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Le donne che lavorano rafforzano il ceto medio

Keystone

Il livello di benessere del ceto medio in Svizzera è stato recentemente oggetto di diversi studi. Numerose economie domestiche sono confrontate con difficoltà finanziarie, concordano i ricercatori. Tuttavia, i redditi delle donne hanno contribuito a migliorare la situazione della classe media.

Il ceto medio – definito come le persone che guadagnano tra il 70 e il 150% del salario medio o l’equivalente del reddito medio del 60% della popolazione (senza i più poveri e i più ricchi) – ha oggi un reddito decisamente superiore a quello nel 1990.

Sebbene la classe media abbia resistito bene alla crisi economica mondiale, e non sia stata confrontata con una riduzione dei redditi o con un aumento importante della disoccupazione, gli osservatori constatano un sentimento di malcontento e di insicurezza. Un’insoddisfazione che ha contribuito, tra l’altro, alla recente limitazione dell’immigrazione europea in Svizzera.

Nel suo rapporto “Il ceto medio sotto pressione”, pubblicato nel novembre 2012, il laboratorio d’idee liberale Avenir Suisse evidenzia che tra il 1994 e il 2010, i salari medi sono aumentati in misura minore rispetto a quelli elevati e bassi.

A causa di un effetto di recupero, i salari delle donne sono comunque cresciuti più velocemente, in alcuni casi di oltre il doppio rispetto a quelli degli uomini. Sempre nello stesso lasso di tempo, pure la partecipazione femminile al mercato del lavoro è aumentata. Oggigiorno, il 77% delle donne ha un’attività lavorativa e poco più della metà è occupata a tempo pieno.

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Femminilizzazione del ceto medio

«L’incremento più rapido dei salari delle donne e l’aumento della partecipazione al mercato del lavoro hanno portato a quello che abbiamo definito la “femminilizzazione” del ceto medio. Ciò non ha forse salvato la classe media, ma ha comunque aiutato molto», spiega a swissinfo.ch Patrick Schellenberger, coautore dello studio di Avenir Suisse.

Questo vantaggio rischia però di svanire, avverte Sara Carnazzi Weber. Secondo l’economista del Credit Suisse, il fatto che un secondo salario non è sempre conveniente per tutte le famiglie, potrebbe spingere alcune donne a rinunciare a una professione.

«Ci sono casi in cui il salario di donna impiegata a tempo pieno spinge il reddito congiunto di un’economia domestica in una fascia di tassazione più alta. Inoltre, le spese supplementari legate a un’attività lavorativa, come la custodia dei bambini, possono peggiorare la situazione finanziaria, malgrado il doppio salario», rileva Sara Carnazzi Weber.

Distinguersi dai più poveri

Ma non è solo una questione di soldi, osserva Patrick Schellenberger. «Abbiamo notato che per numerose persone del ceto medio è diventato molto difficile differenziarsi [dalle fasce di salario più basse]. Gli storici ritengono che per il ceto medio sia molto importante poter fare questa distinzione, siccome contribuisce all’autostima. È una sorta di ricompensa per ciò che fanno».

Malgrado un livello di formazione più alto, un buon lavoro e un buon salario, è così emerso un sentimento di frustrazione. Una reazione comprensibile, secondo Matthias Kuert del sindacato Travail.Suisse. «Le persone con un salario medio, che faticano ad arrivare alla fine del mese, si rendono conto che i loro vicini ricevono aiuti statali, come ad esempio sussidi per l’assicurazione malattia. Questo li infastidisce».

Ad accentuare il malessere è poi il fatto che, in passato, era più facile mantenere la propria posizione nel ceto medio. «C’era un sentimento di sicurezza. Ora questa sicurezza è sparita», aggiunge Matthias Kuert. Una malattia, un divorzio o la perdita del lavoro possono rimettere tutto in discussione.

Il patrimonio netto o “benessere” fa riferimento al valore degli averi finanziari e al valore reale (principalmente gli immobili), meno i debiti di una persona.

Secondo il Global Wealth Report 2012 del Credit Suisse, i paesi più ricchi (i cui adulti dispongono di un patrimonio superiore ai 100’000 dollari) si trovano in America del Nord, Europa Occidentale, Asia-Pacifico e Medio Oriente.

In cima alla lista c’è la Svizzera con 470’000 dollari. Seguono l’Australia (350’000) e la Norvegia (330’000).

Il Giappone è in quarta posizione con 270’000 dollari, mentre gli Stati Uniti si trovano al 7° posto con 260’000 dollari.

Il patrimonio individuale medio in Italia, Francia, Svezia, Belgio e Danimarca si aggira attorno ai 200’000 dollari.

Fonte: Credit Suisse Global Wealth Report 2012

Detratto un terzo del salario

La nozione di ceto medio racchiude una grande diversità, sottolinea Matthias Kuert. «In realtà ci sono tre categorie di salario: basso, medio ed elevato. Lo spettro salariale è ampio e va dai 60’000 ai 200’000 franchi all’anno».

In Svizzera, il patrimonio medio di un adulto è pari a 470’000 franchi, stando al Global Wealth Report 2012 del Credit Suisse. Un quarto dei contribuenti elvetici non dispone tuttavia di alcun patrimonio al di fuori dei propri fondi di pensione.

Quali spese deve sopportare il ceto medio? Le ultime cifre dell’Ufficio federale di statistica evidenziano che le detrazioni obbligatorie – imposte, assicurazione malattia, contributi sociali e per la pensione – ammontano al 29% del reddito. Le spese maggiori sono legate all’alloggio e al consumo energetico (circa 20% del reddito).

C’è però una grossa differenza tra i residenti che hanno affittato o posseduto un alloggio per un certo periodo, e i nuovi arrivati sul mercato immobiliare, che sono invece confrontati con un’impennata dei prezzi nelle aree urbane.

Per molte persone, i prezzi dei beni immobiliari nelle regioni in pieno boom, come Zurigo o Ginevra, rappresentano un carico considerevole. «In alcune parti della Svizzera, in particolare nei cantoni con i salari più bassi, il costo della vita è aumentato così velocemente da erodere il potere d’acquisto», afferma a swissinfo.ch Daniel Müller Jentsch, l’altro autore dello studio di Avenir Suisse.

Ad ogni modo, puntualizza Daniel Müller Jentsch, il ceto medio in Svizzera si trova in condizioni economiche «decisamente migliori rispetto alla maggior parte degli altri paesi industrializzati occidentali».

La Svizzera si situa al 7° rango dell’Indice 2013 delle donne al lavoro dell’agenzia di consulenza PricewaterhouseCoopers, che ha preso in considerazione 27 paesi dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE).

In Svizzera il divario tra il salario di una donna e quello di un uomo è del 19%. In prima posizione figura la Polonia (6%), seguita da Nuova Zelanda (7%) e Norvegia (8%).

Con una quota del 77%, la percentuale delle donne attive sul mercato del lavoro in Svizzera è simile a quella osservata nei paesi nordici.

La parte di donne che hanno un impiego a tempo pieno è invece inferiore se si paragona la Svizzera (55%) alla Norvegia (67%), alla Svezia (79%) o alla Finlandia (86%).

Fonte: PricewaterhouseCoopers Women in Work Index 2013

Traduzione e adattamento dall’inglese di Luigi Jorio

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