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Il tempismo (im)perfetto delle accuse contro l’UNRWA

Daniel Warner, politologo

Un disastroso rapporto interno ha gettato un'ombra molto scura sul comportamento etico degli alti funzionari dell'Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l'occupazione dei profughi palestinesi (UNRWA). La sua tempistica solleva questioni politiche sul futuro delle relazioni israelo-palestinesi.

Il rapporto, inviato al segretario generale dell’ONU in dicembre ma reso pubblico solo di recente, cita “notizie credibili e confermate” secondo cui i membri di una “cerchia ristretta” ai vertici dell’UNRWA, compreso il commissario generale svizzero Pierre Krähenbühl, si sono resi colpevoli di “atti di carattere sessuale inappropriati, nepotismo, ritorsioni, discriminazioni e altri abusi di autorità per guadagno personale, per reprimere il legittimo dissenso e per raggiungere i propri obiettivi personali”.

“Il discrimine tra umanitarismo e politica non è così ampio come molti credono”

Se il rapporto etico si occupa solo del funzionamento interno dell’organizzazione, è però chiaro che in questo ambito non si può separare la politica dall’etica. Perché vengono sollevate questioni etiche all’interno dell’UNRWA? Con le continue tensioni tra le autorità palestinesi e Israele e il piano di pace dell’amministrazione Trump ancora in incubazione, il rapporto è una doccia fredda per ogni speranza di migliorare la vita di milioni di palestinesi sfollati. Essi dipendono dall’UNRWA per servizi sociali come scuole e ospedali. Generazioni di palestinesi sono rimaste bloccate nei campi, con l’UNRWA che ha fatto tutto il possibile per alleviare le loro sofferenze.

Il rapporto fa parte di una strategia più ampia? Criticando ora pubblicamente l’UNRWA, ci sono potenze che sperano di costringere i palestinesi a firmare un accordo che non fa promesse sul diritto al ritorno? Quando gli Stati Uniti hanno deciso di smettere di finanziare l’UNRWA nel 2018, un portavoce dell’Autorità palestinese ha suggerito che gli Stati Uniti “usano gli aiuti umanitari per ricattare e fare pressione sulla leadership palestinese, in modo che si sottometta al piano vuoto noto come ‘l’affare del secolo'”.

“Parte del problema”

Come c’era da aspettarselo, le reazioni al rapporto sono state immediate. Il ministero svizzero degli affari esteri ha annunciato di aver “deciso di sospendere temporaneamente i pagamenti all’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi nel Vicino Oriente (UNRWA)”. Già nel 2018 il ministro degli esteri svizzero Ignazio Cassis aveva criticato pubblicamente il ruolo dell’UNRWA dopo una visita in Giordania. All’epoca disse che sarebbe stato impossibile fare la pace tra Israele e l’Autorità palestinese, perché “finché i palestinesi vivono in campi profughi, vogliono tornare in patria”.

“Per molto tempo l’UNRWA è stata la soluzione a questo problema, ma oggi è diventata parte del problema”, ha detto Cassis. “Fornisce le munizioni per continuare il conflitto. Sostenendo l’UNRWA, manteniamo vivo il conflitto. È una logica perversa”.

Il Jewish News Syndicate si è particolarmente accanito sullo scandalo: “Le rivelazioni sulle malefatte dilaganti nei corridoi dell’UNRWA non avrebbero potuto far vergognare un’organizzazione più degna. Anche se normalmente non è bello gongolare per le disgrazie altrui, la ‘Schadenfreude’ suscitata dalla notizia di un comportamento inappropriato dietro le mura di questa organizzazione particolarmente vile è giustificata”.

Una giornalista israeliana, Ruthie Blum, ha cercato di piantare un altro chiodo nella bara dell’agenzia: “Nessuna misura più blanda della chiusura dell’UNRWA può essere ritenuta soddisfacente, perché la sua stessa esistenza è una truffa criminale… Nel frattempo, consoliamoci con la meritata umiliazione pubblica dell’agenzia”.

Gli Stati Uniti hanno posto fine a tutti i finanziamenti all’UNRWA nel 2018, prima dello scandalo attuale, descrivendo l’organizzazione come “irrimediabilmente viziata”.

Un difficile equilibrismo

Il discrimine tra umanitarismo e politica non è così ampio come molti credono. Organizzazioni quali l’UNRWA si muovono su una linea sottile che separa l’assistenza a tutti i bisognosi e la presa di posizione nei conflitti. Reagendo alla vicenda attuale, l’UNRWA ha scritto che “è probabilmente una tra le agenzie dell’ONU più soggette a osservazioni, a causa della natura del conflitto e dell’ambiente complesso e politicizzato in cui opera”.

Qualsiasi grave abuso all’interno dell’UNRWA dovrebbe essere esaminato e punito. Su questo non dovrebbero esserci dubbi. E data la sensibilità delle loro attività, organizzazioni come l’UNRWA dovrebbero essere particolarmente attente alle loro azioni. Ma il tempismo delle rivelazioni attuali arriva certamente al momento opportuno per coloro che vogliono spingere i palestinesi verso un accordo di pace. E che dire di tutti i rifugiati che dipendono dall’UNRWA per i servizi di base? Sono ancora una volta dimenticati, come lo sono stati negli ultimi 70 anni?


L’UNRWA è nata nel 1949 per assistere i palestinesi sfollati durante la guerra del 1948, sfociata nella creazione dello Stato di Israele. Fu istituita con la risoluzione 302 (IV) dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, con il mandato iniziale di fornire “aiuti diretti e programmi di lavoro” ai profughi palestinesi, al fine di “prevenire condizioni di fame e sofferenza… e per promuovere condizioni di pace e stabilità”. Oggi fornisce istruzione, assistenza sanitaria e servizi sociali a più di 5 milioni di profughi palestinesi in Giordania, Libano, Siria, Striscia di Gaza e Cisgiordania. Dipende dai contributi volontari ed è in crisi finanziaria da quando gli Stati Uniti hanno ritirato il loro sostegno nel 2018.

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