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Un’istituzione nazionale per i diritti umani, un lusso?

Il ministro degli affari esteri Didier Burkahlter si esprime nella sala del Consiglio dei diritti umani di Ginevra. Reuters

Il governo elvetico ha deciso di creare un organo perenne per la difesa e la promozione dei diritti umani in Svizzera. Un progetto che rischia però di essere contestato a destra, come è successo per il centro nazionale di competenza per i diritti umani fondato cinque anni fa.

«La decisione del Consiglio federaleCollegamento esterno è un primo passo. Sappiamo però soltanto una cosa: la futura istituzione sarà dotata di un budget di un milione di franchi e almeno una parte di questo montante sarà libera, senza attribuzione predeterminata. Ma innanzitutto, l’amministrazione federale deve preparare una legge, di cui non conosco i dettagli», afferma Jörg Künzli, responsabile del Centro svizzero di competenza per i diritti umani (CSDUCollegamento esterno), un progetto pilota che verrà sostituito dalla nuova istituzione nazionale.

Jörg Künzli, che non si pronuncia quindi sul profilo esatto della futura istituzione, rammenta i principi fissati dalle Nazioni Unite per far sì che tali organi siano credibili e riconosciuti. Essi devono essere dotati di una base costituzionale o legislativa, avere un mandato generale per la promozione e la protezione dei diritti umani, beneficiare di una reale indipendenza rispetto al governo e possedere un’infrastruttura sufficiente per riempire il loro mandato.

Queste istituzioni fanno parte delle raccomandazioni dell’ONU sin dal suo inizio. Nel corso dei decenni, l’idea si è precisata per poi sfociare, nel 1991 a Parigi, nella definizione di una serie di criteri che permettono a questi organi di essere efficaci. Questi “Principi di Parigi” adottati nel 1993 dall’Assemblea generale dell’ONU stipulano in particolare che «all’istituzione nazionale è affidato un mandato il più ampio possibile, chiaramente esposto in un testo legislativo o costituzionale, che ne specifichi la composizione e la sfera di competenza».

Opposizione in vista

«Ci saranno sicuramente delle opposizioni», prevede Jörg Künzli, professore di diritto all’Università di Berna, come d’altronde aveva già fatto cinque anni fa in occasione del lancio del CSDU. «L’apertura del nostro centro aveva inizialmente suscitato critiche e scetticismo. L’opposizione si è poi placata, ma forse i politici non sono consapevoli della nostra esistenza».

Fervida sostenitrice di questa istituzione dedicata ai diritti umani, l’ong Amnesty International è cosciente delle difficoltà incontrate dal progetto, come spiega Alain Bovard, giurista della sezione svizzeraCollegamento esterno dell’organizzazione. «Non era affatto scontato. Sappiamo che ci sono resistenze in seno al governo svizzero, in particolare da parte del Dipartimento federale delle finanze. Dal canto loro, altri dipartimenti non si sentono direttamente toccati dai diritti umani e non riconoscono l’importanza di un’istituzione del genere. Inoltre, il clima politico non è favorevole. Per ottenere un buon progetto abbiamo ancora molto lavoro da fare presso l’amministrazione federale e in parlamento».

Rispecchiando lo scetticismo che avvolge questo tipo di organi, il giurista e storico Olivier Meuwly si chiede perché, in quest’ambito, la Svizzera debba fare più degli altri.

Un atout per la diplomazia e i cittadini svizzeri

Di fatto, la Svizzera non fa che seguire una tendenza, presente anche in Europa. La piattaforma humanrights.ch (che ha collaborato con il CSDU fino al 2015) ha elencatoCollegamento esterno 22 organi di questo tipo, dall’Albania all’Ungheria, passando da Francia, Germania e Lussemburgo, su un totale di 70 nel mondo intero.

Altri sviluppi

Sin dall’introduzione dieci anni fa di un’analisi della situazione dei diritti umani in ogni paese membro delle Nazioni Unite – l’Esame periodico universale – una serie di Stati raccomanda alla Svizzera di creare una tale istituzione.

