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Le ripercussioni per la Svizzera di un’anomala presidenza USA

Donald Trump stringe la mano alla presidente della confederazione Simonetta Sommaruga
Americani e svizzeri (qui Donald Trump con la presidente della Confederazione Simonetta Sommaruga) hanno avuto diversi incontri di alto livello durante l'era Trump, l'ultimo dei quali al Forum economico mondiale di Davos nel gennaio 2020. Keystone / Alessandro Della Valle

Nel giorno in cui Donald Trump lascia la Casa Bianca, swissinfo.ch ritorna sui suoi quattro anni tumultuosi alla presidenza degli Stati Uniti e ne valuta l'impatto sulle relazioni con la Svizzera.

Dopo l’elezione, nel novembre 2016, del repubblicano Trump, che aveva fatto campagna elettorale utilizzando soprattutto slogan protezionistici e populisti, l’allora ministro degli affari esteri Didier Burkhalter ha cercato di rassicurare la popolazione svizzera sul fatto che le cose sarebbero andate avanti come al solito. “La Svizzera può lavorare con qualsiasi amministrazione statunitense”, ha detto.

Nei quattro anni successivi, il presidente americano ha messo a dura prova questa idea portando avanti un’agenda di politica estera a volte sfavorevole per i tradizionali alleati statunitensi. L’istigazione a guerre commerciali, il ritiro dalle organizzazioni multilaterali e l’attacco al processo elettorale americano sono state solo alcune delle azioni che hanno suscitato sconcerto all’estero.

Eppure, l’ambasciatore americano a Berna, Edward McMullen, ha dichiaratoCollegamento esterno qualche giorno fa alla Televisione pubblica svizzera di lingua francese RTS che le due nazioni hanno approfondito le relazioni “in una misure che si può definire storica”.

Gli anni di Trump sono stati davvero tutti così buoni – o pessimi – per gli interessi della Svizzera in patria e all’estero?

America first

A determinare le relazioni tra la Svizzera e la superpotenza sono soprattutto le questioni economiche: gli Stati Uniti sono il secondo partner commerciale della Confederazione dopo l’Unione europea. Le esportazioni elvetiche verso gli Stati Uniti erano già in pieno boom prima dell’insediamento di Trump e hanno continuato a crescere in modo significativo durante il suo mandato.

“Le relazioni commerciali sono state davvero buone”, rileva la parlamentare liberale radicale (destra) Christa Markwalder, membro della Commissione della politica estera del Consiglio nazionale (Camera del Popolo). Oltre a un valore delle esportazioni verso gli Stati Uniti pari a 44 miliardi di franchi nel 2019, la Svizzera è anche il sesto investitore straniero negli Stati Uniti.

Inizialmente, si pensava che un presidente e un ambasciatore a Berna favorevoli al commercio avrebbero favorito dei passi in avanti sull’accordo di libero scambio tra Berna e Washington, osserva l’economista Stefan Legge. Durante i precedenti otto anni dell’amministrazione Obama, la Svizzera aveva incontrato difficoltà anche solo a sollevare l’argomento con gli americani.

Ma negli ultimi quattro anni, di progressi concreti non ce ne sono stati. Sebbene sia Trump che McMullen si siano dichiarati interessati alla conclusione di un accordo, le priorità americane erano altrove: in Cina, in Canada, in Messico e nell’Unione europea.

“La Svizzera esclude qualsiasi concessione sostanziale nell’ambito del commercio agricolo e quindi gli Stati Uniti avevano poco da guadagnare da un accordo di libero scambio”, annota Stefan Legge, professore all’Università di San Gallo.

Inoltre, gli Stati Uniti avevano altri piani per la loro economia: puntare sul principio ‘America first’ per sostenere l’industria nazionale. Nel 2018 il governo ha adottato una serie di misure protezionistiche tra cui l’aumento dei dazi doganali sulle importazioni di acciaio e alluminio. 

La Svizzera ha tentato, invano, di ottenere un’esenzione dagli Stati Uniti, anche se alla fine l’impatto dei dazi sul commercio svizzero è stato trascurabile, poiché le esportazioni verso gli Stati Uniti in questo settore non sono significative, puntualizza Legge.

Uno dei principali bersagli della guerra dei dazi era la Cina. La vertenza commerciale tra le due superpotenze ha però colpito indirettamente anche la Svizzera, rileva Christa Markwalder. “Un crescente protezionismo è un cattivo segnale per un’economia come quella elvetica”, che dipende da un sistema aperto e basato su delle regole. L’amministrazione Trump ha messo alla prova queste regole con le sue politiche tariffarie aggressive e con le molteplici cause legali presso l’Organizzazione mondiale del commercio. 

Culture politiche diverse

La salvaguardia degli interessi americani ha anche generato increspature nella cooperazione internazionale. Gli Stati Uniti si sono ritirati dall’Accordo di Parigi sul clima, dal Consiglio dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite e da altri organismi mondiali. Decisioni che hanno suscitato malcontento in Svizzera, dove il multilateralismo è una pietra miliare della politica estera. Per non parlare della preoccupazione a Ginevra, sede di numerose organizzazioni internazionali.

“Il ritiro da Parigi è davvero catastrofico per l’intero sforzo multilaterale, perché per funzionare è necessaria anche la partecipazione dei Paesi che emettono più CO2”, afferma Markwalder, membro dell’associazione parlamentare Stati Uniti-Svizzera.

