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Profondo nord, profondo rosso (sangue)

I presunti assassini di Gloria Rosboch ansa

Hypercorsivo di Massimo Donelli

Grande. Bello. Accogliente.

In certi tratti sinuoso.

In altri imponente, come le Alpi che lo sorvegliano.

Impreziosito dal Lago Maggiore.

Universalmente conosciuto per le Langhe, patrimomio dell’umanitàCollegamento esterno.

Orgoglioso della sue vaste, curatissime risaie.

E dei vini, eccellenti.

Per non dire della cucina, ricca come poche, con le prelibatezze amate dagli chef stellati di tutto il mondo: il tartufo, la fassona, il Castelmagno.

E vogliamo forse dimenticare l’eleganza di Torino?

E’ un luogo di meraviglie, il Piemonte.

Manca solo il mare, per raggiungere la perfezione, a questa regione del profondo nord che tutti considerano ricca e paciosa.

Così tranquilla, nell’immaginario collettivo, da essere giudicata, talvolta, perfino un po’ noiosetta.

Ciò che si pensa, di solito, della provincia italiana lontana da Roma, Milano, Napoli, Palermo.

E invece…

Invece guardi il telegiornale e ti racconta di un delitto proprio lì, nel cuore del bengodi, a quaranta chilometri dalla Mole AntonellianaCollegamento esterno.

Un delitto che nemmeno i fratelli Joel e Ethan CoenCollegamento esterno, quelli dell’immortale FargoCollegamento esterno, sarebbero stati capaci di immaginare.

Ossia l’uccisione di Gloria Rosboch, 49 anni, insegnante di francese, zitella (come si sarebbe impietosamente detto un tempo) e bruttina (come il politicamente corretto imporrebbe di non dire), una vita tutta casa e scuola nel paesino di CastellamonteCollegamento esterno, dove viveva con papà e mamma.

Povera Gloria…

Corteggiata per finta (“Ce ne andremo a vivere in Costa Azzurra”) e derubata sul serio (187 mila euro in banconote da 500: i risparmi di una vita) da un suo ex allievo e compaesano, un bel mascalzone che è sparito con il gruzzolo.

Lui si chiama Gabriele Defilippi e ha 22 anni.

Vive, con il fratellino, in casa della madre, Caterina Abbatista, 49 anni, infermiera del reparto di Pediatria dell’ospedale di Ivrea, sospettata di aver coperto il figlioCollegamento esterno non solo in questa circostanza.

Quando ha saputo che Gloria l’ha denunciato, Gabriele si è rifatto vivo e le ha dato un appuntamento.

Dove è arrivato assieme a Roberto Obert, 54 anni, l’amico gay, fidanzato con un infermiere, AngeloCollegamento esterno, ma, innamorato alla follia del mascalzone, per il quale avrebbe fatto di tutto (appunto).

Gloria, ingenua, a quell’incontro sperava di riavere i soldi.

E’ finita in una trappola mortale.

L’hanno portata in un posto fuori mano a RivaraCollegamento esterno, nel CanaveseCollegamento esterno, il bellissimo territorio tra Torino e la Valle d’Aosta.

L’hanno strangolata (ora si accusano a vicenda di averlo fatto).

L’hanno denudata.

L’hanno gettata in una vasca abbandonata di acqua putrida e gelida.

Preoccupati perché la figlia non rincasava, gli anziani genitori di Gloria hanno chiamato i carabinieriCollegamento esterno.

E in pochi giorni, trattandosi di assassini dilettanti, il giallo ha avuto una soluzione.

Storiaccia.

Che, se guardate le foto di Gabriele postate su Facebook (dove aveva millanta identitàCollegamento esterno), vi fa subito subito pensare a un moderno noirCollegamento esterno americano.

Quello dove il serial killerCollegamento esterno ha il cervello bacato, una sessualità irrisolta, non lavora, si traveste da donna e ammazza, sempre protettoCollegamento esterno dall’amore oblativoCollegamento esterno della mamma (appunto).

Se, poi, leggete il testo del suo interrogatorioCollegamento esterno, beh sembra proprio tratto da una sceneggiatura hollywoodiana.

Questo, però, non è un film, ma la realtà.

Bestiale.

