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Lo svizzero che riciclava i milioni dei narcos

uomini in uniforme e armati accanto a dei pacchetti contenenti cocaina
Membri della Direzione nazionale per il controllo degli stupefacenti sorvegliano 1'747 kg di cocaina a Santo Domingo. La droga confiscata proveniva dalla Colombia ed era diretta verso Rotterdam. AFP

Un residente nel Canton Vaud è accusato di aver riciclato in Svizzera 10 milioni di franchi provenienti da un’organizzazione criminale colombiana attiva nel traffico di droga. Già condannato in Spagna, l’uomo comparirà a processo assieme a due intermediari finanziari attivi sulla piazza elvetica.

Radiologo, imprenditore nel campo della medicina nucleare, venditore d’auto, consulente di borsa, agente immobiliare, commerciante di cavalli e di statuette precolombiane: erano molte le attività che Rodrigo* diceva di svolgere per giustificare la sua fortuna.

Per il procuratore federale Davide Francesconi, però, la sua attività era solo una: il riciclatore. Il prossimo 16 di agosto, l’uomo – un settantaquattrenne nato in Colombia con passaporto svizzero – comparirà davanti ai giudici del Tribunale penale federale (TPF). Il Ministero pubblico della Confederazione (MPC) lo accusa di aver riciclato diversi milioni di franchi provenienti da un’organizzazione criminale internazionale.

La vicenda è doppiamente significativa: da un lato perché è la prima volta che la criminalità organizzata colombiana approda in aula a Bellinzona; dall’altro perché l’inchiesta punta il dito anche contro alcuni attori della piazza finanziaria svizzera. Assieme a Rodrigo, infatti, andranno a processo anche due gestori patrimoniali che avrebbero contribuito a iniettare il denaro sporco nel circuito bancario.

Dalla Colombia alla campagna vodese, via Madrid

L’inchiesta, nome in codice Faena, è scattata nel 2013. La polizia vodese è insospettita da quell’uomo trasferitosi nel 2010 in un piccolo comune di campagna, dalle parti di Yverdon. Una villa acquistata per 2,3 milioni di franchi a nome della moglie, tre auto di grossa cilindrata, un battello da oltre 125mila franchi ormeggiato sul lago di Neuchâtel: da dove arrivano tutti questi soldi?

Nell’ottobre del 2013, le autorità vodesi avvertono la Procura federale che, poco dopo, apre un’indagine. Una rogatoria in Spagna ed ecco che i sospetti si fanno ancora più grandi: nel 2009 Rodrigo è stato condannato a Madrid per avere riciclato 32 milioni di euro per un gruppo di narcos di cui faceva parte. Per la giustizia spagnola, l’uomo non era solo il responsabile dei traffici finanziari dell’organizzazione, ma ha anche partecipato all’importazione di droga.

Rodrigo è così messo sotto sorveglianza fino a quando, nel giugno 2014, viene arrestato. L’uomo è rilasciato dopo cinque mesi, ma l’indagine continua fino al 2020 quando l’MPC invia al TPF l’atto d’accusa. Un documento che abbiamo potuto consultare e dal quale emergono i dettagli di un’inchiesta restata finora sconosciuta.

Società di copertura e conti svizzeri

Per l’accusa, il denaro che sarebbe stato riciclato in Svizzera proviene dalle attività criminali per le quali Rodrigo è stato condannato in Spagna. Denaro che era stato occultato ai tempi dell’indagine spagnola anche tramite alcuni investimenti immobiliari effettuati da società offshore controllate dalla moglie. Già dal 2003, l’uomo aveva iniziato a costruire la sua rete finanziaria in Svizzera, attraverso conti intestati alla consorte, ai figli o a società di copertura dal richiamo elvetico (Lausanne Finances SA, Zug Finanzen AG). Conti che erano alimentati tramite versamenti in contanti, operazioni di compensazione e incassi di assegni.

Dopo la condanna in Spagna, Rodrigo si trasferisce nel Canton Vaud dove apre una società di consulenza, basata presso un avvocato di Yverdon. Per gli inquirenti federali si tratta di una “società buca lettere utilizzata per giustificare i suoi redditi in Svizzera”. I soldi, in realtà, provenivano da quanto era riuscito a nascondere in Spagna, dove era stato giudicato insolvente. Una prova regina è il bottino emerso in seguito ad una perquisizione effettuata su richiesta elvetica in una villa di proprietà della moglie nei pressi di Madrid: qui, in una cassaforte, sono stati ritrovati 3,7 milioni di euro in contanti. Altri 3,8 milioni erano già stati iniettati sui conti bancari elvetici controllati da Rodrigo.