“La Svizzera esclude qualsiasi concessione sostanziale nell’ambito del commercio agricolo e quindi gli Stati Uniti avevano poco da guadagnare da un accordo di libero scambio.”

Stefan Legge, economista

In occasione di un incontro bilaterale con Trump – che ha sempre espresso forte scetticismo sul cambiamento climatico – durante il Forum economico mondiale 2020 di Davos, il governo svizzero ha tentato di sollevare la questione dell’accordo, scontrandosi però con l’indifferenza statunitense.

Affrontare l’argomento “non è stato molto produttivo, perché tutti sanno che cosa ne pensa il presidente Trump”, disse McMullen all’epoca.

“La cultura politica sotto Trump era completamente diversa dalla cultura politica svizzera”, sostiene Markwalder. Ciò ha anche influenzato il modo in cui i due Paesi si parlano, aggiunge. Mentre il Consiglio federale, composto da sette membri, governa sulla base del consenso, il presidente degli Stati Uniti ha firmato una serie di ordini esecutivi per il ritiro dalle istituzioni internazionali. 

Contatti di alto livello

Anche per quanto riguarda la sicurezza, Trump è stato incline a rischiose mosse unilaterali. Nel 2018, ha ritirato gli Stati Uniti dall’accordo sul programma nucleare iraniano firmato da Obama e ha reintrodotto le sanzioni contro Teheran.

Questo sviluppo ha tenuto la Svizzera impegnata nel suo ruolo di rappresentante degli interessi statunitensi in Iran, che svolge dal 1980. Il Paese si è guadagnato gli elogi dell’amministrazione Trump per aver contribuito ad ottenere il rilascio di due americani detenuti in Iran.

Le tensioni sono cresciute di nuovo nel gennaio 2020, quando un alto comandante iraniano, Qassem Soleimani, è stato ucciso in un attacco aereo statunitense. I diplomatici svizzeri sono stati molto attivi nel mantenere aperti i canali di comunicazione tra gli Stati Uniti e l’Iran – sforzi che gli americani hanno apprezzato, secondo Markwalder.

Il mandato in qualità di potenza protettrice in Iran non contribuisce soltanto a ottenere i ringraziamenti pubblici del presidente degli Stati Uniti. Esso offre anche a un Paese piccolo come la Svizzera un accesso privilegiato a contatti di alto livello all’interno del Dipartimento di Stato, sottolinea la parlamentare.

“Sono molto ottimista sul fatto che il multilateralismo e il ruolo dell’America saranno nuovamente rafforzati.”

Christa Markwalder, deputata svizzera

Altrettanto significativa è stata l’intensità degli scambi ad alto livello tra i due Paesi. Nel 2019 l’allora presidente svizzero Ueli Maurer è stato invitato alla Casa Bianca per una chiacchierata bilaterale con Trump nello Studio Ovale, una prima per un presidente svizzero. Da parte sua, Trump si è recato due volte a Davos e il segretario di Stato Mike Pompeo è stato accolto in Svizzera per una visita di tre giorni.

Pierre-Alain Eltschinger, portavoce del Dipartimento degli affari esteri, afferma che gli incontri “evidenziano le eccellenti relazioni bilaterali. Ci hanno permesso di avere uno scambio molto diretto, aperto e onesto con gli Stati Uniti, anche su questioni delicate”.

Christa Markwalder attribuisce all’ambasciatore degli Stati Uniti, amico personale del presidente, il merito di aver aperto quelle porte. “Siamo stati molto fortunati con McMullen per i suoi stretti legami con Trump”, sottolinea. “I precedenti ambasciatori erano più lontani dal presidente”.

Tensioni interne

In patria, le azioni di Trump hanno evidenziato le divisioni della società statunitense su questioni razziali e ideologiche. Il presidente non ha condannato i sostenitori della supremazia bianca all’origine dei tumulti a Charlottesville, in Virginia, nel 2017. Lo scorso anno, l’uccisione di uomini e donne di colore per mano della polizia ha da parte sua scatenato numerose proteste. Infine sono arrivati il rifiuto di Trump di accettare i risultati delle elezioni presidenziali, vinte da Joe Biden, e il violento assalto al Campidoglio da parte dei sostenitori di Trump. 

“È stato davvero scioccante”, afferma Markwalder. “La Svizzera è un Paese che cerca di avvicinare persone di culture e religioni diverse. La coesione nazionale è fondamentale e quello che abbiamo visto negli ultimi quattro anni è una profonda spaccatura nella società americana, culminata nell’attacco al Campidoglio”.

Altri sviluppi

“La Svizzera e gli Stati Uniti condividono molti valori comuni: diritti umani, libertà democratiche e stato di diritto”, prosegue. “Ci definiamo ‘repubbliche sorelle’ perché siamo democrazie ininterrotte e questo ci conferisce una base comune”.

Tale terreno d’intesa è tuttavia apparso traballante sotto Trump. Ciononostante, il governo svizzero ha espresso la sua fiducia nella democrazia americana.

Anche se il nuovo presidente è chiamato ad affrontare una serie di pressanti sfide interne, Christa Markwalder rammenta che Biden “è un esperto di politica estera. Sono convinta che non guarderà solo verso l’interno”. 

La deputata elvetica ritiene che Biden sia consapevole del fatto che, se gli Stati Uniti non assumeranno un ruolo di leadership sulla scena internazionale, subentrerà la Cina. “Sono molto ottimista sul fatto che il multilateralismo e il ruolo dell’America [nel mondo] saranno nuovamente rafforzati”.

Traduzione e adattamento dall’inglese: Luigi Jorio

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