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La silenziosa e inesorabile rivoluzione del diritto internazionale

Redazione Swissinfo

Il cambiamento più significativo della democrazia diretta svizzera consiste nell’internazionalizzazione dei suoi effetti. La portata di questa trasformazione è però ancora poco percepita. Le considerazioni di Wolf Linder, professore onorario di scienze politiche all’Università di Berna.

L’accettazione dell’iniziativa «contro l’immigrazione di massa» ha fatto sobbalzare il mondo politico svizzero: il testo era l’ultimo di una serie attraverso la quale l’Unione democratica di centro (UDC) è riuscita, con successo, a fare appello al popolo per portare avanti la sua politica migratoria e d’asilo. Una politica che in parlamento non era riuscita a trovare una maggioranza.

Tutte queste iniziative – sull’internamento a vita, sull’espulsione dei criminali stranieri, sul divieto di costruire minareti o per non permettere ai pedofili di lavorare coi bambini – racchiudono esigenze problematiche da un punto di vista costituzionale o dei diritti dell’uomo. Oppure, come nel caso della libera circolazione, hanno condotto a conflitti aperti con Bruxelles.

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Il crescente disagio causato dalle iniziative popolari è da ricondurre anche a ragioni più generali. Negli ultimi dieci anni il numero delle iniziative popolari è aumentato e le loro chance di successo sono raddoppiate, passando dal 10 al 20%. Molti lo interpretano come un segnale negativo. Non mancano quindi voci critiche che vorrebbero stringere le viti in materia di diritto d’iniziativa.

Nel caso in cui il parlamento dovesse approvare una riforma del diritto d’iniziativa, si preannuncia una lotta elettorale dagli alti contenuti emotivi, poiché ne va dei diritti personali dei cittadini.

Il parlamento sarà presto chiamato ad esprimersi. La commissione delle istituzioni politiche del Consiglio degli Stati propone infatti una revisione. Si chiede, in particolare, di esaminare il testo dell’iniziativa prima di sottoporlo al popolo, per verificare che sia conforme con la Costituzione. Inoltre, si vorrebbe introdurre un divieto di retroattività e applicare il principio d’unità della materia in modo più severe.

L’UDC si muove invece nella direzione completamente opposta. Con la sua iniziativa «Il diritto svizzero anziché i giudici stranieri» si ripropone di eliminare le zone grigie tra diritto nazionale e diritto internazionale. «Giusto o sbagliato, il mio paese prima di tutto»: il motto in sostanza è questo. In altre parole, l’effetto delle iniziative popolari non andrebbe limitato, bensì ampliato.

Rispettare il diritto costituzionale

Si tratta di interpretazioni oltremodo controverse dell’iniziativa popolare e della sua relazione con il diritto nazionale e internazionale. Nel caso in cui il parlamento dovesse approvare una riforma del diritto d’iniziativa, si preannuncia una lotta elettorale dagli alti contenuti emotivi, poiché ne va dei diritti personali dei cittadini. Una rumorosa rivoluzione è in marcia.

Nato nel 1944, Wolf Linder è professore onorario di scienze politiche all’Università di Berna. I suoi principali campi di ricerca sono la politica svizzera e lo sviluppo della democrazia nei paesi del terzo mondo. Questo contributo è stato pubblicato per la prima volta dalla Neue Zürcher Zeitung il 30 novembre 2015. Adrian Moser

A mio avviso non si è ancora posto sufficientemente l’accento su un aspetto particolarmente discutibile di questa politica relativa alle iniziative. Ritengo che il problema principale non sia tanto la zona grigia tra diritto nazionale e internazionale, quanto piuttosto il rispetto del diritto costituzionale, in particolare la separazione dei poteri. Non è compito di chi legifera, far poi applicare anche la legge. E chi fa applicare la legge deve sottostare al controllo giudiziario.

Questo principio è fondamentale. Senza di esso non esiste democrazia. Basta osservare ciò che succede nel mondo: laddove la separazione dei poteri si erode, iniziano a svilupparsi regimi autoritari. Eppure mi sembra che stiamo dimenticando questo principio nell’ambito delle iniziative popolari: viene richiesta la loro «applicazione alla lettera» (o addirittura è il governo a prometterla). E questo non solo per l’iniziativa «contro l’immigrazione di massa», ma anche per quella sulle residenze secondarie. Ciò mina la politica costituzionale.

Vi è di più: è stata lanciata un’iniziativa «per l’attuazione» [per l’espulsione dei criminali stranieri], al fine di togliere al parlamento ogni margine di manovra per elaborare una legge d’attuazione per un articolo costituzionale. È una stupidaggine e rappresenta una grave violazione del principio della separazione dei poteri. Per le iniziative popolari, l’elettorato è l’organo supremo e il legislatore costituzionale. Non deve però essere utilizzato a scopi autoritari. E anche se l’elettorato è il legislatore costituzionale, niente lo autorizza a non rispettare la separazione dei poteri. Le iniziative popolari sono perciò conformi costituzionalmente solo quando al parlamento viene concesso un certo margine di manovra per tradurle in legge e quando esiste un minimo di controllo giudiziario.