E, purtroppo, non è la prima volta che il pacioso Piemonte si tinge improvvisamente di rosso sangue come in un pulpCollegamento esterno di Quentin TarantinoCollegamento esterno.

Tre storie su tutte, prima di quella appena descritta, sono rimaste impresse nella memoria collettiva (trascurando la più remota, l’atroce calvario di Maria Teresa NovaraCollegamento esterno, 13 anni; e la più recente, l’assassinio di Elena CesteCollegamento esterno, 37 anni)

Tre storie che sfregiano l’immagine dorata della regione dove perfino la ‘ndranghetaCollegamento esterno si muove da sempre sottotracciaCollegamento esterno, con discrezione, si potrebbe dire, dimenticando l’efferatezza criminale dell’organizzazione.

Quali storie?

Ve le racconto.

Prima storia.

Nella notte tra il 13 e il 14 novembre 1975, a Vercelli, una ragazza di 18 anni, Doretta Graneris, spara per uccidere i genitori, il fratellino e i nonni.

Vuole diventare l’unica erede di 100 milioni di lire, un appartamento, un’officina.

Due i complici nella strage.

Uno è il fidanzato, Guido Badini, 21 anni, ragioniere, collezionista di armi, che fino all’anno prima ha dormito nel lettone con la mamma, donna iper-protettiva, stroncata da un cancro la vigilia di Natale del 1974.

L’altro è Antonio D’Elia, 22 anni, precedenti per stupro, presunto amante di Doretta: per lui il triplo ruolo di ladro (ruba la macchina per la fuga), “paloCollegamento esterno” e autista.

Scappata di casa dopo aver conseguito la maturità artistica e andata a vivere con il fidanzato, Doretta quella notte spara tre colpi: tutti a vuoto.

E’ Guido, tiratore esperto, a uccidere Sergio Graneris, 45 anni; la moglie Italia, 41 anni; i genitori di lei, Romolo Zambon, 79 anni, e Margherita Baucero, 76 anni; nonché Paolo Graneris, 13 anni.

Non è la prima volta che Guido ammazza (anche se inizialmente tenterà di scaricare ogni responsabilità su Doretta).

Almeno, così dice lui.

Infatti, durante il processo per la strage, si autoaccusa di aver ucciso, nel luglio del 1975, con due colpi di Colt 38 special, in un campo di MonticelloCollegamento esterno, pochi chilometri da Novara, la prostituta Anna De Giorgio. E, se avesse potuto, nel 1987, approfittando di un permesso premio per la sua buona condotta in carcere, forse sarebbe tornato ancora a uccidere: il suo piano, però, è stato scopertoCollegamento esterno.

Ma torniamo alla strage.

La mattina dopo i fidanzatini sono a far la spesa nel mercatino rionale.

Arrivano i carabinieri e comunicano a Doretta la notizia della morte dei genitori.

Lei, imperturbabile, ascolta e continua a trattare per avere uno sconto sulla merce che sta comprando.

I carabinieri capiscono al volo.

Quando, in caserma, le chiedono spiegazioni, la ragazza sbotta: “Sì, li ho uccisi io. Li odiavo. Non li sopportavo più. Mi sento come liberata da un incubo. Con il mio fidanzato abbiamo fatto all’amore tutta la notte. Lui non c’entra niente con questa storia”.

L’Italia resta sconvolta appena sa delle “belve di Vercelli”, come vengono chiamati i due assassini.

Il processo richiama i grandi inviati di tutti i giornali.

E diventa un romanzone a puntate.

Ovviamente, si conclude con la condanna all’ergastolo.

Doretta, che in carcere si è laureata in Architettura, oggi è in libertà condizionata: collabora con una comunità di Torino per ex detenuti e tossicodipendenti.

Guido è in semi-libertà; e vive in provincia di Brescia.

Seconda storia.

La sera dell’8 agosto 1991, a NoneCollegamento esterno, trenta chilometri da Torino, in una cascina malconcia al numero 121 di via Roma, la famiglia Bauso sta cenando.

Attorno al tavolo siedono il capo famiglia, Graziano, 46 anni; la moglie, Grazia, 43 anni; la figlia Franca Maria, 20 anni; il figlio Vito, 17 anni; e un’amica di Franca Maria che si chiama Romilda Odin, 23 anni.

