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Gli imputati islamici negano l’aggressione nella moschea

I dieci imputati alla sbarra per la presunta aggressione nella moschea An'Nur di Winterthur hanno negato di aver minacciato e pestato due correligionari, ritenuti informatori dei media, nel novembre 2016.

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Nel processo apertosi lunedì tutti gli accusati, che devono rispondere di aggressione, sequestro di persona, minacce, coazione e lesioni personali, hanno sostenuto che si tratta di un complotto orchestrato da giustizia e media per mettere in cattiva luce i musulmani salafiti.

Ben diversa la prospettiva della procura distrettuale secondo la quale nella moschea di Winterthur, chiusa nel giugno dello scorso anno e considerata un centro di radicalizzazione islamica, si stava consumando un’aggressione prima dell’intervento della polizia, chiamata al telefono da una delle due vittime.

A far scattare la punizione sarebbe stato il sospetto che i due avessero passato a un giornalista il sermone di un imam etiope secondo il quale i musulmani che non partecipavano alle funzioni religiose della loro comunità andavano banditi e persino uccisi. Tesi corroborata dalla testimonianza degli agenti intervenuti e dalle contusioni accertate su una delle vittime.

Il contestato imam è stato condannato lo scorso novembre a 18 mesi di detenzione sospesi e all’espulsione per 10 anni dal paese. Gli inquirenti sospettano inoltre che tra i frequentatori della moschea vi siano cinque estremisti che si sono uniti ai terroristi dello Stato islamico in Siria.   

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