Corrieri improvvisati e complici in banca

Per trasportare in Svizzera il denaro nascosto in Spagna, l’uomo ha ingaggiato alcuni corrieri che effettuavano il viaggio in auto. Tra questi vi era anche il suo vicino di casa, un osteopata vodese che ha trasportato 200’000 franchi in cambio di una commissione e che, per questo, nel 2014, è già stato condannato per riciclaggio. In totale, 1,2 milioni di euro sono stati trasferiti con questo sistema.

Una volta arrivato in Svizzera, il denaro doveva essere introdotto nel circuito bancario. Ed è qui che entrano in scena i due coimputati: Jaime e Alfredo*, entrambi gestori patrimoniali. Il primo ha gestito i conti aperti da Rodrigo alla Banca CIC di Friborgo, di cui era membro della direzione. Nel 2013, ha lasciato la banca per lavorare presso la società finanziaria di cui era direttore e tramite la quale ha continuato a gestire i soldi di Rodrigo. Il secondo era invece il responsabile del mercato spagnolo per la banca PHZ di Zurigo, della quale aveva lo statuto di direttore, e gestiva i conti delle società del colombiano. Per l’accusa, i due uomini hanno contribuito al riciclaggio di almeno due milioni di franchi ciascuno. La loro posizione è aggravata dal fatto che, essendo attivi in seno a società assoggettate alla legge federale sul riciclaggio, avrebbero dovuto essere dei “garanti”.

Per il procuratore federale Davide Francesconi, è impossibile pensare che i due non sapessero, o per lo meno non sospettassero, dell’origine criminale del denaro che Rodrigo consegnava loro. Le importanti somme in contanti, l’utilizzo di un linguaggio in codice, la natura delle operazioni di compensazioni, la mancanza di giustificativi: tutto lasciava adito a sospetti che, però, non sono stati né segnalati né tantomeno verificati. Jaime – che dal 2011 sapeva della condanna in Spagna di Rodrigo – avrebbe anche partecipato a due viaggi clandestini (uno dei quali fallito) ingaggiando suo cugino come corriere.

Le richieste di pena verranno formulate durante il dibattito. Per i tre vale la presunzione d’innocenza per i fatti che andranno a processo. L’avvocato di Rodrigo contesta l’accusa di riciclaggio, ma ammette la falsità in documenti. I difensori degli altri due legali non hanno risposto al nostro messaggio. L’avvocatessa di Jaime ci comunica che anch’egli respinge le accuse di riciclaggio; i legali di Alfredo non ci hanno ancora risposto.

Non vi sono molti dettagli sulle infiltrazioni della criminalità organizzata colombiana o in generale latino-americana in Svizzera. La Procura federale non fornisce dettagli e dagli archivi giuridici emerge poco o niente. Per questo l’inchiesta Faena può essere considerata una prima in assoluto. Quello che però non è nuovo è la maniera con la quale i soldi dei narcos sarebbero stati riciclati nella Confederazione.

Transazioni in contanti, società offshore, prestanomi in famiglia, incasso d’assegni, acquisti immobiliari e complicità nel sottobosco finanziario. Le attività rimproverate a Rodrigo ricordano da vicino il modus operandi utilizzato in passato da altre organizzazioni criminali presenti in Svizzere, dalla mafia bulgara alla ‘ndrangheta calabrese.

Un primo punto in comune è il trasferimento di contanti, dall’estero verso la Svizzera. L’ingaggio del vicino di casa vodese (poi condannato) per il trasporto di cash dalla Spagna alla Svizzera ricalca quanto avvenuto nel caso del re della coca bulgaro Evelin Banev. Il presunto luogotenente del boss in Svizzera aveva infatti ingaggiato il suo datore di lavoro vallesano per effettuare il viaggio. Anche in questo caso, l’uomo è stato scoperto e condannato dall’MPC. I bulgari investivano i loro soldi sporchi in immobili in Svizzera o li iniettavano nel circuito bancario tramite versamenti in contanti su conti aperti a nome delle mogli dei boss o di società offshore. L’indagine ha messo in evidenza anche le responsabilità del mondo finanziario: Credit Suisse e una sua ex dipendente sono infatti accusati in questa vicenda che dovrebbe sfociare in un processo nel 2022.

Un paragone può essere fatto anche con il caso del cosiddetto banchiere della ‘ndrangheta condannato dal TPF a fine 2017. L’uomo si era trasferito in Svizzera per riciclare i soldi dell’organizzazione. In Ticino era fittiziamente impiegato da alcune società di copertura e faceva girare quantità importanti di denaro in contanti su conti bancari intestati a società offshore o a famigliari dei membri dell’organizzazione. Il banchiere aveva anche acquistato un immobile commerciale a Chiasso. Anche in questo caso, l’uomo ha potuto contare su un intermediario finanziario svizzero, anch’egli condannato per riciclaggio.

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