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Via libera del parlamento al progetto “Swissness”

La croce bianca su sfondo rosso, un simbolo universalmente riconosciuto. Keystone

Quanti elementi di fabbricazione svizzera ci devono essere in un prodotto per poter ottenere il marchio "Swiss made"? Dopo quattro anni di dibattiti, interessi divergenti e lobbying del mondo politico ed economico, il parlamento ha accolto il progetto di legge "Swissness" in modo sorprendentemente netto.

“Sorprendentemente”, perché ancora fino a pochi giorni fa diversi gruppi di interesse erano impegnati in un intenso lavoro di lobbying e il progetto sembrava dover capitolare, soprattutto al Consiglio degli Stati (Camera alta). Alla fine, però, la legge è stata accettata dalle due Camere del parlamento, con rispettivamente 26 voti contro 13 al Consiglio degli Stati e 135 contro 47 al Nazionale.

In futuro dunque, per quanto riguarda i prodotti industriali, almeno il 60% dei costi di fabbricazione dovrà essere generato in Svizzera, incluse le spese per la ricerca e lo sviluppo. Nel caso delle derrate alimentari è stato fissato un tetto minimo dell’80%. Latte e latticini dovranno invece essere al cento per cento svizzeri.

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Costi supplementari per i più piccoli

Con l’approvazione della legge da parte del parlamento, è stata dunque chiarita un annosa questione: quanti elementi svizzeri devono esserci in un prodotto elvetico affinché ci si possa servire del marchio rossocrociato come strumento di promozione? «Veglieremo affinché questo progetto sia applicato in modo pragmatico e ragionevole», afferma Rudolf Horber, dell’Unione svizzera delle arti e mestieri (USAM).

L’associazione di categoria, che rappresenta le piccole e medie imprese (PMI), non è entusiasta del limite del 60% fissato per i prodotti industriali. Sottolinea che in Francia la soglia è del 45% per i costi di fabbricazione generati nel paese, mentre in Germania è del 50%. L’USAM critica inoltre il fatto che nel computo totale dei costi di produzione siano inclusi anche la ricerca e lo sviluppo, perché in questo settore le PMI hanno molte meno spese rispetto alle multinazionali.

L’Organizzazione dell’industria metalmeccanica ed elettrica svizzera (swissmem) sottolinea che nell’industria orologiera, ad esempio, i produttori più piccoli attivi in settori di media e bassa gamma non riusciranno ad assorbire i costi supplementari e rischiano di essere meno competitivi sul mercato.

Un marchio che vale oro

A essersi schierata a favore della soglia del 60% è invece stata la Federazione dell’industria orologiera svizzera, alla quale appartengono anche diversi marchi di lusso famosi in tutto il mondo.

Alla fine, il parlamento ha deciso di portare la percentuale dall’attuale 50 al 60%, malgrado l’opposizione dei detrattori della cosiddetta “Lex Hayek”, dal nome del fondatore di Swatch Group Nicolas Hayek.

Nonostante il lungo iter parlamentare e l’intenso lavoro di lobby, tutti concordano che il marchio elvetico vale oro. Diversi studi rilevano che l’etichetta “Swiss Made” può incrementare fino al 20% il prezzo di vendita di un prodotto.

Per questo motivo, il mondo politico è unanime nell’affermare che il marchio svizzero va protetto legalmente contro tutti coloro che potrebbero trarne ingiustamente beneficio.

Nessuna distinzione delle derrate

Il dibattito attorno alla “Swissness” dei prodotti ha interessato anche il mondo agricolo e l’industria alimentare, che durante l’intero processo legislativo si sono attivati per far valer i propri interessi.

L’associazione dell’industria alimentare, a cui appartengono anche multinazionali quali Nestlé o Unilever, voleva ad esempio una distinzione tra le derrate debolmente trasformate e quelle sottoposte a numerosi processi di trasformazione.

Il Nazionale aveva incluso questa differenziazione nella legge, contrariamente al Consiglio degli Stati. La proposta non è così stata adottata.

Per essere venduti con il marchio “Swiss Made”, tutti generi alimentari modificati dovranno dunque contenere l’80% di materie prime elvetiche. Le associazioni di contadini avevano minacciato di lanciare un’iniziativa popolare se il parlamento avesse adottato un tasso più basso.

La nuova legge prevede comunque numerose eccezioni, ad esempio per le materie prime che non esistono in Svizzera (come il cacao) o che non sono disponibili in quantità sufficienti.

Il maiale con la croce svizzera

Quand’è che un maiale può dirsi svizzero? Dopo un lungo dibattito, il parlamento ha raggiunto un verdetto: un maiale è svizzero quando ha trascorso almeno la metà della sua vita su suolo elvetico. Nulla di fatto dunque per coloro che sostenevano la tesi che soltanto la carne proveniente da animali nati e cresciuti in Svizzera può essere venduta con il marchio “Swiss made”.

Meno controversa invece la questione del latte e dei latticini: per il parlamento devono essere prodotti al cento per cento in Svizzera per poter rivendicare lo stemma rossocrociato.

(Traduzione dal tedesco, di Stefania Summermatter e Luigi Jorio)

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