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Le indagini svizzere verso il traguardo

Keystone

Gli inquirenti svizzeri che indagano sui fondi di dittatori deposti nella primavera araba credono di aver identificato tutti gli averi sospetti tunisini. Per l'Egitto devono ancora essere esaminate migliaia di transazioni, secondo Maria-Antonella Bino, sostituta procuratrice generale.

Riguardo a Tunisia, Egitto e Libia, la Svizzera aveva annunciato subito il blocco dei beni che avrebbero potuto essere stati sottratti da dittatori deposti.

Sostituta procuratrice generale della Confederazione, Maria-Antonella Bino stila un bilancio dopo un anno e mezzo di indagini. Le pratiche relative alla primavera araba sono una priorità per il Ministero pubblico della Confederazione (MPC), che nutre buone speranze di concludere l’inchiesta prima della fine del prossimo anno.

swissinfo.ch: Le somme bloccate in Svizzera sono aumentate dopo gli annunci del governo federale all’inizio della primavera araba?

Maria-Antonella Bino: Per quanto riguarda i beni sequestrati dopo la caduta dell’ex presidente [egiziano Hosni] Mubarak e in questa fase delle indagini, alla somma iniziale di 410 milioni di dollari si sono aggiunti altri 290 milioni, scoperti a seguito degli atti d’istruzione ordinati dall’MPC nell’ambito di un procedimento penale per sostegno o partecipazione a un’organizzazione criminale.

Per la Tunisia, i 60 milioni di dollari annunciati inizialmente non sono mutati. L’MPC indaga da oltre un anno e mezzo sul carteggio tunisino. Non pensiamo di scoprire altri presunti fondi di provenienza illecita in Svizzera.

A nostra conoscenza, tutto ciò che è in nostro potere (MPC) è stato fatto. Gli importi sequestrati a seguito dei blocchi ordinati dal Consiglio federale [governo svizzero, Ndr.] e le somme bloccate in un procedimento penale corrispondono.

swissinfo.ch: Circa l’Egitto, una sentenza contro il clan Mubarak, in giugno al Cairo, ha respinto l’accusa di corruzione. Qual è l’impatto dei processi in corso, sull’inchiesta dell’MPC?

M.-A. B: È ovvio che in procedimenti come quelli conseguenti alla primavera araba, l’evoluzione delle indagini e le sentenze pronunciate sui beni spogliati e sui presunti responsabili hanno un impatto fondamentale sull’avanzamento e i risultati dei procedimenti in corso in Svizzera.

I fatti sui quali investighiamo hanno origine nei paesi interessati. È perciò importante essere prontamente informati di ogni sviluppo in questo contesto.

Allo stato attuale, analizziamo la portata delle sentenze pronunciate in particolare in Egitto, poiché, come si può constatare leggendo la stampa egiziana, ce ne sono state più di una. In altre parole, per l’Egitto, come d’altronde per la Tunisia, i procedimenti indigeni sono ancora corso.

swissinfo.ch: Oltre all’Egitto, siete stati interpellati in altri casi relativi alla primavera araba?

M.-A. B: Stiamo investigando per sospetti di riciclaggio di denaro e di sostegno, come anche di partecipazione a un’organizzazione criminale, riguardante la Libia e di riciclaggio di denaro in relazione alla Siria. I sospettati sono libici e siriani.

swissinfo.ch: Il procuratore generale Michael Lauber ha dichiarato che la Svizzera è l’unico paese ad avanzare in questi casi legati alla primavera araba. È sempre il caso? L’MPC collabora con altri paesi, oltre a quelli dei querelanti?

M.-A. B: La Svizzera è in fase molto avanzata e procediamo speditamente. Collaboriamo con altri Stati interessati agli stessi fatti, una collaborazione particolarmente proficua. Richieste di assistenza reciproca sono in fase di esecuzione nell’ambito dei dossier egiziano e tunisino.

swissinfo.ch: Le azioni giudiziarie intraprese in Svizzera hanno un impatto su quelle che potrebbero essere avviate in altri paesi?

M.-A. B: Parlo a titolo puramente personale. La Svizzera è stata il primo paese a bloccare dei fondi e siamo molto avanti nelle investigazioni.

Questa posizione relativamente avanzata può avere un effetto trainante per altri paesi. Non fosse altro che per il fatto che presentiamo richieste di assistenza ad altre giurisdizioni straniere, le quali poi avviano a loro volta un procedimento penale grazie agli elementi esposti nella nostra domanda di assistenza.

swissinfo.ch: Può formulare una stima della durata dell’istruttoria?

M.-A. B: Circa le indagini in Svizzera e la loro conclusione, desideriamo calcolare in mesi piuttosto che in anni. Ma dare un pronostico temporale è sempre molto difficile. Il progresso di un’istruttoria dipende da diversi fattori e non esclusivamente dalla forza di lavoro degli investigatori.

