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Cause, rischi e fascino delle teorie complottiste

Protesta
"Colpevole!" - Con la pandemia, il miliardario Bill Gates è diventato protagonista di molte teorie complottiste. Nella foto, una manifestazione a Berlino. Copyright 2020 The Associated Press. All Rights Reserved

Stando a un recente studio dell'Università di Basilea svolto in Germania e Svizzera tedesca, il 30% delle persone crede almeno parzialmente a una teoria del complotto legata alla pandemia di coronavirus. Ne abbiamo discusso con un professore di psicologia sociale specializzato sul fenomeno.

Il coronavirus è stato creato in laboratorio, la sua diffusione è un tentativo deliberato da parte di una piccola élite di ottenere il controllo della popolazione.

Macché! In realtà è tutta una montatura, il virus non esiste, la vera ragione del lockdown è fermare l’immigrazione o imporre un sistema di sorveglianza di massa.

Fandonie! È evidente che Bill Gates ha creato il virus per ridurre la popolazione mondiale. Se non è così, si tratta di un’arma aliena per distruggere l’umanità.

Il 10% delle persone interpellate dall”équipe di Sarah Kuhn e Thea Zander-Schellenberg, dell’Università di Basilea, crede fortemente ad almeno una teoria del complotto tra quelle appena elencate o altre simili.

Dal sondaggio online preparato dalle ricercatriciCollegamento esterno, a cui hanno partecipato circa 1’600 persone in Germania e Svizzera tedesca, emerge inoltre che un ulteriore 20% sostiene almeno un po’ o moderatamente una di queste teorie, mentre il 70% non ci crede.

“Non si tratta di cifre sorprendenti”, commenta Pascal Wagner-Egger, professore dell’Università di Friburgo che si occupa dello studio delle credenze in teorie del complotto dal punto di vista della psicologia sociale.

In sondaggi analoghi svolti all’inizio della pandemia sono infatti emerse le stesse percentuali: un 10% convinto della veridicità di una teoria del complotto e un 20% che ci crede almeno un po’. Anche prima dell’avvento del coronavirus dagli studi sul complottismo risultavano le stesse cifre, se non più elevate.

Dopo un anno di pandemia, “mi stupisce piuttosto il fatto che le percentuali non siano cresciute. Forse è una buona notizia”, dice il professore, che tuttavia ci mette in guardia su questo tipo di dati. 

Per quanto interessanti e seducenti siano da un punto di vista giornalistico e politico, è sempre delicato parlare di proporzioni in questo ambito. Il mondo scientifico non vi fa grande affidamento.

Quando qualcuno risponde “ci credo”, è sempre difficile valutare cosa vuol dire esattamente.

Primo piano di Wagner-Egger
Pascal Wagner-Egger è professore e ricercatore in psicologia sociale e statistica all’Università di Friburgo. Da vent’anni studia le credenze con poco fondamento scientifico. In maggio uscirà il suo primo libro sul tema: “Psychologie des croyances aux théories du complot” (edizioni PUG). Università di Friburgo

Pericolosità

Anche senza studi che lo confermino, basta farsi un giro sui social media per capire che si tratta di un fenomeno diffuso. È difficile non trovare almeno un commento complottista sotto i post che trattano di notizie sul coronavirus. E non si tratta di un fatto innocuo.

“Nei nostri studi constatiamo che queste credenze sono legate a sentimenti anti-scienza e anti-vaccino. Naturalmente questo è problematico durante una pandemia per uscire dalla quale pensiamo che i vaccini siano uno strumento efficace”, dice il professore.

Vi sono poi conseguenze negative per la politica e la democrazia. Quando si comincia a credere che la maggior parte dei giornalisti, dei politici e degli scienziati sia corrotta, si perde la fiducia nelle istituzioni, e questo si accompagna a tendenze politiche violente e non normative.

Non è un caso che queste teorie siano diffuse agli estremi dello spettro politico, soprattutto nell’estrema destra ma anche nell’estrema sinistra, dove si trovano discorsi di rivincita contro il sistema che si vuole rimpiazzare.

Praticamente diffamazione

A questo punto è bene puntualizzare che si parla della pericolosità di “credenze” a un complotto. La storia e l’attualità ci mostrano che i veri complotti esistono, ma da questo non si può concludere che credere a un complotto sia legittimo. “È una credenza che non porta a nulla ed è anzi controproducente, anche se siete anti-sistema, poiché non si basa su nessuna prova e à dunque tutte le probabilità di essere falsa”, sottolinea il professore.

Detto in altri termini, i complotti possono rivelarsi veri (anche se la stragrande maggioranza non lo è), ma lanciare accuse di complotto senza presentare prove concrete non è altro che diffamazione.

“Se un complotto risultasse vero, sarà solo grazie al lavoro di veri inquirenti o ricercatori, non certo grazie alla gente su internet che crede a tutti i complotti possibili e immaginabili”.

Da dove nasce il complottismo

Nonostante sia un fenomeno oggi particolarmente discusso e appariscente, il complottismo è molto antico. È nato “senza dubbio quando le società si sono sedentarizzate e la lotta per il potere è cominciata”, spiega il professore che distingue tre fattori per spiegare il successo di cui godono oggi queste teorie infondate.

“Il divario tra i più ricchi e i più poveri cresce. E questo nutre il discorso complottista.”

Il primo, a cui abbiamo già accennato, è quello sociopolitico. Chi è ostile alle istituzioni e al sistema in cui viviamo, come ad esempio gli estremisti politici, tende a giustificarsi con teorie complottiste.

