quanto l’Ue (e il mondo) siano ancora incapaci (o riluttanti) di rimanere fedeli ai loro valori principali e di implementarli nella pratica politica.

«Punto di vista»

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Non è sufficiente fare sempre riferimento a tutte le cose che non ci piacciono (guerra, violenza, violazione dei diritti umani, comportamenti autocratici, …) per non investire più volontà politica, risorse e tempo per stabilire e sviluppare infrastrutture democratiche solide e durature a tutti i livelli politici.

Settant’anni dopo la creazione delle Nazioni Unite (nella cui Dichiarazione universale dei diritti umani stabilisce chiaramente, all’articolo 21, i principi della moderna democrazia partecipatoria) e con l’esistenza da alcuni anni del Trattato europeo di Lisbona (articolo 11, che stabilisce la partecipazione diretta dei cittadini quale pilastro della moderna democrazia), è giunto il momento di prendere più sul serio l’adeguato funzionamento democratico e di imparare gli uni dagli altri. Questo dovrebbe essere particolarmente semplice quando si tratta di referendum in Europa e sull’Europa.

Quando interessi economici senza frontiere superano e contrastano le conquiste e i diritti democratici fondamentali – come stiamo assistendo nell’attuale tragedia greco-europea – tutti i tipi di forze (non interessate a un moderno potere cittadino) sono spinte a ricorrere a posizioni semplicistiche, propagandistiche e per questo problematiche.

Uno dei principali compiti della nostra generazione è di individuare e stabilire una bilancia più sostenibile tra i diritti democratici fondamentali venerati a livello nazionale e internazionale e le dinamiche per un mondo libero e aperto. È ovvio che questo non viene fatto da un plebiscito-scorciatoia come quello in Grecia, il quale offre invece un invito per ulteriori battute di arresto.

Traduzione dall’inglese di Luigi Jorio

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