Le persone coinvolte nelle inchieste hanno il diritto di ricorrere contro quasi tutte le azioni investigative. A seconda della complessità delle questioni sollevate, ci vogliono tra uno e otto mesi affinché un ricorso sia trattato dal Tribunale penale federale.

E, in alcuni casi, anche la decisione di quest’ultimo può essere impugnata. Ciò che può causare ulteriori prolungazioni di alcuni mesi.

Posso solo ricordare che le questioni relative alla primavera araba sono una priorità per l’MPC, come ha affermato il procuratore generale Michael Lauber all’inizio del suo mandato. Dunque, cerchiamo di concentrare parte delle nostre risorse per il progresso di queste indagini.

swissinfo.ch: L’MPC manca ancora di capacità lavorative per far fronte a queste pratiche spinose?

M.-A. B: In questo tipo di procedimenti, si potrebbero ancora aggiungere 10 o 20 persone supplementari. Ma ciò non determina necessariamente l’efficacia del lavoro dell’MPC. In primo luogo occorre una buona strategia, prendere le decisioni giuste al momento giusto e anche avere un po’ di fortuna.

Attualmente sulle pratiche relative a Egitto e Tunisia lavorano una ventina di persone (polizia, procuratori e analisti finanziari). Le indagini restano complesse.

Solo per il dossier egiziano, circa 140 rapporti bancari sono oggetto di indagine. I nostri esperti finanziari ne hanno già analizzati più della metà. L’analisi di ogni relazione bancaria comprende tra le 200 e le 5mila transazioni. Può quindi facilmente immaginare la portata del compito.

La Svizzera ha lanciato diverse iniziative per promuovere una procedura coordinata a livello internazionale per la lotta contro la criminalità finanziaria di persone politicamente esposte (PEP).

La Svizzera sostiene finanziariamente il Centro Internazionale per il recupero dei beni (ICAR) di Basilea, come pure la Stolen Assets Recovery Initiative (StAR), lanciata congiuntamente dall’Ufficio delle Nazioni Unite contro la Droga e il Crimine (UNODC) e dalla Banca mondiale nel 2007.

La Svizzera organizza dal 2001 a Losanna riunioni informali di esperti governativi.

Nel giugno 2010, la Svizzera ha organizzato a Parigi, in collaborazione con la StAR, una conferenza internazionale sul tema “Sviluppo e recupero dei beni.”

Nel corso dei negoziati sulla Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione (UNCAC), la Svizzera ha sostenuto l’obbligo di restituire ai paesi di provenienza i beni illeciti e di risarcire le vittime.

Il 24 settembre 2009, la Svizzera ha ratificato l’UNCAC. La Convenzione è entrata in vigore il giorno stesso.

Fonte: Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE)

Tunisia: il 19 gennaio 2011, meno di una settimana dopo il rovesciamento del governo tunisino, la Svizzera blocca i fondi legati all’ex presidente Zine al-Abidine Ben Ali e ad una quarantina di persone della sua cerchia. 60 milioni di dollari depositati da persone del clan di Ben Ali sono attualmente bloccati su conti bancari svizzeri.

Egitto: l’11 febbraio 2011, la Svizzera blocca i beni di Hosni Mubarak e dei membri del suo entourage. Ai 410 milioni di dollari bloccati da tale data si sono nel frattempo aggiunti 290 milioni appartenenti ad altri parenti di Mubarak o membri del deposto regime.

Libia: il 24 febbraio 2011, il governo federale blocca quasi 650 milioni di franchi depositati in banche in Svizzera da Muammar Gheddafi e il suo clan. Attualmente è ancora bloccato solo un centinaio di milioni di franchi, mentre il resto è stato restituito alla Libia nell’ambito di una risoluzione dell’ONU.

Siria: il 18 maggio 2011, in seguito alla sanguinosa repressione da parte del regime di Bashar al-Assad, il governo federale si allinea alle sanzioni imposte dall’Unione europea. Circa 70 milioni di franchi sono bloccati su conti bancari in Svizzera. La “lista nera” comprende dal giugno 2012 più di 120 persone e 40 aziende ed entità legate al presidente siriano.

Storia ancor più recente, il 19 settembre 2012 la Svizzera conferma di aver bloccato diverse centinaia di milioni di franchi su conti intestati a quattro cittadini dell’Uzbekistan, sospettati di riciclaggio di denaro. Secondo la Radio televisione svizzera RTS, al centro dell’inchiesta penale vi sarebbero parenti del presidente uzbeko Islam Karimov.

(Traduzione dal francese: Sonia Fenazzi)

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