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“Milioni di migranti a rischio”

Uomo con cravatta
Il relatore delle Nazioni Unite sulla tortura ha parlato con swissinfo.ch nella sede dell'Onu a Ginevra. swissinfo.ch

Che cosa significa essere il "relatore speciale" delle Nazioni Unite sulla tortura? swissinfo.ch ha incontrato Nils Melzer, lo svizzero che ricopre attualmente questa carica. Tra le sue maggiori preoccupazioni c'è la situazione dei milioni di migranti nel mondo.

Le figlie di Nils Melzer sono curiose di sapere cosa fa il loro papà. “A volte mi chiedono cosa faccio quando lavoro”, mi dice. “Quando mia figlia maggiore mi ha chiesto che cos’è la tortura, ho detto che è quando si fa male a qualcuno intenzionalmente. Così lei se n’è andata e un’ora dopo è tornata piangendo e dicendo che bisognava intervenire perché la sua sorellina l’aveva appena torturata! In questo momento ho capito quanto siano privilegiate a crescere in un paese così lontano dalla realtà della tortura.”

Ginevra internazionale: in una piccola serie di articoli, swissinfo.ch vi presenta i cittadini svizzeri che occupano posizioni chiave sulla scena delle organizzazioni internazionali.

Melzer occupa la cattedra di diritti umani all’Accademia di diritto internazionale umanitario e di diritti dell’uomoCollegamento esterno di Ginevra ed è professore di diritto all’Università di Glasgow. I relatori speciali delle Nazioni Unite sono esperti indipendenti che lavorano su base volontaria e non retribuita. Allora, perché fa anche questo?

“Penso che sia un grande privilegio avere una posizione come questa che mi permette di contribuire a qualcosa di importante come il divieto della tortura e di avere accesso diretto non solo ai ministri degli Esteri degli Stati dell’ONU, ma anche a tutti i prigionieri nel mondo”, dice.

“Inoltre, la forza del mio mandato è di essere un mandato diretto del Consiglio per i diritti umani. Questo significa che posso visitare o intervenire non solo nei paesi che hanno ratificato i trattati sui diritti umani, ma anche in altri paesi, purché siano membri dell’ONU”.

Le visite sul campo sono una parte importante del suo mandato. Melzer, ad esempio, è stato in Turchia dopo il tentato colpo di Stato di due anni fa, in Serbia, in Kosovo e nell’Ucraina orientale.

Esperto indipendente

Candidatura per l’Alto commissariato

A fine luglio lo svizzero Nils Melzer, relatore speciale dell’Onu sulla tortura, ha annunciato la sua intenzione di candidarsi alla carica di Alto Commissario dell’Onu per i diritti umani.

Dopo un appello di organizzazioni non governative perché venga svolta una procedura pubblica, Melzer ha deciso di pubblicare sulle reti sociali la sua lettera di candidatura indirizzata al segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres. Nella lettera egli critica la politica condotta dal dimissionario Zeid Ra’ad al-Hussein

Zeid è un forte oppositore della politica del presidente americano Donald Trump e non ha esitato a prendere di mira direttamente i grandi Stati come pure il ritorno dei nazionalismi e i possibili crimini contro l’umanità o i genocidi, dal Venezuela alla Birmania. Un atteggiamento largamente acclamato, anche dalla Svizzera.

Secondo fonti convergenti Guterres auspica però un profilo più consensuale. Nella sua lettera Melzer afferma che il prossimo Alto commissario «deve capire che difendere i diritti umani non significa attaccare i governi e che non si tratta di un esercizio il cui obiettivo è di biasimare o attribuire colpe».

Melzer è stato attivo per 12 anni presso il Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR), fino al 2011. In passato ha anche lavorato per il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE).

Tuttavia, le visite possono essere effettuate solo con il consenso dello Stato in questione. Un’altra parte del suo mandato, in cui ha più margine di manovra e libertà di agire in modo rapido e indipendente dalla gerarchia dell’ONU, è costituita dagli interventi individuali.

“Nel quadro del mio mandato ricevo da 10 a 15 richieste al giorno per intervenire a favore delle vittime della tortura”, afferma. “Possono essere persone che stanno per essere estradate in un paese dove temono di essere torturate o sono già state torturate in precedenza. Possono essere persone condannate a morte in attesa della loro esecuzione. Sono una sorta di istanza straordinaria alla quale possono rivolgersi anche quando tutte le istanze giudiziarie sono esaurite. Di solito attribuisco priorità agli interventi urgenti e salvavita perché, con le risorse a mia disposizione, non posso fare più di due interventi al giorno in media. Gli altri sono deferite ad altri meccanismi ogniqualvolta sia possibile, ma è vero che a un certo numero di richieste non posso semplicemente rispondere a causa della mancanza di personale sufficiente. A mio parere, questi interventi individuali sono forse l’aspetto più importante del mio mandato, in quanto mi consentono di intervenire direttamente per la protezione di una particolare persona.”

Esposti a maltrattamenti

Il titolo completo di Melzer è “Relatore speciale delle Nazioni Unite sulla tortura e altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradantiCollegamento esterno“. Considerata l’attuale situazione del mondo e i suoi conflitti, deve evidentemente porre delle priorità nel suo lavoro. Quindi, quale situazione particolare lo preoccupa particolarmente in questo momento?