Le iniziative popolari che non rispettano questi criteri devono perciò essere invalidate. Poiché in Svizzera non esiste una Corte costituzionale, una simile decisione dovrebbe essere presa dal parlamento. Una decisione che sarebbe inappellabile. In questo ambito il parlamento dovrebbe prendere più sul serio il suo ruolo di guardiano della costituzione. Non sono necessari nuove basi giuridiche. Basterebbe un po’ di coraggio politico.

Internazionalizzazione della politica

A ciò va ad aggiungersi una silenziosa e quasi inosservata rivoluzione del diritto internazionale, conseguenza di un’internazionalizzazione della politica e dei diritti. Oltre la metà delle legislazioni emanate ogni anno dalla Confederazione non si riferiscono al diritto nazionale, bensì ai trattati internazionali.

Inoltre, sempre più disegni di legge nazionali devono essere conformi col diritto internazionale. Oggi non esiste più una chiara separazione tra politica interna ed estera. Con l’accettazione nel 2003 della revisione dei diritti popolari, i trattati internazionali che contengono disposizioni importanti possono essere oggetto di referendum. In questo modo, l’elettorato può dire la sua non solo per quanto concerne revisioni legislative o costituzionali che riguardano la politica interna, bensì anche per temi di politica estera.

Si tratta di una novità fondamentale rispetto al XX secolo, durante il quale la democrazia diretta era limitata essenzialmente alla politica interna. In nessun altro paese al mondo il popolo può avere così tanta voce in capitolo in materia di politica estera. Si tratta anche per noi di una rivoluzione, la cui portata non è ancora ben chiara. L’«internazionalizzazione» della nostra democrazia diretta rappresenta un’opportunità e nello stesso tempo racchiude dei rischi.

Democrazia diretta come antidoto

I rischi prima di tutto: in politica interna la democrazia diretta è una sorta di gioco tra governo e popolo. Ogni tanto l’elettorato dice di «no». In altre parole, invia questo messaggio al governo: questa proposta non ci piace, proponetene una migliore.

E i cittadini possono aspettarsi che effettivamente sia così, poiché il governo è di fatto obbligato a continuare il dialogo.

In politica estera interviene per contro un terzo partner. Ciò modifica completamente la situazione. Quando l’elettorato svizzero dice di no a un contratto di diritto internazionale, il partner internazionale, contrariamente al governo elvetico, non è obbligato ad avviare nuove trattative. Ed è quanto sta avvenendo per gli accordi bilaterali. Noi possiamo naturalmente iscrivere nella Costituzione che il Consiglio federale deve rinegoziare la libera circolazione. Se però Bruxelles non ne vuole sapere di rivedere i trattati con la Svizzera, questa richiesta rimane lettera morta. È un rischio considerevole, poiché la Confederazione ha più bisogno degli accordi bilaterali di quanto ne abbia l’Unione Europea. Questa via può condurre a un isolamento in materia di politica estera.

La democrazia diretta può però offrire anche delle opportunità. Gli ultimi due decenni sono stati caratterizzati da una globalizzazione galoppante, che prende forma soprattutto in un’europeizzazione. In questo periodo, l’economia e la politica si sono trasformate più di quanto accaduto nei cinque decenni precedenti. La globalizzazione e l’europeizzazione hanno un aspetto in comune: entrambe non fanno solo dei vincenti, bensì anche un grande ed eterogeneo gruppo di perdenti. Entrambe rafforzano politicamente gli esecutivi e i tribunali internazionali e indeboliscono i parlamenti nazionali.

La globalizzazione e l’europeizzazione soffrono di un deficit democratico. La democrazia diretta agisce così da antidoto: ogni contratto internazionale deve passare il test del referendum facoltativo o obbligatorio e quindi soddisfare la maggioranza dell’elettorato. Il fatto che la politica europea della Svizzera si limiti solo agli accordi bilaterali, mostra che l’elettorato acconsente all’attuale iper-globalizzazione solo in maniera circoscritta. In nessun altro paesi i cittadini possono dire la loro su un processo poco democratico come la globalizzazione e l’europeizzazione.

Conclusione: il cambiamento più significativo della democrazia diretta sta nell’«internazionalizzazione» dei suoi effetti. Ciò riguarda sia il referendum che l’iniziativa popolare. Le implicazioni di questo cambiamento non sono ancora pienamente capite. Dovremo imparare a gestire i rischi e a cogliere le opportunità di questa rivoluzione silenziosa. Ciò implica un processo d’apprendimento da parte di tutti noi.

Questo contributo è stato pubblicato per la prima volta dalla Neue Zürcher Zeitung il 30 novembre 2015. 

Le opinioni espresse in questo articolo sono quelle dell’autore e non riflettono necessariamente la posizione di swissinfo.ch.

Traduzione di Daniele Mariani

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