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Profughi invisibili in fuga da inondazioni e siccità

Richiedente l'asilo in un centro di accoglienza di Basilea Keystone

Il 20 giugno si celebra la Giornata mondiale del rifugiato, i cui diritti sono sanciti dalle Convenzioni di Ginevra. Il trattato internazionale non riconosce tuttavia milioni di persone in fuga da una minaccia che sta facendo più esuli di guerre e carestie: il clima.

I primi potrebbero essere gli abitanti dell’arcipelago di Tuvalu. Confrontati all’inesorabile innalzamento del livello del mare, i cittadini del minuscolo Stato polinesiano stanno progressivamente abbandonando le loro isole.

Parlare di “rifugiati ambientali” è però, per il momento, errato: coloro che fuggono dagli sconvolgimenti climatici non hanno diritto ad essere considerati “profughi”.

«Per queste persone non esiste alcun riconoscimento internazionale: la loro situazione non è contemplata dalle attuali convenzioni sui rifugiati», indica a swissinfo Rudolf Illes, responsabile del servizio giuridico per il settore della migrazione presso Caritas Svizzera.

«A differenza delle persecuzioni politiche – spiega – nel caso di persone sfollate a causa dei danni climatici è difficile individuare delle responsabilità a livello giuridico. Non possono quindi beneficiare dello statuto di rifugiato».

Esilio prolungato

Secondo le organizzazioni umanitarie e a difesa dell’ambiente, il numero di persone forzate all’emigrazione per ragioni ambientali supera quello dei rifugiati politici ed economici.

Nello studio “In search of shelter” (“Alla ricerca di un rifugio”) realizzato in 23 paesi dall’ong Care International e da alcune università, si legge che nel 2010 i migranti climatici saranno tra i 25 e i 50 milioni (700 milioni nel 2050).

Le regioni più colpite si trovano in Asia (delta del Gange e del Mekong), in America centrale e nell’Africa occidentale (Sahel), dove la siccità ha già degradato il 65% delle terre coltivabili.

La maggior parte delle persone cercherà rifugio all’interno del proprio paese, rileva il rapporto, ma altre saranno obbligate ad attraversare le frontiere.

«Diversamente da una guerra civile, i danni causati dal cambiamento climatico sono destinati a protrarsi per un periodo lunghissimo, ciò che preclude un rimpatrio in tempi brevi», osserva Rudolf Illes.

Prevenire le migrazioni

L’estensione delle Convenzioni di Ginevra anche ai “rifugiati climatici” rappresenta tuttavia un’opzione inadeguata, ritiene Caritas Svizzera, così come l’Alto Commissariato ONU per i Rifugiati.

Innanzitutto, i cambiamenti climatici sono raramente l’unica causa della fuga o dell’emigrazione. Spesso le ripercussioni di inondazioni o siccità dipendono da caratteristiche geografiche, demografiche, sociali ed economiche.

In secondo luogo, annota Caritas, la protezione dei rifugiati ai sensi delle Convenzioni di Ginevra è già messa sotto pressione dalle ripetute violazioni dei diritti fondamentali. In queste condizioni, l’estensione del trattato non appare ragionevole.

«Idealmente bisognerebbe agire in termini preventivi», ritiene Illes. «È necessario un approccio globale che tenga conto degli effetti dello sviluppo sul riscaldamento climatico». I paesi industrializzati, Svizzera compresa, sono ad esempio chiamati ad un maggiore impegno nell’applicazione del Protocollo di Kyoto.

«È poi fondamentale sviluppare delle strategie in favore dei migranti climatici, offrendo loro nuove alternative economiche”, aggiunge il collaboratore di Caritas, rammentando la sorte dei contadini subsahariani, costretti ad abbandonare i propri campi di fronte all’avanzata del deserto.

Priorità ai più vulnerabili

I governi sono inoltre chiamati ad accordare una protezione temporanea oppure ad accogliere contingenti di rifugiati.

Dal 2001 la Nuova Zelanda accoglie ad esempio, ogni anno, 75 abitanti delle isole Tuvalu. La Svizzera, si legge in un comunicato del Consiglio federale, accorda l’ammissione provvisoria alle «persone il cui rimpatrio non è ragionevolmente esigibile a causa di eventi legati all’ambiente».

In vista della Conferenza delle Nazioni Unite sul clima di Copenhagen (dicembre 2009), le ong auspicano l’integrazione della dimensione delle migrazioni climatiche nel nuovo accordo contro il riscaldamento climatico.

Il testo dovrà dare una «priorità assoluta», nello schema di finanziamento, alle popolazioni più vulnerabili. Inoltre, dovrà chiarire lo statuto di queste masse scacciate dagli elementi.

Nell’attesa di essere riconosciuti dei “rifugiati” a pieno titolo, gli isolani del Pacifico proseguono nel loro esodo. Con la consapevolezza che non faranno mai più ritorno a casa.

Luigi Jorio, swissinfo.ch

Le persone costrette alla fuga da guerre e persecuzioni alla fine del 2008 erano 42 milioni, secondo l’ultimo rapporto annuale dell’Alto Commissariato ONU per i Rifugiati.

Rifugiati e richiedenti l’asilo erano 16 milioni, gli sfollati all’interno del proprio paese 26 milioni.

I principali paesi di origine dei profughi sono l’Afghanistan, l’Iraq, la Somalia, il Sudan, la Colombia e la Repubblica democratica del Congo.

Le persone in fuga sono state ospitate soprattutto da Pakistan, Siria, Iran, Germania, Giordania, Ciad, Tanzania e Kenya.

Il numero di “rifugiati climatici“, i quali non sono riconosciuti dalle Convenzioni di Ginevra, raggiungerà secondo le stime un valore tra i 25 e i 50 milioni nel 2010 (700 milioni nel 2050).

In Svizzera, la Giornata mondiale del rifugiato 2009 sarà caratterizzata da diverse manifestazioni in tutto il paese.

Con la sua campagna volontariamente provocatoria – intitolata “Tutti degli approfittatori?” – l’Organizzazione svizzera di aiuto ai rifugiati (OSAR) intende sollevare il dibattito sui pregiudizi ai quali sono confrontati quotidianamente profughi e richiedenti l’asilo in Svizzera.

Le asserzioni secondo cui molti richiedenti l’asilo sono spacciatori o criminali, afferma Beat Meiner, segretario generale dell’OSAR, «è obiettivamente falsa ed è offensiva e umiliante».

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