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Presunzione di innocenza questa (quasi) sconosciuta

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di Aldo Sofia

Ma guarda chi si rivede, la tanto bistrattata “presunzione di innocenza”. Accade nel caso di Yara, uccisa a tredici anni. E accade più che altro per via di una polemica, consumatasi nello spazio di poche ore. Angelino Alfano, ministro degli interni in carica, ed ex (non proprio rimpianto) Guardasigilli della Repubblica, é il primo ad annunciare orgogliosamente , anche via twitter: “Le forze dell’ordine, d’intesa con la magistratura, hanno individuato l’assassino di Yara Gambirasio”, scomparsa nel novembre 2010. Scatta il sospetto. Tanta sbrigativa tempestività non avrà una finalità anche politica? Un Alfano politicamente in difficoltà dopo la strepitosa vittoria di Renzi alle europee, finito nel cono d’ombra, desideroso di visibilità, per nulla sicuro di spuntarla sul suo ex “padre padrone” Berlusconi, non sarà scivolato sulla buccia di banana del protagonismo proprio su uno dei fatti più terribili e toccanti della cronaca nera italiana?

Sta di fatto che poche ore dopo viene letteralmente bacchettato dal procuratore di Bergamo responsabile delle indagini, Francesco Dettori. Che detta all’agenzia Ansa: “Era intenzione della Procura mantenere il massimo riserbo: questo anche a tutela dell’indagato in relazione al quale, secondo la Costituzione, esiste la presunzione di innocenza”. Imbarazzante. Non si era mai visto (al di fuori delle beghe giuridico-poliitiche) uno scontro del genere fra il titolare degli interni e un magistrato, che gli rimprovera in sostanza una violazione palese della Magna Charta. Polemica indiretta rinfocolata dalla contro-replica di Alfano: “Il pubblico ha diritto di avere le informazioni, e semmai Il procuratore si chieda piuttosto come é uscita la notizia”, toccando così uno dei nervi scoperti dell’apparato giudiziario della Penisola, spesso accusato di diffondere strumentalmente e attraverso la stampa gli esiti di numerose inchieste.

Forse durerà solo il tempo di un lampo, ma lo scontro ha quantomeno il merito di disturbare per un attimo (anche se forse inutilmente) i troppi manovratori di un’informazione per la quale non vi sono assolutamente dubbi sul fatto che il killer sia proprio lui, il 43enne Massimo Bossetti, padre di famiglia, muratore, inconsapevole figlio illegittimo, amante degli animali e di un’abbronzatura esagerata. Le “perle” di questa certezza granitica sono tantissime. Citiamone almeno una: “Cosa accadde veramente quella sera del 26 novembre, quando Yara scomparve nelle brume della Bergamasca e uccisa ‘con particolare crudeltà’, solo il Bosetti potrà raccontarcelo”, scrive uno dei giornali nazionali. Di fronte a questa sicumera, qualcuno pensa che possa essere stato un semplice testimone? Oppure un poco consapevole complice? O, che ne so, il mandante dell’omicidio e della violenza? No, tutti pensano la stessa cosa, il “mostro” é stato beccato. Che venga dunque sbattuto in prima pagina.

Certo, non solo per lo strazio che provoca ancora la vicenda, ma anche per le tecniche investigative adottate, questo é di certo un caso straordinario. Un inseguimento – durato quasi 3 anni – al “profilo genetico” del killer. Una vicenda famigliare ingarbugliatissima. Anche una certa dose di omertà, sostiene un anonimo “cacciatore”. Soprattutto una mappatura certosina. Ben diciottomila test del DNA eseguiti nella regione della tragedia. Fino a quello che, con un banale trucco ( controllo stradale e alcol test) porta al Bosetti. Con una certezza di colpevolezza, precisano gli inquirenti, del “99,9999927 per cento”, e uno fa fatica a capire il senso di quelle due cifre finali.

Di fronte all’inappellabilità (sembra) del “codice genetico”, quali dubbi si possono ancora nutrire? Quale “presunzione di innocenza” si può invocare? Quali condizionali usare che non suonino pretestuosi, falsi, ipocriti? Questo chiedono coloro che respingono la tesi del “preventivo killeraggio del killer”. Eppure, nonostante tutto, nonostante le prove schiaccianti, nonostante il sigillo della scienza, nonostante geni e provette, nonostante la voglia matta di chiudere in fretta anche questo capitolo (ma figurarsi, certa tv ci invaderà di ricostruzioni, plastici,immagini ripetute all’infinito, inviati specialissimi davanti alle case del dolore, psicologi e criminologi), civiltà giuridica, buon senso, correttezza ci dicono che certe parole hanno ancora un peso, un senso, una loro umanità. Anche nei confronti di chi, forse, l’ha violata nella maniera più atroce. E a noi sembra che anche questo sia il messaggio del dignitosissimo silenzio della famiglia di Yara.

PS: poco fa il GIP (Giudice delle inchieste preliminari) non ha convalidato l’arresto di M.Bossetti, che però rimane in carcere. Quali ammaccature presenta la “tesi genetica” degli inquirenti?

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