Dopo la prima portata, Graziano – descritto come un padre-padrone, un uomo violento – non riesce più a tenere gli occhi aperti: ha improvvisamente sonno e decide di spostarsi sul divano, dove si addormenta di colpo.

Gli hanno riempito il piatto di sonnifero.

E ora che non è in grado di difendersi possono ucciderlo.

E’ Romilda a iniettargli una dose mortale di droga (ma lei negherà).

Dopodichè lo sollevano e lo rinchiudono nel congelatore accanto al frigorifero, in cucina.

Non ci crederete, ma resta lì per un mese.

Finchè il freezer viene interrato nel capannone in fondo al cortile della cascina, non prima che il cadavere sia stato cosparso di acido muriatico.

Per oltre un anno, quella è la tomba di Graziano.

Intanto, come in Fargo (appunto), ne succede di ogni.

Romilda ricatta i Bauso minacciando di raccontare tutto.

E loro, impauriti, cedono.

La ragazza ottiene 18 milioni di lire più una Citroen nuova di zecca.

Salta in macchina con il fidanzato tunisino e fugge all’estero.

Prima di sparire, però, racconta per intero la storia a Marcello Fornerone, 27 anni, pregiudicato per furto, rapina e spaccio di stupefacenti.

Marcello, così, decide di ricattare anche lui Grazia Bauso: “So tutto. Voglio 4 milioni”.

Dopo varie telefonate, l’accordo: Marcello avrà i 4 milioni, ma solo se farà sparire il freezer (“Nelle condizioni in cui eravamo, dovevamo vendere la casa: con quel freezer nel capannone sarebbe stato impossibile” racconteranno i Bauso al magistrato).

“Ci vediamo martedì 22” assicura il pregiudicato, ignaro di essere pedinato e intercettato da tempo.

Il giorno prima dell’appuntamento, lunedì 21 settembre 1991, arrivano i carabinieri.

Grazia confessa subito.

E si giustifica: “Mio marito era un uomo violento. Da quando aveva perso il lavoro ci picchiava e ci minacciava. Per non destare sospetti sulla sua scomparsa, dopo l’omicidio abbiamo messo in giro la voce che era scappato con l’amante in Brasile”.

Finiscono tutti in galera.

Quasi…contenti.

E sì, perchè Romilda (arrestata in Spagna nel 1993) e Marcello, due gran chiacchieroni, non sono stati gli unici a ricattare la famiglia, come rivela Grazia agli uomini in divisa: “Mi sarei comunque costituita. In questi mesi ho dovuto sborsare più di 30 milioni. Il vostro arrivo è per me una liberazione”.

Dove sono oggi i protagonisti del grand-guignolCollegamento esterno?

Inghiottiti dall’oblio.

Terza storia.

La sera del 21 febbraio del 2001, in una villetta di Novi LigureCollegamento esterno, nemmeno trenta chilometri da Alessandria, Erika De Nardo, 16 anni, assieme al fidanzato, Mauro “Omar” Favaro, 17 anni, uccide con 40 coltellate la madre Susanna Cassini, 41 anni.

Per ammazzare il fratellino Gianluca, 11 anni, prima lo ferisce; poi gli fa ingerire del topicida; quindi tenta di affogarlo nella vasca; e, infine, lo uccide con 57 coltellate.

Erika e Omar hanno in mente di eliminare anche l’ingegner Francesco De Nardo, 44 anni, padre di lei.

Ma il ragazzo, dopo il duplice delitto, dice basta.

Anzi, dice a lei: “Se vuoi, uccidilo tu”.

E se ne torna a casa in motorino, con i pantaloni inzuppati di sangue.

Per tre giorni i due assassini negano ogni responsabilità.

Poi crollano.

E si accusano a vicenda, secondo copione: è successo così in tutte le storie che vi abbiamo raccontato.

Condannati, definitivamente, nel 2003, lei a 16 anni di reclusione, lui a 14 anni, ora sono liberi: Omar dal 2010, Erika dal 2011.

Stop.

Ci fermiamo.

Ora vi è chiaro che cosa può accadere nel ventre di una paciosa regione italiana del profondo nord?

Ora capite perché la vita di provincia non è così tranquilla come si favoleggia?

Mai fidarsi delle apparenze.

Mai…

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