“Il contesto che mi preoccupa di più in questo momento è quello dell’immigrazione irregolare, perché decine di milioni di persone in tutto il mondo – stiamo parlando della popolazione di un paese di medie dimensioni – non hanno uno status regolare, sono da qualche parte tra le frontiere e sono sospinte fuori dalle normali norme sociali”, dice. “Sono esposte in modo estremo a maltrattamenti, torture, abusi, estorsioni, stupri e persino alla schiavitù, e molti paesi, anche quelli sviluppati, stanno attivamente impedendo loro di ricevere la protezione di cui hanno bisogno. Gli Stati si stanno persino impegnando attivamente per concludere accordi con altri paesi al fine di mantenere le persone artificialmente nel limbo o in una situazione in cui sono esposte a maltrattamenti.”

Si tratta chiaramente di un tema che gli sta particolarmente a cuore.

Un gruppo di relatori speciali delle Nazioni Unite, tra cui Melzer, ha recentemente pubblicato una presa di posizioneCollegamento esterno che condanna la politica degli Stati Uniti di separare i bambini migranti dai genitori al confine con il Messico, affermando che ciò potrebbe equivalere a tortura. “Questa è certamente una pratica che dà un pessimo esempio, che non è compatibile con gli obblighi internazionali degli Stati Uniti rispetto al divieto di maltrattamenti”, dice.

“E ci sono problemi anche maggiori con gli Stati Uniti, per esempio quando il presidente degli Stati Uniti dichiara pubblicamente che ‘il waterboarding funziona’ come metodo di interrogazione. Ridefinire in questo modo gli standard è molto pericoloso per un paese occidentale leader che tradizionalmente ha indicato la strada ad altri Stati. Che cosa dovremmo aspettarci da altri paesi che dispongono di minori mezzi? Che cosa faranno per i migranti e come condurranno gli interrogatori”?

Responsabilità globale

L’immigrazione irregolare non è tuttavia una questione solo statunitense. “Si potrebbe andare in Messico, in altri paesi dell’America centrale e meridionale, in Libia, Medio Oriente, Australia o Bangladesh con i rohingya provenienti dal Myanmar. È una questione che riguarda tutto il mondo. Stiamo parlando letteralmente di milioni e milioni di persone che vivono in circostanze estremamente difficili e di cui nessuno si sente responsabile”.

Che cosa si dovrebbe fare? Melzer si sposta sulla panchina e riflette per un momento.

“Penso che la prima cosa che dobbiamo capire è che la tragedia umanitaria dell’immigrazione irregolare è il risultato di un problema sistemico più grande”, dice. “Abbiamo Stati che si lamentano dell’arrivo alle loro frontiere di tutti questi migranti, ma che allo stesso tempo esportano armi negli stessi paesi da cui fuggono le persone. Sostengono pratiche aziendali che facilitano condizioni di lavoro disumane in quei paesi e sostengono o non impediscono politiche che hanno un effetto disastroso sull’ambiente. Non possiamo continuare a fare le cose allo stesso modo e aspettarci risultati diversi”.

L’importanza della famiglia

Melzer è chiaramente toccato dai casi che ha dovuto affrontare. “È vero, a volte è molto difficile trattare alcuni dei casi individuali con cui sono confrontato”, mi dice.

“Molte delle persone per le quali intervengo non potranno sfuggire alla tortura o all’esecuzione. E devo semplicemente essere consapevole che non posso cambiare il mondo intero, ma posso cercare di cambiare almeno il mondo per un determinato individuo. Quindi, se posso evitare la separazione di un bambino dai suoi genitori, avrò cambiato il loro mondo e il mondo intero per loro. E questo è qualcosa per cui ritengo valga la pena di lavorare. Aspettarsi di più, credo, mi porterebbe al burnout.”

Melzer dice che la famiglia e le figlie lo aiutano a tenere i piedi per terra. “Hanno bisogno di me, ho bisogno di loro, abbiamo bisogno di tempo insieme”, continua. “Mi piace molto andare a nuotare con loro, insegnare loro ad andare in bicicletta. Penso che questo sia importante quando si fa un lavoro come questo, per rimanere radicati nella vita di tutti i giorni, nella vita familiare e nella realtà.

Definizione di tortura delle Nazioni Unite

La Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura definisce la tortura come “qualsiasi atto con il quale sono inflitti a una persona dolore o sofferenze acute, fisiche o psichiche”, se è fatto deliberatamente per una delle seguenti ragioni: per ottenere informazioni o una confessione dalla persona che viene torturata o da qualcun altro; per punire quella persona per qualcosa che ha fatto o si sospetta che abbia fatto; per intimidire o costringere quella persona o un’altra persona; o per qualsiasi motivo basato su una qualsiasi “forma di discriminazione”.

Il dolore o la sofferenza devono anche essere “inflitti da un funzionario pubblico o da qualsiasi altra persona che agisca a titolo ufficiale, o sotto sua istigazione, oppure con il suo consenso espresso o tacito.” La definizione non si estende “al dolore o alle sofferenze derivanti unicamente da sanzioni legittime, ad esse inerenti o da esse provocate.”

Si tratta di una definizione piuttosto restrittiva della tortura, ma la convenzione afferma anche che essa “lascia impregiudicati gli strumenti internazionali o le legislazioni nazionali che contengano o possano contenere disposizioni di applicazione più ampia”.


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