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Prima stranieri, poi turchi, ora musulmani

I media svizzeri tendono a fare di ogni erba un fascio: i migranti di paesi musulmani sono facilmente assimilati a una minaccia terroristica, denuncia uno studio del Fondo nazionale di ricerca Keystone

Furono chiamati per lavorare. La gente del posto li chiamò turchi e albanesi. Oggi sono chiamati collettivamente musulmani. La "minoranza musulmana" nella Confederazione, secondo uno studio, è stata creata ad arte dalla politica e dai media.

La “minoranza musulmana” negli ultimi anni in Svizzera è stata sempre più spesso presentata nei media come una minaccia, hanno constatato i professori dell’università di Zurigo Patrik Ettinger e Kurt Imhof. I due sociologi hanno perciò voluto cercare le cause di questa evoluzione. Hanno così diretto uno studio nell’ambito del programma del Fondo nazionale svizzero per la ricerca scientifica (FNS) denominato ” Comunità religiose, Stato e società”.

Dai reportage su guerre e attentati si delinea chiaramente un cambiamento dell’immagine dei musulmani in Svizzera, sottolineano i due ricercatori. Nei dibattiti politici e nei media elvetici le generalizzazioni e le caratterizzazioni sono aumentate di continuo negli ultimi anni, fino alla votazione popolare sull’introduzione nella Costituzione federale del divieto di costruire minareti, svoltasi il 29 novembre 2009.

Il cambiamento d’immagine “in Svizzera si è riscontrato non tanto nei reportage sugli attentati dell’11 settembre 2001, ma piuttosto in quelli sugli attentati di Madrid e di Londra, come anche sulla vertenza delle caricature di Maometto. Nella copertura di questi avvenimenti cruciali si è lentamente instaurata l’immagine di un Islam violento e di un conflitto delle culture”, spiega Patrik Ettinger a swissinfo.ch.

“Sono state in particolare l’Unione democratica di centro (UDC) e in misura minore l’Unione democratica federale (UDF), che hanno trasposto l’immagine dei musulmani dal contesto internazionale al contesto nazionale”.

Sotto questo influsso gli immigrati musulmani sono lentamente diventati “i musulmani”. In precedenza, osserva Ettinger, venivano indicati secondo il gruppo etnico di appartenenza: erano turchi, bosniaci, eccetera. “Non credo che l’identità musulmana fosse già latente. Sono del parere che l’appartenenza musulmana sia stata costruita solo attraverso questa nuova visione”.

“Identità scalfita”

Il cambiamento di percezione per cui i vicini turchi sono diventati i musulmani si è operato su uno sfondo di un’identità culturale svizzera in mutazione. Quest’ultima si è scalfita, scrivono gli autori dello studio. “In Svizzera è in atto un rapido cambiamento sociale, con la migrazione di persone dei ceti superiori e medi che genera una sensazione d’insicurezza nel ceto medio svizzero”.

A ciò si aggiungono un ampio dibattito circa la posizione della Svizzera in Europa e nel mondo e il discredito dell’élite politica elvetica, dice Ettinger.

“In questo contesto, c’è un attore populista, che amplifica e fomenta questa incertezza, che vuole imporre una definizione specifica di ‘svizzero’ ed effettua suddivisioni degli stranieri”.

Alla facoltà di integrazione degli svizzeri viene prestata troppo poca attenzione, rilevano gli autori dello studio. “Era successo lo stesso durante la grande ondata migratoria degli italiani negli anni ’60: furono alimentati i timori che le città protestanti della Svizzera tedesca avrebbero potuto essere invase da una maggioranza cattolica, analogamente a quanto accade ora con i timori di una islamizzazione della Svizzera”, dice Ettinger. “Ed esattamente come gli immigrati italiani e spagnoli con il cattolicesimo, anche la maggioranza degli immigrati musulmani non interpreta la propria religione in modo fondamentalista”.

Critiche dall’UDC

“Il resoconto sull’Islam presentato nello studio è nettamente distaccato dalla situazione reale e dalla percezione della popolazione”,  ha dichiarato a swissinfo.ch il segretario generale dell’UDC Martin Baltisser, prendendo posizione sui risultati della ricerca.

Dal punto di vista del suo partito, lo studio è “di dubbia utilità”. Oggi esistono effettivi punti di tensione che aumentano in modo massiccio, poiché se nel 1970 in Svizzera c’erano circa 16mila musulmani, nel 2010 ce n’erano oltre 400mila, afferma il segretario generale dell’UDC.