Per la diplomazia svizzera, il nuovo organo rafforzerà la sua credibilità al momento di impegnarsi in favore dei diritti umani a livello internazionale. Da anni, osservatori e ong si preoccupano infatti per il fossato crescente tra le posizioni difese dalla diplomazia al Consiglio dei diritti umani e una situazione che si degrada, persino in Svizzera. In particolare, si può citare il continuo inasprimento delle misure che riguardano gli stranieri, i migranti e i rifugiati. Un inasprimento che rischia di accentuarsi ancor di più con la moltiplicazione degli attentati jihadisti in Europa.

Se il progetto di legge non verrà svuotato della propria sostanza, l’istituzione per i diritti umani porterà avanti il lavoro del CSDU, ovvero fornire risposte alle domande su determinati problemi legati ai diritti umani poste dalle amministrazioni comunali, cantonali, federali o dalle aziende.

Ma contrariamente al suo predecessore, il nuovo organo potrà avviare delle ricerche di propria iniziativa e comunicare all’opinione pubblica e alle autorità violazioni poco o non riconosciute. Anche se il suo statuto sarà soltanto consultivo, potrà fornire maggiore protezione alle persone che vivono in Svizzera affinché i loro diritti vengano rispettati.

«Sarà quindi anche un organo di sorveglianza, un cane da guardia dei diritti umani. E tutti quelli che imprecano contro i giudici stranieri dovrebbero essere soddisfatti della creazione di un’istituzione nazionale», ritiene Alain Bovard, alludendo all’iniziativa dell’Unione democratica di centro (destra conservatrice) sui giudici stranieri che chiede che il diritto svizzero prevalga su quello europeo e internazionale.

Non è comunque detto che questa argomentazione faccia breccia, visto che la creazione dell’organo risponde a una richiesta pressante dell’ONU e di una serie di Stati membri.

Un’istituzione polivalente

Olivier Meuwly solleva un’altra questione: a livello federale esistono già degli organi di protezione e di promozione dei diritti umani, come la Commissione federale contro il razzismo, l’Ufficio per la l’uguaglianza fra donna e uomo o la Commissione federale contro la tortura. Perché quindi aggiungere uno strato supplementare, s’interroga lo storico. «Ciò rischia di creare più confusione e più complessità».

«Lavoriamo già con questi organi e non ci sono problemi», ribatte Jörg Künzli. Nemmeno secondo Alain Bovard c’è il rischio di doppioni. «Gli organi esistenti hanno mandati ben precisi e conducono azioni sul terreno come le visite nelle prigioni. L’istituzione, dal canto suo, dovrà avere un’azione polivalente e affrontare questioni quali le violenze perpetrate dalla polizia, le discriminazioni nei confronti degli omosessuali o l’esame di leggi e direttive. Quest’istituzione sarà utile alla Confederazione, ai cantoni, all’economia privata per i suoi investimenti all’estero e per l’elaborazione di un codice etico interno, come pure agli ambienti universitari».

Sempre ammesso che il futuro progetto di legge superi lo scoglio del parlamento, che probabilmente affronterà la questione nel corso del 2017.

Diritti umani: di sinistra o di destra?

Olivier Meuwly prevede che i dibattiti sul progetto di legge per la creazione di un’istituzione nazionale per i diritti umani opporranno nuovamente i sostenitori di tali diritti a destra a quelli a sinistra.

«I liberali difendono i diritti sanciti dal “Bill of Rights” britannico e dalla Rivoluzione francese. A sinistra si difendono anche i diritti di seconda e di terza generazione», sottolinea Olivier Meuwly, membro attivo del Partito liberale radicale (centrodestra).

Adottata dall’ONU nel 1949, la Dichiarazione universale dei diritti umaniCollegamento esterno contiene le prime due generazioni, ovvero i diritti civili e politici difesi dai governi occidentali e i diritti economici, sociali e culturali privilegiati dai paesi del Sud.

I diritti collettivi costituiscono la terza generazioneCollegamento esterno, a iniziare dal diritto dei popoli all’autodeterminazione che figura nei due Patti internazionali tratti dalla Dichiarazione universale. I paesi del Sud ne hanno poi aggiunti altri, come il diritto dei popoli di disporre delle loro ricchezze naturali, il diritto allo sviluppo, alla pace e alla sicurezza, come pure il diritto a un ambiente sano.

Un ampliamento dei diritti che tuttavia non fa l’unanimità tra gli Stati membri dell’ONU, in particolare tra quelli del Nord.

Traduzione dal francese di Luigi Jorio

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