Ad alimentarle sono anche le ingiustizie e le disuguaglianze sociali. Diverse ricerche mostrano che più elevata è l’ineguaglianza in un Paese, più terreno fertile trovano le teorie complottiste, spesso legate a un discorso di rivincita da parte dei gruppi sfavoriti.

“Anche se la povertà nel mondo si è ridotta, è lungi dall’essere scomparsa e, anzi, è aumentata con la pandemia. In più, il divario tra i più ricchi e i più poveri cresce. E questo nutre il discorso complottista”, sottolinea il ricercatore.

Il secondo fattore è psicologico. È nella nostra natura ragionare in modo naif e non scientifico, specialmente in situazioni ansiogene come nel caso di un attentato terroristico, o di una pandemia.

Il professore fa l’esempio di una persona che cammina da sola in una foresta di notte: se sente un rumore, avrà immediatamente la tendenza a pensare che si tratti di un predatore o di qualcuno che le vuole fare del male.

Questo perché il nostro cervello si è evoluto così. I nostri antenati più paranoici sono quelli che sono sopravvissuti, dato che un tempo pensare subito al peggio poteva salvare la vita. Ora non è più così, ma la caratteristica è rimasta.

“Diverse ricerche mostrano che le distorsioni cognitive, questo modo di riflettere per sopravvivere, accentuano le credenze, non solo ai complotti ma anche al paranormale: percepire fantasmi o intenzioni umane dove non ci sono. Tutto questo viene dal nostro passato di specie”, spiega Wagner-Egger.

L’ultimo fattore è internet, dove non solo queste teorie possono propagarsi a velocità vertiginose, ma in cui nulla viene dimenticato. Cercando informazioni su una teoria complottista si incappa facilmente in altre simili diffuse in passato, che vengono così ripescate e ritornano in auge. Senza il web, sarebbero state dimenticate.

Un ritorno alla normalità

Le soluzioni per contrastare il complottismo sono da cercare negli stessi campi in cui cresce. Ridurre le diseguaglianze sociali e la corruzione di uno Stato, garantire un giornalismo imparziale e la divisione dei poteri sono tutti metodi utili per lottare contro il fenomeno.

Dal punto di vista psicologico Wagner-Egger ritiene che la soluzione stia nell’educazione, nell’insegnare ai più giovani ad avere un pensiero critico, a non fidarsi subito e a verificare le informazioni. Ci si può lasciare affascinare dallo strano e dall’ignoto, è divertente, ma senza prove concrete si rischia di cadere nel tranello.

Infine, anche se con la fine della pandemia si vedrà meno complottismo nel web, le “fake news” resteranno un grande problema con cui ci dovremo confrontare per parecchio tempo. Ci si sta già muovendo per contenerle, tramite algoritmi o bloccando sui social media chi diffonde teorie infondate.

“Non è mai bello censurare, ma se prendiamo l’esempio di Twitter o Facebook non credo si possa dire sia vera censura perché si tratta di servizi privati e chi viene bannato può sempre andare su un altro sito”, dice il ricercatore. “Si tratta di esiliare queste idee dal discorso pubblico e farle tornare a dov’erano prima di internet: su libri new age e complottisti di nicchia”.

Sarebbe insomma un ritorno alla normalità da una situazione anomala, quella attuale, in cui a queste teorie è stato offerto un pubblico immenso, dando quindi loro più peso di quanto ne abbiano in realtà, conclude Wagner-Egger. 

Come deve comportarsi chi ha fiducia nel metodo scientifico quando incappa in un commento complottista? 

Lo stesso Wagner-Egger, che spesso sui social media discute anche animatamente con chi sostiene queste teorie, ammette che generalmente è impossibile far cambiare idea a chi posta questi commenti.

“È come discutere con un religioso fanatico. Se per confutare il creazionismo gli si dice che ci sono dei fossili di dinosauro, lui vi risponderà che il diavolo li ha messi lì per farci credere che quello che c’è nella Bibbia è falso.  È impossibile far cambiare opinione a qualcuno di troppo radicalizzato”, dice.

Nonostante questo, sul web il professore continua a dibattere con queste persone, facendo notare gli errori del loro ragionamento e rendendoli attenti al fatto che stanno lanciando accuse gravissime senza prove.

È un esercizio che generalmente rinforza le opinioni dell’interlocutore, che si sente aggredito, ma secondo il professore è positivo per due motivi: per quanto remota, esiste la possibilità di insinuare un sano dubbio nella mente del complottista, ma soprattutto è proficuo per gli spettatori. “Per chi ha posizioni più moderate può essere molto utile leggere le esagerazioni di un discorso complottista”, spiega.

La situazione è più delicata quando il complottista è una persona cara, come un membro della famiglia, un conoscente con cui non si possono più abbordare determinati argomenti, altrimenti nasce un conflitto.

 In questo caso si possono adottare delle tecniche, come l'”epistemic interviewing”, una sorta di dialogo socratico. È un’arte saper utilizzare bene questa tecnica che consiste nel discutere senza esprimere la propria opinione. Non si dice se si è pro o contro un’idea, ma si pongono domande all’interlocutore, in questo caso il complottista, per fargli spiegare in che modo e perché giustifica ciò in cui crede.

“Molto spesso queste persone si rendono conto da sole che la loro convinzione ha una base molto fragile”, spiega Wagner-Egger. “È un sistema utilizzato nella psicologia umanista ed è molto rispettoso della persona. Lo si vede raramente sulle reti sociali dove si passa facilmente agli insulti.”

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