I dibattiti pubblici sono basati su uno sfondo reale: questioni di integrazione, rispetto dell’ordinamento giuridico, comportamento nella famiglia, nella scuola e in campo ufficiale da un lato, ma anche l’atteggiamento di esponenti delle comunità islamiche, aggiunge Baltisser. A suo giudizio, gli autori dello studio danno “una singolare interpretazione della causalità”. L’interazione della percezione pubblica è più complessa, sottolinea il segretario generale dell’UDC.

Approvazione dell’imam di Zurigo

Al contrario, secondo l’imam della comunità islamica di lingue slave meridionali di Zurigo, Sakib Halilovic, i risultati dello studio vanno nella giusta direzione e il lavoro sembra svolto in modo serio. “In particolare, mi sembra giusta l’affermazione secondo cui i media non sono riusciti a fare una distinzione tra terrorismo globale e Islam da una parte e i musulmani in Svizzera, in grande maggioranza integrati, dall’altra parte.”

Da anni Halilovic lotta contro le generalizzazioni, contro le attività diffamatorie, come dice lui, contro le quali si era già battuto in Bosnia prima della guerra. Per lui resta un enigma come sia possibile che si mettano nello stesso calderone dell’Islam tutti i musulmani, indifferentemente dal fatto che siano di ceti sociali molto diversi e di altri mondi, quali l’Europa, l’Africa e l’Asia, specialisti altamente qualificati o richiedenti asilo in fuga. “Non è l’Islam in sé il problema”.

Rabbia contro gli svizzeri convertiti

“Dopo l’11 settembre 2001, ogni musulmano è stato improvvisamente visto in modo diverso. Su questo lo studio ha ragione”, commenta Yahya Hassan Bajwa, che dirige un servizio per la comunicazione interculturale a Zurigo, ha frequentato le scuole in Svizzera sin dalle elementari ed è deputato nel parlamento del canton Argovia.

“Persino il mio medico di lunga data mi ha chiesto se avessi qualcosa a che fare con il terrorismo”, racconta. Il modo dell’UDC di politicizzare questo tema ha certamente un influsso diretto sul nuovo spauracchio “musulmani o Islam”, dice Bajwa.

Questo è stato dimostrato nell’ambito dell’iniziativa anti-minareti, quando tutti i pronostici sull’esito della votazione si sono rivelati sbagliati, aggiunge. Bajwa è inoltre irritato per quegli svizzeri convertiti all’Islam che una grande sicurezza di sé presentano rivendicazioni radicali, causando riprovazione non solo da parte dell’opinione pubblica, ma anche della maggior parte delle organizzazioni islamiche.

I media spesso dipingono tutto solo in bianco e nero, senza sfumature di grigio, e nei loro reportage lasciano poco spazio ai musulmani, si rammarica il responsabile del servizio di comunicazione interculturale.

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Iniziativa popolare

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In Svizzera risiedono fra i 350mila e i 400mila musulmani di oltre cento nazionalità diverse. Circa il 12% ha la cittadinanza svizzera.

Il loro numero è cresciuto molto negli ultimi decenni. La loro quota nella popolazione svizzera è salita dal 2,2% nel 1990 al 4,3% nel 2000, anno dell’ultimo censimento federale di cui sono stati pubblicati i risultati. Attualmente la loro proporzione è stimata a circa il 4,5% della popolazione svizzera.

La maggior parte dei musulmani che vive nella Confederazione proviene dall’ex Jugoslavia (56%) e dalla Turchia (20%). Risiedono in prevalenza nella Svizzera tedesca.

In Svizzera ci sono quattro moschee dotate di un minareto (a Zurigo, Ginevra, Winterthur e Wangen bei Olten) e circa 200 luoghi di preghiera islamici, situati prevalentemente all’interno di centri culturali.

Nella votazione federale del 29 novembre 2009, popolo e cantoni hanno approvato una modifica costituzionale che sancisce il divieto di costruire nuovi minareti in Svizzera. Il testo è stato accettato con il 57,5% di sì. Solo in quattro cantoni (Basilea Città, Ginevra, Vaud e Neuchâtel) è stato respinto.

L’iniziativa era stata lanciata da un comitato composto di membri dell’Unione democratica federale e dell’Unione democratica di centro. Il governo, la maggioranza del parlamento e le chiese l’avevano combattuta.

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